Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9251 del 06/04/2021

Cassazione civile sez. III, 06/04/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 06/04/2021), n.9251

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 35551/2019 proposto da:

C.S., elettivamente domiciliato in Bari, via Andrea

Angiulli 38, presso lo studio dell’avv. FELICE PATRUNO, che lo

rappresenta e difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

PROCURATORE GENERALE CORTE CASSAZIONE;

– intimato –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 2142/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 16/10/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/11/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1- C.S. propone ricorso notificato l’11.11.2019 ed articolato in cinque motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari, n. 2142/2019, pubblicata il 16.10. 2019.

Il ricorrente, proveniente dalla (OMISSIS), riferisce la propria vicenda giudiziaria e personale, dichiarando di essere nato in Nigeria, Abia State, di religione cristiana, di aver frequentato la scuola fino alle superiori, di aver lavorato nel negozio di materiali edili del fratello, di aver in patria i genitori e otto fratelli. Afferma di essere appartenente all’IPOB (movimento di indipendenza del Biafra), di aver partecipato ad alcune manifestazioni, e di essere fuggito avendo saputo che lo Stato aveva assoldato criminali comuni per uccidere gli appartenenti a questo partito.

2- Il ricorrente impugnava innanzi al Tribunale di Bari il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale, di diniego delle forme protezione internazionale (status di rifugiato, o, in subordine, protezione sussidiaria ovvero umanitaria) da lui richieste. Il Tribunale rigettava integralmente il ricorso, ritenendo la narrazione del ricorrente poco credibile, i fatti storici riferiti (manifestazioni nel (OMISSIS)) non corrispondenti con quanto appreso da fonti accreditate, ed escludendo l’esistenza in Nigeria di una situazione di violenza indiscriminata.

3- La corte d’appello con la sentenza qui impugnata confermava la valutazione del primo giudice, rilevando che la storia narrata dall’appellante doveva ritenersi contraddittoria e poco credibile, che lo stesso non si era in alcun modo impegnato, a fronte delle contestazioni dei giudici, per fornire riscontri più precisi e che la minaccia che lo avrebbe indotto a lasciare il paese appariva implausibile, generica e contraddittoria. Escludeva in generale che la situazione socio politica fosse così deteriorata in Nigeria, al punto che il solo rientro in patria potesse esporre un civile ad una situazione di pericolo indiscriminato. Rigettava anche la domanda volta all’ottenimento della protezione umanitaria, osservando che non emergeva alcun profilo di particolare vulnerabilità del ricorrente, nè una sua effettiva integrazione, e che lo stesso, ove tornato in patria, avrebbe potuto contare comunque sui genitori e sui numerosi fratelli.

4. – Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato atto con il quale comunica la sua disponibilità a partecipare alla discussione orale.

La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Diritto

RITENUTO

che:

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la mancanza della motivazione, o la sussistenza di una motivazione meramente apparente, nonchè la nullità della sentenza per violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 9, comma 2.

Sostiene di aver fornito alla corte d’appello puntuali indicazioni che non sarebbero state tenute in adeguato conto, e che da fonti consultate emergerebbe che tra l’agosto del 2015 e l’agosto del 2016 sarebbe stata compiuta nel suo paese di origine una grave campagna di repressione da parte delle forze di sicurezza nigeriane che avrebbero ucciso non meno di 150 agitatori pro Biafra.

Il motivo è inammissibile per la sua genericità.

Non cita le fonti dalle quali trarrebbe tali informazioni, nel suo assunto atte a contrapporsi a quanto rilevato dalla corte d’appello, nè riferisce, con la dovuta specificità, di averle citate durante il giudizio di merito e che esse non siano state tenute in conto ai fini della decisione.

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 351 del 2007, art. 14: afferma che la corte d’appello non avrebbe acquisito informazioni aggiornate da fonti attendibili ed ufficiali, ma si sarebbe limitata a riprodurre le informazioni acquisite già dalla commissione e dal tribunale.

Anche questo è inammissibile in quanto in primo logo è riproduttivo di un motivo di appello (come riportato a pag. 7 del ricorso) e pertanto non contiene una censura avverso il provvedimento impugnato ma è piuttosto volto a sollecitare inammissibilmente la Corte alla rinnovazione del giudizio in fatto, ed anche a non voler considerare ciò comunque del tutto generico, incorrendo in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6. La contestazione relativa alla mancata diretta contestazione delle fonti è da un lato destituita da ogni ancoraggio probatorio, dall’altro non corrisponde al reale contenuto della decisione, atteso che la corte d’appello cita fonti aggiornate al momento della decisione (Rapporto Easo 2019) che non erano venute ancora ad esistenza, perchè successive, al momento della decisione amministrativa e della pronuncia di primo grado.

Con il terzo motivo, lamenta la violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, art. 19, comma 2 e del D.Lgs. n. 251 del 2007, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3 sostenendo che, col negare il suo diritto al riconoscimento della protezione umanitaria, la corte d’appello abbia trascurato di considerare la sua vulnerabilità, ricostruibile dalla sua vicenda personale, dalla effettiva integrazione in Italia, dalle condizioni di povertà in cui si era ridotto a causa della persecuzione subita.

Anche questo motivo, anch’esso qualificato, a pag. 8 del ricorso, come motivo d’appello, è del tutto generico e non si confronta con la sentenza impugnata. Del supposto percorso di integrazione, in tesi sottovalutato dal giudice di merito, il ricorrente non fornisce alcuna indicazione.

Il ricorso è quindi complessivamente inammissibile: non si confronta adeguatamente con la motivazione della pronuncia impugnata, peraltro puntuale.

Al contrario, il ricorrente si limita a riproporre le proprie argomentazioni, sostenendo del tutto apoditticamente che i suoi diritti alla protezione internazionale non siano stati ben tutelati, in maniera del tutto astratta, senza cioè confrontarsi con i singoli punti del provvedimento impugnato cui si riferiscono le censure e con le ragioni della decisione.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività processuale in questa sede.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater, se dovuto.

PQM

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2021

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