Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9250 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 11/04/2017, (ud. 20/09/2016, dep.11/04/2017),  n. 9250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 2683-2014 proposto da:

GENERALI ITALIA SPA, (OMISSIS), cessionaria del ramo d’azienda

Direzione per l’Italia di ASSICURAZIONI GENERALI SPA, rappresentata

dalla propria mandataria GENERALI BUSINESS SOLUTIONS SCPA, in

persona dei procuratori speciali P.V. e D.G.,

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati MANUELA MAGGI,

LEONARDO MUSURACA giusta procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

GENERALI ITALIA SPA (OMISSIS), cessionaria del ramo d’azienda

Direzione per l’Italia di ASSICURAZIONI GENERALI SPA, rappresentata

dalla propria mandataria GENERALI BUSINESS SOLUTIONS SCPA, in

persona dei procuratori speciali P.V. e D.G.,

domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA CORTE DI

CASSAZIONE, rappresentata e difesa dagli avvocati MANUELA MAGGI,

LEONARDO MUSURACA giusta procura speciale in calce al ricorso

principale;

– controricorrente –

e contro

F.R., + ALTRI OMESSI

– intimati –

Nonchè da:

F.C., + ALTRI OMESSI

– ricorrenti incidentali –

contro

GENERALI ITALIA SPA (OMISSIS), HDI ASSICURAZIONI SPA, L.F.,

A.F., A.M., D.S.P.;

– intimati –

Nonchè da:

HDI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale Dott.

PR.MA., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN

45, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ARDITI DI CASTELVETERE,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ADRIANA MORELLI

giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrente incidentale –

contro

GENERALI ITALIA SPA (OMISSIS), F.R., B.M.L.,

F.L., F.C., L.S.F.P.;

A.F., A.M., D.S.P.;

– intimati –

Nonchèda:

F.C., F.L., B.M.L., F.R.,

elettivamente domiciliati in ROMA, VIALE DELLE MILIZIE 1, presso lo

studio dell’avvocato GUGLIELMO BURRAGATO, che li rappresenta e

difende giusta procura speciale in calce al controricorso e ricorso

incidentale;

– ricorrenti incidentali –

contro

HDI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale Dott.

PR.MA., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA COSTANTINO MORIN

45, presso lo studio dell’avvocato MICHELE ARDITI DI CASTELVETERE,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato ADRIANA MORELLI

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente all’incidentale –

avverso la sentenza n. 2329/2013 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 05/06/2013;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2016 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito l’Avvocato MARCO VINCENTI per delega;

udito l’Avvocato MICHELE ARDITI DI CASTELVETERE;

udito l’Avvocato GHERA per delega;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per l’accoglimento del 1 motivo del

ricorso principale rigetto del 2 motivo, accoglimento del ricorso

incidentale di HDI, rigetto del primo ricorso incidentale e per

l’inammissibilità del 2 ricorso incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 5/6/2013 la Corte d’Appello di Milano, in parziale accoglimento del gravame interposto dalla società Hdi Assicurazioni s.p.a. – in via principale – e dal sig. L.F. – in via incidentale – e in conseguente riforma della pronunzia Trib. Milano 22/11/2008, ha ascritto alla concorrente responsabilità del L. e del sig. A.F. nella misura rispettivamente di 2/3 ed 1/3, il sinistro avvenuto l'(OMISSIS) alle ore 22,30 lungo la SP (OMISSIS) tra l’autovettura Lancia Y da quest’ultimo condotta (e di proprietà del sig. A.M.), per non aver rispettato i limiti di velocità, e l’autovettura Hyundai di proprietà e condotta dal primo, assicurato per la r.c.a. con la società Generali Assicurazioni s.p.a., per essersi immesso nella “strada provinciale senza concedere la precedenza”.

Sinistro all’esito del quale la sig. F.R., trasportata sul sedile posteriore della Hyundai, ha riportato gravi lesioni.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito la società Generali Italia s.p.a., cessionaria del ramo d’azienda Direzione per l’Italia di Assicurazioni Generali s.p.a., rappresentata dalla propria mandataria Generali Business Solutions s.c.p.a., propone ora ricorso per cassazione affidato a 2 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi la società Hdi Assicurazioni s.p.a., che spiega altresì ricorso incidentale sulla base di 3 motivi illustrati da memoria; dai sigg.ri F.R. ed altri che spiegano altresì ricorsi incidentali condizionati sulla base di 3 motivi, illustrati da memoria, cui resistono con separati controricorsi la società Hdi Assicurazioni s.p.a. e la società Generali Italia s.p.a.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Va pregiudizialmente affermata l’ammissibilità del ricorso principale.

L’eccezione pregiudiziale proposta dai controricorrenti-ricorrenti in via incidentale sigg. F.R. ed altri di nullità della costituzione in giudizio della ricorrente in via principale per difetto dei poteri di rappresentanza sostanziale conferiti ai procuratori speciali, e conseguentemente del potere di rappresentanza processuale conferito al procuratore ad litem, è infondata.

Nel ricorso per cassazione viene regolarmente indicato tanto l’atto di procura a rogito notaio Da. di (OMISSIS), con il quale la società Generali Italia s.p.a. ha conferito il potere di rappresentanza negoziale a Generali Business Solutions s.c.p.a., quanto l’atto di attribuzione dei poteri di rappresentanza societaria ai procuratori speciali di tale società sigg.ri P.V. e D.G. (procura speciale a rogito notaio St. di (OMISSIS)), e la procura speciale ad litem risulta dai predetti procuratori rilasciata agli avv. Manuela Maggi e Leonardo Musuraca del Foro di Milano, con foglio spillato all’atto di ricorso.

I controricorrenti-ricorrenti in via incidentale sigg. F.R. ed altri hanno in termini generici e del tutto apodittici – in violazione pertanto dei requisiti prescritti all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, – contestato “l’asserita successione a titolo particolare di Generali Italia s.p.a. nella posizione sostanziale controversa di Assicurazioni Generali, e con essa la legittimazione attiva della stessa Generali Italia, non essendo stato allegato l’atto di cessione di ramo di azienda su cui si fonderebbe tale asserita successione”.

Non hanno viceversa contestato l’esistenza delle procure conferite per atto pubblico e l’iscrizione delle stesse nel registro delle imprese, limitandosi a dedurre che trattasi di “procura risalente al 2009, non allegata al ricorso”, e a prospettarne l’inidoneità a fondare l’attività di rappresentanza negoziale e processuale dei procuratori speciali, del tutto omettendo tuttavia di fornire elementi decisivi a sostegno della sollevata eccezione, non peritandosi nemmeno di riportare nel ricorso il contenuto degli atti pubblici in questione, sebbene estraibili in copia presso i notai roganti, quali depositari autorizzati ex art. 743 c.p.c. (cfr. Cass., Sez. Un., 27/1/2010, n. 1629).

Stante la formulazione a tale stregua non specifica della censura (cfr. Cass., 17/7/2013, n. 17470), in difetto della stessa descrizione del fatto processuale, essa si risolve invero in una prospettazione meramente ipotetica del vizio di invalidità della costituzione in giudizio della società ricorrente in via principale (cfr., in termini, Cass., 13/12/2016, n. 25487).

Trova pertanto nel caso applicazione il principio in base al quale il successore a titolo particolare nel diritto controverso è legittimato ad impugnare la sentenza resa nei confronti del proprio dante causa (cfr. Cass., 17/3/2009, n. 6444) allegando il titolo che gli consente di sostituire quest’ultimo, essendo a tal fine sufficiente la specifica indicazione di tale atto nell’intestazione dell’impugnazione qualora il titolo sia di natura pubblica (di contenuto quindi accertabile), e sia rimasto del tutto o come nella specie non idoneamente contestato.

Con il 1^ motivo la ricorrente in via principale denunzia “violazione e falsa applicazione” della L. n. 990 del 1969, artt. 18 e 19, artt. 2054, 2909, 1917 e 2033 c.c., artt. 102, 112, 324, 329 e 331 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “contraddittoria insufficiente” motivazione “e/o omesso esame” su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente qualificato il rapporto come di manleva, ritenendo trattarsi di c.d. garanzia impropria, con conseguente autonomia ed indipendenza del rapporto tra danneggiati-attori e assicurati rispetto a quello tra assicurati e compagnie assicuratrici, laddove nel caso il rapporto è viceversa unitario, vertendosi in ipotesi di causa inscindibile e litisconsorzio necessario, sicchè la corte di merito ha erroneamente ritenuto che l’impugnazione delle società Assicurazioni Generali s.p.a. e Hdi Assicurazioni s.p.a. non abbia impedito il passaggio in giudicato della pronunzia (pure) nei confronti degli assicurati L. e A..

Con il 1^ motivo la ricorrente in via incidentale società Hdi Assicurazioni s.p.a. denunzia “violazione ed erronea interpretazione” degli artt. 102, 331 e 336 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che “l’obbligazione dell’assicuratore, anche se divenuta solo indiretta, in manleva dell’assicurato, è comunque condizionata dall’obbligazione risarcitoria di quest’ultimo, che ne costituisce il presupposto, sì che permane anche in tale ipotesi una situazione di litisconsorzio necessario di natura processuale, conseguente al vincolo di connessione e dipendenza delle sue obbligazioni”, e che nella specie “trova comunque applicazione il disposto dell’art. 331 c.p.c. sì che, contrariamente a quanto affermato dalla Corte d’Appello di Milano, l’impugnazione tempestivamente proposta da HDI Assicurazioni s.p.a. ha impedito il passaggio in giudicato della sentenza nei confronti di tutte le altre parti”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono fondati e vanno accolti nei termini e limiti di seguito indicati.

Come, a composizione di insorto contrasto interpretativo, le Sezioni Unite di questa Corte hanno avuto modo di porre in rilievo, in caso di chiamata in causa in garanzia dell’assicuratore della responsabilità civile l’impugnazione esperita esclusivamente dal terzo chiamato avverso la sentenza che abbia accolto sia la domanda principale di affermazione della responsabilità del convenuto e di condanna dello stesso al risarcimento del danno, che la domanda di garanzia da costui proposta, giova anche al soggetto assicurato, senza necessità di una sua impugnazione incidentale, indipendentemente dalla relativa qualificazione come garanzia propria o impropria (v. Cass., Sez. Un., 4/12/2015, n. 24707, ove si è osservato che le dette qualificazioni hanno valore puramente descrittivo, essendo prive di effetti ai fini dell’applicazione degli artt. 32, 108 e 331 c.p.c., dovendo ravvisarsi un’ipotesi di litisconsorzio necessario processuale non solo qualora il convenuto abbia inteso solamente estendere l’efficacia soggettiva – nei confronti del terzo chiamato – dell’accertamento relativo al rapporto principale, ma anche nell’ipotesi in cui abbia voluto allargare l’oggetto del giudizio chiedendo l’accertamento dell’esistenza del rapporto di garanzia (v. Cass., Sez. Un., 4/12/2015, n. 24707).

Orbene, nell’impugnata sentenza la corte di merito ha invero disatteso il suindicato principio.

In particolare là dove ha affermato che “nei confronti di tutti i soggetti direttamente condannati al risarcimento dei danni in favore degli attori signori F. la sentenza di primo grado è passata in giudicato”, in quanto pur avendo i danneggiati “proposto azione diretta anche nei confronti delle assicurazioni HDI Ass.ni srl e Generali spa, il tribunale, a torto o a ragione ma comunque con impostazione che nessuna delle compagnie assicuratrici nè degli altri interessati ha fatto oggetto di censura, ha emesso condanna al risarcimento in favore degli attori solo nei confronti dei danneggianti, limitandosi poi a condannare in manleva la HDI Ass.ni srl e Generali spa in favore dei rispettivi assicurati A.F. e L.F.”.

Ancora, nella parte in cui ha osservato come a tale stregua risultino introdotte “due cause dipendenti di garanzia tra i conducenti assicurati e le rispettive assicurazioni”, sicchè “i pagamenti dalle medesime – non destinatarie di condanna diretta – effettuati ai danneggiati F./ B. in esecuzione della sentenza di primo grado devono intendersi eseguiti non in proprio ma per conto dei rispettivi assicurati (nei cui confronti la sentenza fa definitivamente stato) e quindi irripetibili, quale che sia l’esito del presente giudizio”.

Là dove è pervenuta quindi a concludere che “effettivamente l’appello proposto dalla HDI Ass.ni potrà modificare quanto accertato nella causa principale solo nell’ambito ed ai fini del rapporto di garanzia e quindi della manleva dovuta dalla compagnia ad A.F.”.

Con il 2 motivo la ricorrente in via principale denunzia “violazione e falsa applicazione degli artt. 1223, 1226, 2056, 2059, 2697 e 2727 c.c., art. 115 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; nonchè “contraddittoria ” motivazione “e/o omesso esame” su punto decisivo della controversia, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5.

Si duole che sia stato dalla corte di merito erroneamente liquidato il danno patrimoniale e non patrimoniale, per essersi cumulato il danno morale e quello biologico.

Lamenta essersi erroneamente ritenuto provato per presunzioni il danno da lesione della capacità lavorativa specifica, in violazione dell’art. 2697 c.c.

Con il 2 motivo la ricorrente in via incidentale società Hdi Assicurazioni s.p.a. denunzia “violazione ed erronea interpretazione” dell’art. 132 c.p.c., art. 118 disp. att. c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole dell'”evidente insanabile contrasto tra le proposizioni riportate alle pagine 3) e 4)”, della contraddittorietà e “inadeguatezza” della motivazione “perchè contiene proposizioni tra loro incompatibili e comportanti pronunce di segno opposto e poichè manca il necessario completamento e coordinamento logico tra le analoghe posizioni dei congiunti F.- B. da un lato e di F.R. dall’altro”.

Con unico motivo i ricorrenti in via incidentale condizionata sigg.ri F.R. ed altri denunziano violazione degli artt. 2043, 2056, 2059 e 2727 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono non essersi dalla corte di merito considerato, “ai fini della necessaria personalizzazione del danno non patrimoniale sofferto dalla signora F.R.”, del “drammatico e irrecuperabile crollo della qualità della vita, nonchè delle prospettive di realizzazione personale ed esistenziale”.

Lamentano che nell’impugnata sentenza “si legge che i genitori ed il fratello della sig.ra F.R. non avrebbero sufficientemente allegato e provato il danno “riflesso” da loro subito in conseguenza dell’illecito di cui è rimasta vittima la loro cara”, laddove “l’affectio familiaris invero si deve presumere spettando semmai a chi intenda negarla provare che – difformemente dall’id quod plerumque accidit – nel caso specifico la comunione degli affetti familiari non si sarebbe mai realizzata, o sarebbe venuta meno”, e che “accertata sia la gravità delle lesioni patite dall’attrice F.R., sia la rilevanza delle menomazioni che ne sono conseguite, è semplicemente impensabile che la sua penosissima vicenda non abbia pesantemente coinvolto coloro che -pacificamente- con lei convivevano, e che le erano più intensamente e significativamente legati”.

Lamentano che a tale stregua “non si vede come potrebbe negarsi che a seguito del trauma patito dalla signora F. anche l’equilibrio esistenziale dei suoi genitori e di suo fratello convivente ne sia stato sconvolto, dal momento che essi: – hanno dovuto patire il dolore di vedere la loro cara in pericolo di vita (cfr. pag. 4 della CTU); – sono progressivamente venuti a conoscenza della gravità e della serietà delle lesioni -molte delle quali pure permanenti – che la loro cara aveva riportato; – sono stati accanto alla sig.ra F. nel lungo periodo di ricovero – anche nel reparto di terapia intensiva – e di degenza, per aiutarla ad affrontare i travagliati e ripetuti interventi chirurgici; – hanno dovuto affrontare il calvario delle visite e delle intense e dolorose terapie riabilitative alle quali l’attrice ha dovuto sottoporsi; hanno dovuto sostenere la sig.ra F., nel tentativo di aiutarla a superare lo sconforto derivatole dalla consapevolezza dell’irrimediabile stravolgimento della sua esistenza”.

I motivi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Quanto al 2 motivo del ricorso principale e al 2 motivo del ricorso incidentale della società Hdi Assicurazioni s.p.a. va osservato che risultano ivi (atteso che pur formalmente denunziando nullità della sentenza per violazione dell’art. 132 c.p.c. (anche) quest’ultima pone a sostegno della mossa censura argomenti concernenti non già il dedotto error in procedendo bensì vizi asseritamente determinanti contraddittorietà e “inadeguatezza” della motivazione) dedotti vizi non più rientranti più nei limiti consentiti dalla vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, (v. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053), nel caso ratione temporis applicabile, in base alla quale il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia solamente nell’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non già difetti ridondanti in termini di insufficienza, illogicità e contraddittorietà della motivazione su questioni decisive della controversia (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Con particolare riferimento al 2 motivo del ricorso principale va per altro verso osservato che esso è inammissibile nella parte in cui viene lamentata una falsa erronea applicazione della norma di ripartizione dell’onere probatorio ex art. 2697 c.c. pur sostanzialmente denunziandosi l’inidoneità degli elementi presi in considerazione a fondare una prova per presunzioni.

A tale stregua non risulta dalla ricorrente osservato il principio in base al quale le norme (art. 2697 ss.) poste dal Libro 6^, Titolo 2^ c.c. regolano le materie a) dell’onere della prova, b) dell’astratta idoneità di ciascuno dei mezzi in esse presi in considerazione all’assolvimento di tale onere in relazione a specifiche esigenze e c) della forma che ciascuno di essi deve assumere; non anche l’apprezzamento degli elementi assunti a fonte di presunzione e posti a base della ragionamento inferenziale proprio della prova per presunzioni, che può semmai rilevare quale vizio logico di motivazione (cfr. Cass., 8/11/1955, n. 3669).

Del pari inammissibile è la censura mossa in relazione alla sussistenza del danno patrimoniale da “riduzione della capacità lavorativa specifica”.

La ratio decidendi sorreggente tale statuizione non risulta infatti idoneamente censurata dalla ricorrente principale, che a fronte della ravvisata correttezza delle “circostanze” prese in considerazione dal giudice di prime cure nell’operare la relativa liquidazione e della ritenuta “raggiunta prova… presuntiva” deponenti per l’ “altamente probabile” conseguenza che “i postumi in certa misura invalidanti, i segni e le cicatrici sia fisiche che morali determineranno mancata progressione di carriera, minori possibilità di cogliere chances sul mercato del lavoro, più ridotte occasioni di far valere la professionalità e mettere a frutto le conoscenze acquisite”, si è invero inammissibilmente limitata ad apodittica e generica critica, essenzialmente sostenziantesi nell’asserito difetto di prova da parte della danneggiata al riguardo.

Le doglianze sono viceversa infondate nella parte relativa all’asseritamente erronea liquidazione del danno non patrimoniale.

Avuto in particolare riguardo al 2 motivo del ricorso principale e ai ricorsi incidentali condizionati dei sigg. F.R. ed altri, va anzitutto osservato che, come questa Corte ha già avuto più volte modo di affermare, alla stessa stregua di quanto si verifica relativamente al danno patrimoniale (cfr., da ultimo, Cass., 14/6/2015, n. 14645; Cass., 12/6/2015, n. 12211) la diversità ontologica degli aspetti (o voci) di cui si compendia la categoria generale del danno non patrimoniale impone, in ossequio al principio dell’integralità del ristoro (v. Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972), che in quanto sussistenti e provati essi vengano tutti risarciti, e nessuno sia lasciato privo di ristoro (v. Cass., 23/4/2013, n. 9770; Cass., 17/4/2013, n. 9231; Cass., 7/6/2011, n. 12273; Cass., 9/5/2011, n. 10108).

Uno di tali aspetti o voci di cui si compendia la categoria generale del danno non patrimoniale è il danno morale, che le Sezioni Unite del 2008 hanno inteso tale danno quale patema d’animo o sofferenza interiore o perturbamento psichico, di natura meramente emotiva e interiore (danno morale soggettivo), a tale stregua recependo la relativa tradizionale concezione affermatasi in dottrina e consolidatasi in giurisprudenza (in precedenza volta a limitare la risarcibilità del danno non patrimoniale alla sola ipotesi di ricorrenza di una fattispecie integrante reato).

La definizione del danno morale è peraltro venuta successivamente ad essere da questa Corte intesa come connotata di significati anche diversi ed ulteriori, in particolare quale lesione della dignità o integrità morale, massima espressione della dignità umana, assumente specifico e autonomo rilievo nell’ambito della composita categoria del danno non patrimoniale, anche laddove la sofferenza interiore non degeneri in danno biologico o in danno esistenziale (v. Cass., 27/10/2015, n. 21782; Cass., 26/6/2013, n. 16041; Cass., 16/2/2012, n. 2228. V. altresì Cass., 20/11/2012, n. 20292; Cass., 3/10/2013, n. 22585, e, da ultimo, Cass., 23/1/2014, n. 1361).

Si è pertanto da questa Corte precisato che anche di tale accezione del danno morale deve tenersi adeguatamente conto nella liquidazione del danno non patrimoniale (v. Cass., 19/10/2016, n. 21058).

Al di là di affermazioni di principio secondo cui il carattere unitario della liquidazione del danno non patrimoniale ex art. 2059 c.c. precluderebbe la possibilità di un separato ed autonomo risarcimento di specifiche fattispecie di sofferenza patite dalla persona (v. Cass., 12/2/2013, n. 3290; Cass., 14/5/2013, n. 11514), da questa Corte si perviene invero generalmente a darsi comunque rilievo alla circostanza che nel liquidare l’ammontare dovuto a titolo di danno non patrimoniale il giudice abbia tenuto conto di tutte le peculiari modalità di atteggiarsi dello stesso nel singolo caso concreto (cfr. Cass., 23/9/2013, n. 21716), giacchè il principio di unitarietà del danno patrimoniale posto da Cass., 11/11/2008, n. 26972 non va inteso nel senso dell’irrisarcibilità (rectius, non ristorabilità) della lesione o perdita di (tutti o alcuni dei) diversi aspetti o voci concernente beni della vita diversi (o eterogenei o non omogenei) in cui la categoria del danno non patrimoniale si scandisce nel singolo caso concreto (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361; Cass., 8/5/2015, n. 9320).

La scelta ed adozione dei criteri di valutazione del danno non patrimoniale è rimessa alla prudente discrezionalità del giudice tra quelli idonei a consentire una valutazione che sia equa, e cioè adeguata e proporzionata v. Cass., 7/6/2011, n. 12408), in considerazione di tutte le circostanze concrete del caso specifico mediante la c.d. personalizzazione del danno (v. Cass., 16/2/2012, n. 2228; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., 29/3/2007, n. 7740; Cass., 12/6/2006, n. 13546), al fine di addivenire a una liquidazione congrua, sia sul piano dell’effettività del ristoro del pregiudizio che di quello della relativa perequazione – nel rispetto delle diversità proprie dei singoli casi concreti – sul territorio nazionale (v. Cass., 13/5/2011, n. 10528; Cass., 28/11/2008, n. 28423; Cass., 29/3/2007, n. 7740; Cass., 12/7/2006, n. 15760).

Esclusa a tale stregua la possibilità di applicarsi in modo “puro” parametri rigidamente fissati in astratto (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361), e considerata del pari inidonea è una valutazione rimessa alla mera intuizione soggettiva del giudice, e quindi, in assenza di qualsiasi criterio generale valido per tutti i danneggiati a parità di lesioni, sostanzialmente al suo mero arbitrio (cfr. Cass., 23/1/2014, n. 1361; Cass., 7/6/2011, n. 12408), valida soluzione si è ravvisata essere invero quella costituita dal sistema delle tabelle (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972. V. altresì Cass., 13/5/2011, n. 10527), e in particolare delle Tabelle di Milano (v., da ultimo, Cass., 4/2/2016, n. 2167), in ordine alla cui utilizzazione si è peraltro precisato che al fine di evitarsi la declaratoria di inammissibilità del ricorso per la novità della questione non è sufficiente che in appello sia stata prospettata l’inadeguatezza della liquidazione operata dal primo giudice, ma occorre che il ricorrente si sia specificamente doluto, sotto il profilo della violazione di legge, della mancata liquidazione del danno in base ai valori delle Tabelle elaborate a Milano (v. Cass., 7/6/2011, n. 12408).

Tale sistema costituisce peraltro solo una modalità di calcolo tra le molteplici utilizzabili, fondamentale essendo che, qualunque sia il sistema di quantificazione prescelto, esso si prospetti idoneo a consentire di pervenire ad una valutazione informata ad equità (v. Cass., 4/2/2016, n. 2167), e che il giudice dia adeguatamente conto in motivazione del processo logico al riguardo seguito, indicando i criteri assunti a base del procedimento valutativo adottato (v. Cass., 30/5/2014, n. 12265; Cass., 19/2/2013, n. 4047), al fine di consentire il controllo di relativa logicità, coerenza e congruità.

Nel liquidare il danno morale il giudice deve dare allora motivatamente conto del relativo significato al riguardo considerato, e in particolare se lo abbia valutato non solo quale patema d’animo (o sofferenza interiore o perturbamento psichico), di natura meramente emotiva e interiore (danno morale soggettivo), ma anche in termini di dignità o integrità morale, quale massima espressione della dignità umana (v. Cass., 23/1/2014, n. 1361).

Si è d’altro canto sottolineato che il principio della integralità del ristoro del danno non si pone in termini antitetici ma viene anzi a correlarsi con quello per il quale il danneggiante/debitore è tenuto al risarcimento solamente dei danni arrecati con il fatto illecito o l’inadempimento a lui causalmente ascrivibile, l’esigenza della cui tutela impone anche di evitarsi duplicazioni risarcitorie (v. Cass., 30/6/2011, n. 14402; Cass., 14/9/2010, n. 19517), non rilevando al riguardo il “nome” assegnato dal giudicante al pregiudizio lamentato dall’attore (“biologico”, “morale”, “esistenziale”), quanto bensì il concreto pregiudizio preso in esame dal giudice, sicchè si ha duplicazione di risarcimento (solo) quando il medesimo pregiudizio sia liquidato due volte o più volte mediante l’uso di nomi diversi v. Cass., 30/6/2011, n. 14402; Cass., 6/4/2011, n. 7844), essendo compito del giudice accertare l’effettiva consistenza del pregiudizio allegato, a prescindere dal nome attribuitogli, e provvedere al relativo integrale ristoro (v. Cass., 13/5/2011, n. 10527; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972).

Orbene, dei suindicati principi la corte di merito ha nell’impugnata sentenza fatto invero sostanzialmente corretta applicazione.

In particolare, là dove ha fatto riferimento (al di là della “compromissione della integrità psicofisica”, sotto il profilo dell’aspetto o voce del danno non patrimoniale costituito dal danno morale, in ragione della gravità del fatto e dell’entità delle lesioni subite dalla danneggiata sig. F.R. (“postumi permanenti del 35%”)), alla “sofferenza per le lesioni riportate nel quadro di quella che era la pecunia doloris”, dovendo ritenersi che la corte di merito abbia inteso invero sostanzialmente ristorare proprio quegli aspetti della dignità umana (cfr. Cass., 19/10/2016, n. 21058) e relazionali dalla medesima e dai suoi parenti (odierni controcorrenti e ricorrenti in via incidentale condizionata) più sopra evocati, aspetti di cui i medesimi inammissibilmente richiedono l’ulteriore ristoro rispetto a quanto liquidato dal giudice di merito erroneamente evocando l’ulteriore e diverso aspetto costituito dal c.d. danno esistenziale.

A tale stregua, mentre non è stata dalla corte di merito realizzata nella liquidazione operata nell’impugnata sentenza la duplicazione lamentata dalla ricorrente principale, duplicazione risarcitoria verrebbe in realtà a concretizzarsi laddove venisse accolta la domanda dei ricorrenti in via incidentale di risarcimento degli aspetti da ritenersi già considerati nella liquidazione operata dai giudici di merito (“tutti gli aspetti evidenziati dal tribunale (compromissione dell’articolarità, della cenestesi, dell’equilibrio, della sfera sessuale, della capacità al parto, della deambulazione, la prospettiva di precoce grave artrosi all’anca sinistra) devono ritenersi già ricompresi nel danno biologico”) sussumendoli (anche) nell’ambito del diverso aspetto (o voce) di danno c.d. esistenziale.

Diversamente da quanto dai medesimi sostanzialmente prospettato, giusta principio consolidato nella giurisprudenza di legittimità il c.d. danno esistenziale consiste infatti non già nel mero “sconvolgimento dell’agenda” o nella mera perdita delle abitudini e dei riti propri della quotidianità della vita, e in particolare da meri disagi, fastidi, disappunti, ansie, stress o violazioni del diritto alla tranquillità (v. Cass., 3/10/2016, n. 19641; Cass., 20/8/2015, n. 16992; 23/1/2014, n. 1361. E già Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26972; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26973; Cass., Sez. Un., 11/11/2008, n. 26974), quanto bensì nel radicale cambiamento di vita, nell’alterazione/cambiamento della personalità del soggetto, nello sconvolgimento dell’esistenza in cui di detto aspetto (o voce) del danno non patrimoniale si coglie il significato pregnante (cfr. Cass., 19/10/2016, n. 21059; Cass., 20/8/2015, n. 16992; Cass., 30/6/2011, n. 14402).

A tale stregua, in presenza di una liquidazione del danno biologico, e comunque più in generale del danno non patrimoniale, che contempli in effetti anche siffatta negativa incidenza sugli aspetti dinamico-relazionali del danneggiato, è correttamente da escludersi la possibilità che in aggiunta a quanto a tale titolo già determinato venga attribuito un ulteriore ammontare a titolo (anche) di danno esistenziale.

Va per altro verso osservato che nell’impugnata sentenza la corte di merito ha – in riforma della pronunzia del giudice di prime cure – rigettato la domanda di ristoro (anche) dell’aspetto del danno non patrimoniale costituito dal c.d. danno esistenziale in ragione del ravvisato difetto di adeguata prova o allegazione al riguardo (“gli interessati non hanno dedotto nè provato in che modo le pur gravi (ma non macroscopiche) lesioni subite dalla F.R. abbiano inciso sui rapporti familiari con la medesima e/o sulla loro vita fino a determinarne addirittura lo stravolgimento”; “Incombeva alla danneggiata quanto meno allegare uno o più riferimenti concreti, uno o più aspetti specifici, uno o più episodi per supportare e integrare la prova presuntiva di questa discussa voce di danno, in modo da poter definire un attendibile quadro di, se non radicale, quantomeno significativo cambiamento coatto delle ordinarie condizioni di vita e dei parametri primari ed essenziali dell’esistenza. A tale onere la F.R. non ha ottemperato”).

Orbene, siffatte rationes decidendi non risultano idoneamente censurate dalla F.R. e dagli altri odierni ricorrenti in via incidentale condizionata.

Essi si limitano infatti a dolersi al riguardo della circostanza che la corte di merito abbia nel caso escluso la sussistenza dell’affectio familiaris (“si legge che i genitori ed il fratello della sig.ra F.R. non avrebbero sufficientemente allegato e provato il danno “riflesso” da loro subito in conseguenza dell’illecito di cui è rimasta vittima la loro cara”, laddove “l’affectio familiaris invero si deve presumere spettando semmai a chi intenda negarla provare che – difformemente dall’id quod plerumque accidit – nel caso specifico la comunione degli affetti familiari non si sarebbe mai realizzata, o sarebbe venuta meno”).

A parte il rilievo che siffatta esclusione non emerge dall’impugnata sentenza, e sottolineato per altro verso che l’affectio familiaris in ogni caso non assume in realtà di per sè rilievo decisivo in argomento quanto bensì – come detto – il subito sconvolgimento dell’esistenza, caratterizzato da radicale cambiamento di vita o alterazione della personalità del soggetto e del modo di rapportarsi con gli altri, sia all’interno del nucleo familiare che all’esterno del medesimo nell’ambito dei comuni rapporti della vita relazione (v. Cass., 12/6/2006, n. 13546), va osservato che nel limitarsi a dolersi dell’erroneità della pronunzia per non avere la corte di merito ritenuto provato in via presuntiva l’aspetto del danno non patrimoniale de quo, i ricorrenti in via incidentale condizionata in realtà deducono le sopra riportate circostanze (che oltre a risultare allegate in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, non si appalesano in realtà consentanee con la sopra richiamata accezione dell’aspetto di danno non patrimoniale c.d. esistenziale in considerazione, non risultando dedotte circostanze deponenti per un subito sconvolgimento dell’esistenza) senza invero dimostrare di averle già (tempestivamente) dedotte e sottoposte ai giudici di merito, dandone debitamente conto in ossequio al requisito prescritto all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6.

Stante quanto sopra rilevato ed esposto, in accoglimento del 1 motivo del ricorso principale e del 1 motivo del ricorso incidentale della società Hdi Assicurazioni s.p.a. (rigettato il 2 motivo del ricorso principale; dichiarato inammissibile il 2 motivo del ricorso incidentale della società Hdi Assicurazioni s.p.a., con assorbimento del 3 motivo (concernente la domanda di restituzione di quanto corrisposto in esecuzione della sentenza di 1 grado, che il giudice del rinvio deciderà tenendo conto anche di quanto statuito da Cass. n. 8829 del 2007); rigettati i ricorsi incidentali condizionati dei sigg.ri F.R. ed altri) dell’impugnata sentenza va pertanto disposta la cassazione in relazione, con rinvio alla Corte d’Appello di Milano, che in diversa composizione procederà a nuovo esame, facendo del suindicato disatteso principio applicazione.

Il giudice del rinvio provvederà anche in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il 1 motivo del ricorso principale e il 1 motivo di quello incidentale. Rigetta il 2 motivo del ricorso principale, dichiara inammissibile il 2 motivo del ricorso incidentale della società Hdi Assicurazioni s.p.a., assorbito il 3. Rigetta i ricorsi incidentali condizionati. Cassa in relazione l’impugnata sentenza e rinvia, anche per le spese del giudizio di cassazione, alla Corte d’Appello di Milano, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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