Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9252 del 03/04/2019

Cassazione civile sez. trib., 03/04/2019, (ud. 19/03/2019, dep. 03/04/2019), n.9252

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. CIRILLO Francesco Maria – Presidente –

Dott. D’ANGIOLELLA Rosita – Consigliere –

Dott. GUIDA Riccardo – rel. Consigliere –

Dott. D’ORAZIO Luigi – Consigliere –

Dott. PANDOLFI Catello – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 4494/2013 R.G. proposto da:

COSTRUZIONI GENERALI SRL, (già COSTRUZIONI GENERALI SPA),

rappresentata e difesa dall’avv. Quercio Luigi, elettivamente

domiciliata in Roma, viale del Vignola n. 5, presso lo studio

dell’avv. Ranuzzi Livia;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del direttore pro tempore,

rappresentata dall’Avvocatura Generale dello Stato, con domicilio

legale in Roma, via dei Portoghesi, n. 12, presso l’Avvocatura

Generale dello Stato;

– controricorrente –

avverso la sentenza della Commissione tributaria regionale della

Puglia, sezione n. 8, n. 69/8/12, pronunciata il 13/07/2012,

depositata il 19/07/2012.

Udita la relazione svolta nella camera di consiglio del 19 marzo 2019

dal Consigliere Guida Riccardo.

Fatto

RILEVATO

Che:

1. con ricorso alla CTP di Bari, la Costruzioni Generali Spa (oggi Costruzioni Generali Srl) impugnò due avvisi di accertamento con i quali l’Agenzia delle entrate aveva recuperato a tassazione, per gli anni 2006 e 2007, ai fini IRAP e IRES, le quote di ammortamento (di Euro 260.397,24, per ciascuna annualità) di un impianto di compostaggio dei rifiuti, sul presupposto che esse non fossero deducibili in quanto l’impianto, nelle dette annualità, era rimasto inattivo perchè sottoposto a sequestro;

la CTP di Bari, con sentenza n. 122/2011, accolse il ricorso della contribuente;

2. avverso detta pronuncia l’Agenzia ha interposto appello innanzi alla CTR della Puglia che, con la sentenza in epigrafe, ha accolto il gravame;

in particolare, per quanto ancora interessa, la CTR ha rilevato che, per un verso, in base al TUIR, art. 102, ai fini della deducibilità della quota d’ammortamento di un bene, è necessario che esso sia strumentale all’esercizio dell’impresa (aspetto, nella specie, non contestato) e, ancora, che sia in funzione e venga utilizzato; per altro verso, che, ai sensi del TUIR, art. 109, comma 5, la deducibilità di un costo ne postula l’inerenza all’attività dell’impresa, nel senso che esso deve concorrere a produrre ricavi;

il giudice dall’appello, quindi, ha negato la deducibilità delle quote di ammortamento dell’impianto di compostaggio che, nei periodi d’imposta in esame, era inattivo in quanto sottoposto a sequestro e, pertanto, non aveva concorso alla produzione di ricavi;

3. la società ricorre per la cassazione della sentenza della CTR, sulla base di un unico motivo, cui resiste l’Agenzia con controricorso.

Diritto

CONSIDERATO

Che:

1. con l’unico motivo del ricorso, denunciando, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la nullità della sentenza per violazione o/o falsa applicazione del TUIR, art. 102 e art. 109, comma 5, la ricorrente censura la decisione della CTR che avrebbe erroneamente affermato che la deducibilità della quota di ammortamento di un bene strumentale dipenda dal funzionamento dell’impianto nell’anno d’imposta di riferimento, anzichè dalla sola circostanza che l’impianto fosse funzionante nel primo anno di ammortamento;

1.1. il motivo è fondato;

la CTR ha negato la deducibilità delle quote di ammortamento dell’impianto di compostaggio, nei due esercizi (2006 e 2007) durante i quali il bene strumentale era rimasto inattivo e, quindi, non aveva concorso alla produzione di ricavi;

la Commissione tributaria pugliese muove dalla premessa secondo cui, posto che, ai sensi del TUIR, art. 102, comma 1, le quote di ammortamento dei beni materiali strumentali sono deducibili dall’esercizio dell’entrata in funzione del bene, vi sarebbe un nesso imprescindibile tra deducibilità del costo (recte: della quota d’ammortamento dell’immobilizzazione materiale) e il suo effettivo utilizzo, sicchè la mancata utilizzazione del bene, anche per un factum principis (come un sequestro), non ne consentirebbe la deducibilità;

ancora, nella fattispecie concreta il costo dell’impianto di compostaggio non sarebbe deducibile, per gli anni d’imposta nei quali è rimasto inattivo, per la semplice ragione che esso, nello stesso periodo, non ha concorso alla produzione dei ricavi dell’impresa;

in conclusione, la sentenza impugnata afferma che, in base alla disciplina tributaria, distonica rispetto ai criteri civilistici di redazione del bilancio delle società di capitali, ai fini della determinazione del reddito fiscalmente rilevante, è possibile fruire della deduzione dei soli costi che abbiano concorso a realizzare i ricavi, donde la necessità, in taluni casi, di rettificare l’utile civilistico;

un simile paradigma giuridico, ad avviso del giudice d’appello, sarebbe conforme al principio di inerenza, sancito dal TUIR, art. 109, comma 5, per il quale le spese e gli altri componenti negativi sono deducibili se e nella misura in cui si riferiscono ad attività o beni da cui derivano ricavi o altri proventi che concorrono a formare il reddito;

questa Corte, in passato, occupandosi di un argomento prossimo alla materia del contendere, ha avuto modo di affermare che: “In tema di determinazione del reddito di impresa, le quote di ammortamento del costo dei beni sono deducibili, ai sensi del D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 67, comma 1, (attuale TUIR, art. 102), purchè i costi siano sostenuti in funzione della produzione di ricavi e, dunque, a condizione che i beni acquistati siano non soltanto strumentali alla specifica attività aziendale ma anche effettivamente utilizzati nell’esercizio dell’impresa. (In applicazione di tale principio, la S.C. ha escluso che i componenti negativi, costituiti dall’ammortamento dell’avviamento e dalle quote degli ammortamenti ordinari, potessero essere portati in deduzione dalla società contribuente, successivamente alla messa in liquidazione ed alla cessione dell’azienda).” (Cass. 18/06/2014, n. 13807);

il precedente, però, non si attaglia compiutamente al thema decidendum poichè riguarda una fattispecie concreta – diversa dal caso in esame -, nella quale il bene non era più ammortizzabile perchè l’impresa aveva cessato la propria attività e dismesso l’azienda, sicchè la sua eliminazione definitiva dal processo produttivo aziendale rilevava ormai soltanto nella prospettiva del calcolo della plusvalenza o della minusvalenza da dismissione, da appostare nel bilancio di liquidazione dell’ente collettivo;

privo d’efficacia decisiva è anche il dictum di questa Corte (Cass. 4/04/2008, n. 8773) – che la ricorrente pone a fondamento della propria tesi difensiva -, che attiene a una vicenda affatto peculiare, nella quale, in ragione della relazione di congiunta funzione che si realizza tra gli erogatori dei carburanti usati nelle stazioni di servizio e quelli destinati al loro ricambio, per questi ultimi era stata ritenuta legittima la deduzione di quote di ammortamento, anche se lasciati in deposito presso le stazioni di servizio e non ancora utilizzati;

1.2. ciò precisato sul versante delle sentenze di cassazione, si rileva che, diversamente da quanto asserisce la CTR, non è l’inerenza o meno del costo il discrimine tra deducibilità e indeducibilità della quota di ammortamento di un bene strumentale (o immobilizzazione materiale), il cui utilizzo sia stato interrotto per factum principis;

secondo il recente indirizzo della giurisprudenza di legittimità (Cass. 30/05/2018, n. 13588), che il Collegio condivide, in tema di deducibilità dei costi, l’inerenza, desumibile dal D.P.R. n. 917 del 1986, art. 109, comma 5, deve essere riferita all’oggetto sociale dell’impresa, in quanto non integra un nesso di tipo utilitaristico tra costo e ricavo, bensì una correlazione tra costo e attività di impresa, anche solo potenzialmente capace di produrre reddito imponibile;

è chiaro, allora, che il costo del bene strumentale, registrato in bilancio in seguito alla sua acquisizione, e annualmente ammortizzabile nell’arco temporale della sua “vita utile”, è senz’altro “inerente”, per l’intrinseca potenzialità produttiva del bene medesimo, anche quando, per un fattore fortuito, ne sia temporaneamente impedito l’utilizzo;

escluso, perciò, che il concetto di inerenza sia la chiave di volta dell’intero ragionamento, neppure parrebbe dirimente fare riferimento alla L. 24 dicembre 1993, n. 537, art. 14, comma 4-bis, che esclude la deducibilità dei costi e delle spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, poichè non risulta ex actis – ossia dalla sentenza impugnata, dalle difese delle parti o dall’avviso di accertamento – che il fisco abbia contestato l’obiettiva rilevanza penale dell’uso dell’impianto di compostaggio;

sembra più corretto, dunque, riportare la questione nell’alveo delle regole di redazione del bilancio dettate dal c.c., valevoli, di norma, anche in ambito fiscale;

sin dalla L. n. 825 del 1971, art. 2, n. 16, il legislatore, nella determinazione delle base imponibile delle società, si è ispirato al principio delle “dipendenza”, ovverosia della “derivazione” dal risultato del conto economico redatto secondo i criteri del c.c.;

tale principio è stato recepito dal TUIR, art. 52, (attuale art. 83), anche a seguito delle modifiche apportate dal D.Lgs. n. 344 del 2003;

inoltre, secondo l’opinione unanime della dottrina, la determinazione civilistica rappresenta quanto di più approssimato all’effettivo incremento di ricchezza prodotto dall’attività sociale, espressivo della capacità contributiva attribuibile al soggetto passivo collettivo;

nella dichiarazione fiscale, pertanto, l’imponibile è liquidato apportando all’utile o alle perdite di esercizio quelle sole variazioni previste in esecuzione dello stesso TUIR, per la basilare esigenza di contemperare i necessari margini di discrezionalità del prudente apprezzamento imprenditoriale – propri del sistema civilistico – con i canoni di certezza, semplicità e prevenzione anti-elusiva che modulano l’interesse fiscale;

una simile prospettiva – preme rimarcarlo – vale come parametro interpretativo di alcune disposizioni derogatorie del TUIR, in tema di rimanenze (artt. 92, 93), interessi passivi (artt. 89, 96), proventi immobiliari (art. 90), spese di pubblicità, propaganda etc. (art. 108), svalutazioni e accantonamenti (artt. 106, 107);

è anche possibile, ovviamente, che si verifichi il fenomeno della “derivazione rovesciata”, allorquando la società adegui ab initio il bilancio civilistico ad esigenze tipicamente fiscali (Cass. 1699/1985);

in sintesi, le variazioni obbligatorie rispetto al conto economico non possono che essere unicamente quelle previste in esecuzione delle disposizioni del TUIR (sezione I, capo II, titolo II), come stabilisce esplicitamente il primo periodo del TUIR, art. 83;

il TUIR, artt. 102,102-bis, 103 e 104, pongono sì misure, soprattutto quantitative, per l’imputazione delle quote di ammortamento, di cui la più rilevante è il rispetto del D.M. 31 dicembre 1988, sui coefficienti d’ammortamento;

nessuna norma prevede, invece, l’interruzione dell’ammortamento a causa della sospensione temporanea dell’attività produttiva, meno che mai se disposta per l’effetto temporaneo di un factum principis, estraneo a scelte imprenditoriali volontarie;

ribadita, quindi, l’irrilevanza della sopravvenuta “non inerenza” del costo, il fulcro della complessa analisi è rappresentato dalle regole, recepite dal c.c., di gestione dell’impresa nel rispetto del c.d. going concern, cioè la “funzione economica” dell’elemento considerato, per il vecchio testo dell’art. 2423-bis c.c., comma 1, n. 1, ovvero, con maggiore precisione, “la prospettiva della continuazione dell’attività” (secondo l’ultima versione della norma), nonchè i “criteri di valutazione (che) non possono essere modificati da un esercizio all’altro” (art. 2423-bis c.c., comma 1, n. 6);

quest’approccio ermeneutico all’esame delle poste di bilancio ben si correla con quanto stabilito, in tema di ammortamento, dai principi contabili nazionali (OIC-16, vedi infra), la cui impostazione giuridico-formale non si discosta neppure dall’orizzonte economico-sostanziale tratteggiato dai principi contabili internazionali (IAS n. 16 – p. 55);

del resto, il formante giurisprudenziale è nel senso di allineare, ove possibile, l’inquadramento fiscale ai criteri di redazione del bilancio civilistico, così come integrati ed esplicitati dai principi contabili nazionali (Cass. 1304/19; 16447/18; 25690/2016; 21621/15; 23330/2013; 400/2013, in diversi contesti fiscali);

1.3. svolte queste premesse d’ordine sistematico, è ius receptum della Corte – questo sì conferente per la soluzione della fattispecie concreta -, da cui non v’è ragione per discostarsi, che: “ai fini della determinazione del reddito di impresa, la deduzione delle quote di ammortamento del costo dei beni strumentali deve avvenire in base alle inderogabili regole civilistiche di redazione del bilancio, operanti, in difetto di disposizioni specifiche di segno contrario, anche a fini fiscali. Con la conseguenza che, in sede di dichiarazione, il contribuente non può procedere discrezionalmente alla determinazione delle quote di ammortamento, giacchè, stante la previsione dell’art. 2426 c.c., comma 1, n. 2, l’ammortamento deve essere necessariamente improntato a criterio di sistematicità (…).” (Cass. 14/10/2015, n. 20680; vedi, anche, Cass. 17/10/2014, n. 22016);

ebbene, il citato principio contabile nazionale OIC-16, in tema di ammortamento dei beni strumentali, prevede che: “56. Il costo delle immobilizzazioni materiali, la cui utilizzazione è limitata nel tempo, deve essere sistematicamente ammortizzato in ogni esercizio in relazione con la loro residua possibilità di utilizzazione. La quota di ammortamento imputata a ciascun esercizio si riferisce alla ripartizione del costo sostenuto sull’intera durata di utilizzazione. 57. L’ammortamento è calcolato anche sui cespiti temporaneamente non utilizzati.”;

1.4. in conclusione, la sentenza impugnata è viziata per essersi discostata dal principio di diritto – che occorre adesso rendere esplicito – per il quale la determinazione della base imponibile delle società di capitali, ai fini della dichiarazione fiscale, di regola, è ispirata al criterio della “dipendenza”, ovverosia della “derivazione” dal risultato del conto economico, redatto in conformità ai canoni del c.c. e dei principi contabili nazionali, sicchè, nella stessa dichiarazione, la quota di ammortamento di un bene strumentale è senz’altro deducibile, anche per le annualità durante le quali, a causa di un factum principis, non ne sia stato possibile l’utilizzo;

2. alla stregua delle precedenti considerazioni, accolto l’unico motivo del ricorso, la sentenza è cassata e, non essendo necessari ulteriori accertamenti di fatto, la causa può essere decisa nel merito, ai sensi dell’art. 384 c.p.c., comma 2, con l’accoglimento del ricorso introduttivo della contribuente;

3. le spese dei gradi di merito vanno compensate, tra le parti, mentre le spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo, seguono la soccombenza;

4. rilevato che risulta soccombente una parte ammessa alla prenotazione a debito del contributo unificato per essere amministrazione pubblica difesa dall’Avvocatura Generale dello Stato, non si applica il D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater. (Cass. 29/01/2016, n. 1778);

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito, accoglie il ricorso introduttivo della contribuente; compensa, tra le parti, le spese dei gradi di merito e condanna l’Agenzia delle entrate a corrispondere alla ricorrente le spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 7.000,00, a titolo di compenso, oltre a Euro 200,00 per esborsi, al 15% sul compenso, a titolo di rimborso forfetario delle spese generali, e agli accessori di legge.

Così deciso in Roma, il 19 marzo 2019.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2019

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