Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9250 del 19/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 19/04/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 19/04/2010), n.9250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – President – –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consiglie – –

Dott. NOBILE Vittorio – Consiglie – –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consiglie – –

Dott. MELIADO’ Giuseppe – rel. Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 12199-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega a margine

del ricorso;

– ricorrente –

contro

C.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CAVOUR 221,

presso lo studio dell’avvocato FABBRINI FABIO, che lo rappresenta e

difende, giusta delega a margine del controricorso;

– controricorrente –

e contro

D.G., DE.OR., CR.MI., R.

M.;

– intimati –

e sul ricorso 16086-2006 proposto da:

R.M., elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZALE DON

MINZONI 9, presso lo studio dell’avvocato AFELTRA ROBERTO, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato ZEZZA LUIGI, giusta

delega a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A.;

– intimata –

e sul ricorso 16353-2006 proposto da:

DE.OR., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GIOVANNI

GENTILE 8, presso lo studio dell’avvocato MARTORIELLO MASSIMO,

rappresentata e difesa dall’avvocato COGO GIOVANNA, giusta delega in

calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato FIORILLO LUIGI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE, giusta delega a margine

del ricorso;

– controricorrente al ricorso incidentale –

avverso la sentenza n. 234/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 13/04/2005 R.G.N. 160/04 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/03/2010 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE MELIADO’;

udito l’Avvocato FIORILLO LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

ABBRITTI PIETRO che ha concluso per inammissibilita’ per i

conciliati, rigetto nel resto.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza in data 15.3/13.4.2005 la Corte di appello di Milano confermava le sentenze rese dal Tribunale di Milano (n. 685/2003 e 330/2003) nelle cause promosse nei confronti delle Poste Italiane da D.P.G., C.M., Cr.Mi., D. O. e R.M., nella parte in cui avevano dichiarato sussistere fra i predetti e le Poste Italiane un rapporto di lavoro a tempo indeterminato, per effetto della nullita’ dei termini apposti ai contratti conclusi fra le parti a decorrere rispettivamente dal 28.5.1999, 17.7.1998, 6.10.1999,11.12.1999 e 7.7.1999.

Osservava la corte territoriale, con riferimento alla posizione del R. (il quale aveva stipulato un primo contratto, nel luglio 1999, per la sostituzione di personale in ferie, ed un secondo, nel febbraio 2000, per “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso…”), che non risultava provata l’esistenza delle condizioni che legittimavano il contratto, non essendo sufficiente il riferimento alla astratta previsione contrattuale e, per il resto, che, trattandosi di contratti stipulati successivamente al 30.4.1998, si doveva ritenere che gli accordi sindacali intervenuti successivamente all’accordo del 25.9.1997 non fossero meramente ricognitivi del perdurare delle esigenze legittimanti le assunzioni a tempo determinato, ma erano piuttosto volti a stabilire precisi limiti di scadenza all’autorizzazione alla stipulazione di contratti a tempo determinato, con la conseguenza che era inibito alle parti di autorizzare retroattivamente, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica, la stipulazione di contratti a termine non piu’ legittimati per effetto della durata in precedenza stabilita.

Rilevava, altresi’, la corte che doveva escludersi che la mancata reazione dei lavoratori all’estromissione dall’azienda fosse da qualificare come un comportamento concludente della volonta’ di risolvere consensualmente il rapporto di lavoro, in difetto di comportamenti in tal senso univoci.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane con cinque motivi.

Resistono con controricorso C.M., DE.Or. e R.M., il quale ultimo ha anche proposto “ricorso incidentale” con riferimento alle domande ritenute assorbite dal giudice del riesame.

Non hanno svolto attivita’ difensiva D.P.G. e C. M..

Hanno depositato memorie le Poste Italiane e R.M..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, svolto ai sensi dell’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5 la societa’ ricorrente lamenta violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e art. 1372 c.c., nonche’ vizio di motivazione, osservando come la corte territoriale avesse erroneamente trascurato di considerare che la risoluzione consensuale dei rapporti di lavoro era resa palese dal contegno di prolungata ed ininterrotta inerzia assunto dopo la scadenza dei contratti a termine (“mediamente 1 o 2 anni seconda delle diverse posizioni”). Con il secondo motivo, la societa’ ricorrente prospetta violazione e falsa applicazione dell’art. 2697 c.c., art. 115 e 116 c.p.c., osservando, con riferimento alla posizione di R.M., come la norma contrattuale avesse espressamente previsto la possibilita’ di far ricorso alla contrattazione a termine in concomitanza con il periodo feriale, dando rilievo all’esistenza di uno specifico problema organizzativo in tal senso, e che, peraltro, nessuna specifica contraria allegazione era stata formulata al riguardo da controparte.

Con il terzo e quarto motivo la societa’ ricorrente, lamentando violazione e falsa applicazione (art. 360 c.p.c., n. 3) della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, della L. n. 56 del 1987, art. 23, dei criteri di ermeneutica contrattuale in relazione agli accordi collettivi intercorsi, nonche’ vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., n. 5), deduce che il potere normativamente attribuito alla contrattazione collettiva di individuare nuove ipotesi di assunzione a termine, in aggiunta a quelle gia’ stabilite dall’ordinamento, poteva essere esercitato senza limiti di tempo, non prevedendosi alcun limite temporale al riguardo, con la conseguenza che agli accordi c.d. attuativi del contratto del 25.9.1997 non poteva che riconoscersi una funzione meramente ricognitiva della permanenza delle esigenze sottese alla necessita’ di stipulare ulteriori contratti a termine.

Con il quinto motivo, infine, la societa’ ricorrente censura la sentenza impugnata, prospettando violazione degli artt. 1206, 1207, 1217, 2094 e 2099 c.c., nonche’ vizio di motivazione, per aver omesso di verificare se vi fosse stata effettiva costituzione in mora da parte dei lavoratori, non potendo a tal fine ritenersi equivalente la mera comunicazione del tentativo di conciliazione.

Con l’unico motivo del ricorso incidentale DE.Or. lamenta violazione dell’art. 91 c.p.c. e del D.M. 8 aprile 2004, n. 127 per avere la corte territoriale liquidato le spese di causa (per un importo di Euro 650,00) in misura inferiore ai minimi tabellari.

1. I ricorsi vanno preliminarmente riuniti ai sensi dell’art. 335 c.p.c..

2. Il ricorso proposto dalla societa’ ricorrente nei confronti di C.M. e Cr.Mi. va dichiarato inammissibile.

Sono stati, infatti, depositati copia dei verbali di conciliazioni stipulati fra la societa’ ricorrente e i predetti in data 7.6.2006 ( Cr.) e 20.1.2009 ( C.). Da tali verbali risulta che le parti hanno raggiunto un accordo transattivo in conformita’ alle previsioni degli accordi collettivi in tema di consolidamento dei rapporti di lavoro degli assunti a tempo determinato riammessi in servizio per ordine del Giudice del lavoro, in esito al quale il Cr. ed i C. sono stati assunti con contratto di lavoro a tempo indeterminato, rinunciando agli effetti giuridici ed economici della sentenza di riammissione in servizio, nonche’ ad azionare ogni rivendicazione ricollegabile ad eventuali ulteriori rapporti intercorsi con la societa’, seppur diversi da quello preso a riferimento nella sentenza citata nel verbale medesimo, dandosi atto dell’intervenuta amichevole e definitiva conciliazione a tutti gli effetti di legge e dichiarando che – in caso di fasi giudiziali ancora aperte – le stesse saranno definite in coerenza con il presente verbale.

Osserva il Collegio che i suddetti verbali di conciliazione si palesano idonei a dimostrare la cessazione della materia del contendere nel giudizio di cassazione ed il conseguente sopravvenuto difetto di interesse delle parti a proseguire il processo; alla cessazione della materia del contendere consegue pertanto la declaratoria di inammissibilita’ del ricorso in quanto l’interesse ad agire, e quindi anche ad impugnare, deve sussistere non solo nel momento in cui e’ proposta l’azione o l’impugnazione, ma anche nel momento della decisione, in relazione alla quale, ed in considerazione della domanda originariamente formulata, va valutato l’interesse ad agire (Cass. S.U. 29 novembre 2006 n. 25278, Cass. 13- 7-2009 n. 16341). Spese compensate, stante l’esito del giudizio.

3. Con riferimento a tutte le ulteriori parti, infondato si palesa il primo motivo del ricorso principale.

Come questa Corte ha piu’ volte affermato “nel giudizio instaurato ai fini del riconoscimento della sussistenza di un unico rapporto di lavoro a tempo indeterminato, sul presupposto dell’illegittima apposizione al contratto di un termine finale ormai scaduto, affinche’ possa configurarsi una risoluzione del rapporto per mutuo consenso, e’ necessario che sia accertata – sulla base del lasso di tempo trascorso dopo la conclusione dell’ultimo contratto a termine, nonche’ del comportamento tenuto dalle parti e di eventuali circostanze significative – una chiara e certa comune volonta’ delle parti medesime di porre definitivamente fine ad ogni rapporto lavorativo; la valutazione del significato e della portata del complesso di tali elementi di fatto compete al giudice di merito, le cui conclusioni non sono censurabili in sede di legittimita’ se non sussistono vizi logici o errori di diritto” (v. Cass. 10-11-2008 n. 26935, Cass. 28-9-2007 n. 20390, Cass. 17-12-2004 n. 23554, Cass. 11- 12-2001 n. 15621).

Tale principio va enunciato anche in questa sede, rilevando, inoltre, che, come pure e’ stato precisato, “grava sul datore di lavoro, che eccepisca la risoluzione per mutuo consenso, l’onere di provare le circostanze dalle quali possa ricavarsi la volonta’ chiara e certa delle parti di volere porre definitivamente fine ad ogni rapporto di lavoro” (v. Cass. 2-12-2002 n. 17070).

Circostanze che, con corretta motivazione, la corte territoriale ha ritenuto nel caso non provate, alla luce dell’impossibilita’ di arguirle solo dal decorso del tempo (nel caso, peraltro, non particolarmente eccessivo) maturatosi prima della proposizione del ricorso.

4. Infondati si palesano, poi, i ricorsi proposti nei confronti di D.P.G. e DE.Or..

4.1 Vanno ribaditi, infatti, con riferimento al terzo e al quarto motivo del ricorso, i principi, ormai acquisiti, che questa Suprema Corte ha affermato riguardo alla disciplina dell’istituto nel sistema vigente anteriormente all’entrata in vigore del D.Lgs. n. 368 del 2001.

In primo luogo, sulla scia di Cass. S.U. 2-3-2006 n. 4588, questa Corte ha piu’ volte affermato che “l’attribuzione alla contrattazione collettiva, L. n. 56 del 1987, ex art. 23, del potere di definire nuovi casi di assunzione a termine rispetto a quelli previsti dalla L. n. 230 del 1962, discende dall’intento del legislatore di considerare l’esame congiunto delle parti sociali sulle necessita’ del mercato del lavoro idonea garanzia per i lavoratori ed efficace salvaguardia per i loro diritti (con l’unico limite della predeterminazione della percentuale di lavoratori da assumere a termine rispetto a quelli impiegati a tempo indeterminato) e prescinde, pertanto, dalla necessita’ di individuare ipotesi specifiche di collegamento fra contratti ed esigenze aziendali o di riferirsi a condizioni oggettive di lavoro o soggettive dei lavoratori ovvero di fissare contrattualmente limiti temporali all’autorizzazione data al datore di lavoro di procedere ad assunzioni a tempo determinato” (v. Cass. 4-8-2008 n. 21063,v. anche Cass. 20-4-2006 n. 9245, Cass. 7-3-2005 n. 4862, Cass. 26-7-2004 n. 14011). “Ne risulta, quindi, una sorta di “delega in bianco” a favore dei contratti collettivi e dei sindacati che ne sono destinatari, non essendo questi vincolati alla individuazione di ipotesi comunque omologhe a quelle previste dalla legge, ma dovendo operare sul medesimo piano della disciplina generale in materia ed inserendosi nel sistema da questa delineato.” (v., fra le altre, Cass. 4-8-2008 n. 21062, Cass. 23-8-2006 n. 18378).

In tale quadro, ove pero’ un limite temporale sia stato previsto dalle parti collettive, la sua inosservanza determina la nullita’ della clausola di apposizione del termine (v. fra le altre Cass. 23-8- 2006 n. 18383, Cass. 14-4-2005 n. 7745, Cass. 14-2-2004 n. 2866).

In particolare, come questa Corte ha piu’ volte rilevato, “in materia di assunzioni a termine di dipendenti postali, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del c.c.n.l.

26 novembre 1994, e con il successivo accordo attuativo, sottoscritto in data 16 gennaio 1998, le parti hanno convenuto di riconoscere la sussistenza della situazione straordinaria, relativa alla trasformazione giuridica dell’ente ed alla conseguente ristrutturazione aziendale e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso di attuazione, fino alla data del 30 aprile 1998; ne consegue che deve escludersi la legittimita’ delle assunzioni a termine cadute dopo il 30 aprile 1998, per carenza del presupposto normativo derogatorio, con la ulteriore conseguenza della trasformazione degli stessi contratti a tempo indeterminato, in forza dell’art. 1 della legge 18 aprile 1962 n. 230” (v., fra le altre, Cass. 1-10-2007 n. 20608, Cass. 27-3-2008 n. 7979, Cass. 18378/2006 cit.).

Rilevato, quindi, che, in forza della sopra citata delega in bianco le parti sindacali hanno individuato, quale nuova ipotesi di contratto a termine, quella di cui al citato accordo integrativo del 25 settembre 1997, questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito che, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data ed al successivo accordo attuativo sottoscritto in data 16 gennaio 1998, hanno reputato che con tali accordi le parti avessero convenuto di riconoscere la sussistenza fino al 31 gennaio 1998 (e poi in base al secondo accordo attuativo, fino al 30 aprile 1998) della situazione di cui al citato accordo integrativo, con la conseguenza che deve escludersi la legittimita’ dei contratti a termine stipulati dopo il 30 aprile 1998 in quanto privi di presupposto normativo. Questa Corte ha anche osservato che tale interpretazione non viola alcun canone ermeneutico, atteso che il significato letterale delle espressioni usate e’ cosi’ evidente e univoco che non necessita di una piu’ diffusa argomentazione ai fini della ricostruzione della volonta’ delle parti; infatti nell’interpretazione delle clausole dei contratti collettivi di diritto comune, nel cui ambito rientrano sicuramente gli accordi sindacali sopra riferiti, si deve fare innanzitutto riferimento al significato letterale delle espressioni usate e, quando esso risulti univoco, e’ precluso il ricorso a ulteriori criteri interpretativi, i quali esplicano solo una funzione sussidiaria e complementare nel caso in cui il contenuto del contratto si presti a interpretazioni contrastanti (cfr., ex plurimis, Cass. n. 28 agosto 2003 n. 12245, Cass. 25 agosto 2003 n. 12453). Inoltre, e’ stato rilevato che tale interpretazione si palesa rispettosa del canone ermeneutico dell’art. 1367 cod. civ., a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anziche’ in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno; ed infatti la stessa attribuisce un significato agli accordi attuativi (in considerazione della loro idoneita’ ad introdurre termini successivi di scadenza alla facolta’ di assunzione a tempo, termini che non figuravano previsti ex ante), laddove, diversamente opinando, gli stessi risulterebbero “senza senso” (cosi’ testualmente Cass. n. 14 febbraio 2004 n. 2866). Infine, corretta e’ apparsa, nella ricostruzione della volonta’ delle parti come operata dai giudici di merito, l’irrilevanza attribuita all’accordo del 18 gennaio 2001, in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga, e cioe’ quando il diritto del lavoratore si era gia’ definitivamente perfezionato.

Ed infatti, anche ad ammettere che le parti fossero mosse dall’intento di interpretare autenticamente gli accordi precedenti, con effetti di sanatoria delle assunzioni effettuate senza la copertura dell’accordo del 25 settembre 1997 (scaduto in forza delle convenzioni attuative), si dovrebbe, comunque, richiamare la regola dell’indisponibilita’ dei diritti dei lavoratori gia’ acquisiti, con la conseguente esclusione per le parti stipulanti del potere, anche mediante lo strumento dell’interpretazione autentica (previsto solo per lo speciale settore del lavoro pubblico, secondo la disciplina nel D.Lgs. n. 165 del 2001), di autorizzare retroattivamente la stipulazione di contratti non piu’ legittimi per effetto della durata in precedenza stabilita (cfr, per tutte, Cass. 12 marzo 2004 n. 5141).

4.2. Anche il quinto motivo del ricorso principale e’ infondato.

Basti, al riguardo, osservare che la sentenza impugnata ha accertato che tanto il D.P. che la DE. hanno provveduto a costituire in mora la societa’ ricorrente e che il contenuto di tale accertamento non risulta documentalmente contestato, in conformita’ al canone di necessaria autosufficienza del ricorso per cassazione.

Del resto piu’ volte questa Corte ha affermato che ben puo’ essere ravvisata la messa in mora anche nella comunicazione della convocazione per il tentativo obbligatorio di conciliazione (v. fra le altre Cass. 28-7-2005 n. 15900, Cass. 30-8-2006 n. 18710). 11 ricorso proposto dalla Poste Italiane nei confronti del D.P. e della DE. va, pertanto, rigettato. Nulla sulle spese con riguardo al D.P., non avendo lo stesso svolto attivita’ difensiva (per quanto riguarda la DE. v. infra), 5. Fondato appare, invece, il secondo motivo del ricorso, relativamente al primo contratto stipulato fra le Poste Italiane e R.M., nel luglio 1999, per la sostituzione di personale in ferie.

Questa Corte Suprema (cfr., da ultimo, Cass. 2 marzo 2007 n. 4933), decidendo su fattispecie analoghe a quella in esame (contratto a termine stipulato ex art. 8 c.c.n.l. 26.11.1994, in relazione alla necessita’ di espletamento del servizio in concomitanza di assenze per ferie nel periodo giugno-settembre), ha reiteratamente affermato l’insussistenza dell’obbligo di indicare nel contratto il nome del lavoratore sostituito, per determinare la tesi opposta la violazione di norme di diritto, oltre che una erronea interpretazione della normativa collettiva.

Si e’ rilevato, infatti, che, ad escludere l’autonomia del contratto a termine regolato dalla contrattazione collettiva rispetto alla previsione legale, si determinerebbe un palese contrasto col principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite di questa Suprema Corte e gia’ richiamato (Cass. S.U. 2 marzo 2006 n. 4588), secondo cui la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23, che demanda alla contrattazione collettiva la possibilita’ di individuare nuove ipotesi di apposizione di un termine alla durata del rapporto di lavoro, configura una vera e propria delega in bianco a favore dei sindacati, i quali, pertanto, non sono vincolati alla individuazione di figure di contratto a termine comunque omologhe a quelle previste per legge. Giova soggiungere che altre decisioni di questa Suprema Corte (cfr. ad es. Cass. 6 dicembre 2005 n. 26678, Cass. 7-3-2008 n. 6204) hanno confermato le decisioni di merito che, nel ritenere l’ipotesi di contratto a termine introdotta dalla contrattazione collettiva del tutto autonoma rispetto alla previsione legale, hanno interpretato l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo nel senso di riconoscere, quale unico presupposto per la sua operativita’, l’assunzione nel periodo in cui, di norma, i dipendenti fruiscono delle ferie.

Cosi’ come (cfr. Cass. 28-3-2008 n. 8122) si e’ confermato che “l’unica interpretazione corretta della norma collettiva in esame (art. 8 c.c.n.l. 26-11-1994) e’ quella secondo cui, stante l’autonomia di tale ipotesi rispetto alla previsione legale …

l’autorizzazione conferita dal contratto collettivo non prevede come presupposto per la sua operativita’ l’onere, per il datore di lavoro, di provare le esigenze di servizio in concreto connesse all’assenza per ferie di altri dipendenti nonche’ la relazione causale tra dette esigenze e l’assunzione del lavoratore con specifico riferimento all’unita’ organizzativa alla quale lo stesso e’ stato destinato”.

Alla luce dei principi indicati ed in accoglimento del relativo motivo di ricorso, la sentenza impugnata va, pertanto, in parte qua cassata e la causa rimessa al giudice di merito, il quale provvedera’ a riesaminarla, pure con riferimento agli ulteriori contratti stipulati, alla luce dei criteri interpretativi indicati, statuendo anche in ordine alle spese del presente giudizio.

Nelle conclusioni che precedono resta assorbito il ricorso incidentale proposto dal R..

6. Meritevole di accoglimento e’ anche il ricorso incidentale della DE., risultando palese, a fronte della specifica indicazione del valore della causa e delle voci ritenute rilevanti sulla base della tabella professionale, la violazione del principio della inderogabilita’ della tariffa professionale, nell’assenza di alcun riferimento alle eccezionali ipotesi che consentono, secondo l’ordinamento, la diminuzione o riduzione delle competenze difensive.

Va, infatti, ribadito che, anche per l’ipotesi di omesso deposito della nota, il giudice ha il potere – dovere di provvedere alla liquidazione delle spese giudiziali sulla base degli atti di causa, ai sensi dell’art. 91 c.p.c. nel rispetto dei minimi e massimi prescritti dalla tariffa professionale forense in relazione al valore della causa, configurando il superamento dei limiti della tariffa nella liquidazione delle spese giudiziali un vizio in indicando censurabile in cassazione.

In accoglimento del ricorso, la sentenza impugnata va, pertanto, anche in ordine a tale punto cassata e la causa rimessa al giudice di merito, il quale, attenendosi al principio indicato, provvedera’ pure sul regolamento delle spese del giudizio di legittimita’.

PQM

La Corte riunisce i ricorsi, dichiara inammissibili i ricorsi proposti dalla societa’ ricorrente nei confronti di C.M. e Cr.Mi. e compensa le spese del processo fra le dette parti; rigetta il ricorso proposto nei confronti di D.P. G., nulla per le relative spese; rigetta il ricorso proposto dalla societa’ ricorrente nei confronti di De.Or.;

accoglie il ricorso incidentale di quest’ultima e il secondo motivo del ricorso proposto dalla societa’ ricorrente nei confronti di R.M.; cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti e rinvia, anche per la regolamentazione delle spese del giudizio di legittimita’, alla Corte di appello di Milano in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2010

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