Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9250 del 06/04/2021

Cassazione civile sez. III, 06/04/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 06/04/2021), n.9250

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34484/2019 proposto da:

L.P.K., elettivamente domiciliato in Bari, via Abate Gimma

201, presso lo studio dell’avv. LOREDANA LISO, che lo rappresenta e

difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

PROCURA GENERALE CORTE CASSAZIONE PROCURA REPUBBLICA CORTE APPELLO

BARI;

– intimati –

e contro

MINISTERO DELL’INTERNO COMMISSIONE TERRITORIALE RICONOSCIMENTO

PROTEZIONE INTERNAZIONALE BARI;

– resistente –

avverso la sentenza n. 1217/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 24/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/11/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1- L.P.K., propone ricorso notificato l’11.11.2019 ed articolato in cinque motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari, n. 1217/2019, pubblicata il 16.4 2019.

Il ricorrente, proveniente dal (OMISSIS), riferisce la propria vicenda giudiziaria e personale, dichiarando di essere giunto in Italia in quanto, durante il servizio militare, intraprendeva il traffico di droga, e proseguiva nei propri commerci, continuando ad indossare la divisa, anche dopo il termine della leva; veniva arrestato, riusciva a fuggire e tornare a casa dove scopriva che la sua fidanzata era incinta; si risolveva a fuggire per sottrarsi alle conseguenze della sharia.

2- Il ricorrente impugnava innanzi al Tribunale di Bari il provvedimento emesso dalla Commissione territoriale di diniego delle forme protezione internazionale (status di rifugiato, o, in subordine, protezione sussidiaria ovvero umanitaria) da lui richieste. Il Tribunale rigettava integralmente il ricorso, ritenendo la vicenda narrata inattendibile, e comunque irrilevante ai fini della concessione di una delle forme di protezione internazionale.

3- La corte d’appello dichiarava radicalmente inammissibile l’impugnazione, rilevando che l’appellante non operava nessuna specifica contestazione della motivazione a sè sfavorevole, nè argomentava le ragioni per ritenere credibile il suo racconto, tenuto anche conto della insussistenza di un conflitto armato interno in Senegal e non essendo neppure dedotti fattori di specifica vulnerabilità.

4. – Il Ministero dell’Interno, controricorrente, ha depositato atto con il quale comunica la sua disponibilità a partecipare alla discussione orale.

La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Diritto

RITENUTO

che:

il L. non si confronta con il decisum laddove la sentenza impugnata ha pronunciato l’inammissibilità dell’appello, ma propone ricorso avverso detta sentenza articolando cinque motivi di ricorso con i quali ripropone le domande di merito e lamenta che esse non siano state favorevolmente esaminate.

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia la violazione del combinato disposto del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. e) ed f) e artt. 7 e 8. Con le riferite censure si assume non tenuto in conto il requisito essenziale per ricevere la protezione consistente nel riconoscimento dello status di rifugiato, integrato dal fondato timore di una persecuzione personale e diretta nei propri confronti: sostiene di aver messo a disposizione del giudicante, con il proprio racconto, elementi idonei

Con il secondo motivo, lamenta la violazione e o falsa applicazione del combinato disposto di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 2, comma 1, lett. g) ed h) ed art. 14, lett. b).

Assume che le punizioni inferte dalla sharia costituiscano sicuramente una grave violazione della dignità umana, tanto da integrare quel trattamento degradante che integra il danno grave richiesto per il riconoscimento della protezione internazionale. A nulla rileva che le minacce provengano da privati quando, come nel caso di specie, le minacce provengano dalle stesse autorità pubbliche, o comunque lo Stato non voglia o non possa fornire una protezione adeguata al privato. Riferisce poi varie informazioni, tratte dal sito “(OMISSIS)” in ordine alla mancanza di sicurezza del Senegal.

Con il terzo motivo denuncia la violazione del D.Lgs. n. 150 del 2001, art. 19, comma 8, affermando che esso conferisce ampi poteri officiosi al giudice in materia di protezione internazionale.

Con il quarto motivo, denuncia la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e l’omesso esame di un fatto decisivo, consistente nella mancata acquisizione d’ufficio di elementi per valutare la credibilità del ricorrente, ritenuto inattendibile sulla base di una semplice valutazione soggettiva, oltretutto appiattita sulle considerazioni già svolte dalla Commissione, tralatiziamente riprese prima dal tribunale e poi anche dalla corte d’appello.

Infine, con il quinto motivo, denuncia la violazione del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 32, comma 3, sostenendo che, col negare il suo diritto al riconoscimento della protezione umanitaria, la corte d’appello lo avrebbe posto in una condizione di estrema vulnerabilità.

Il ricorso è complessivamente inammissibile in quanto esso non si confronta affatto con il decisum della pronuncia impugnata, che ha dichiarato l’inammissibilità dell’appello proposto dal ricorrente, nè denuncia la violazione dell’art. 342 c.p.c. e neppure argomenta nel senso di una discordanza tra dispositivo e motivazione, sostenendo che, sotto un dispositivo di inammissibilità si celi al contrario un sostanziale riesame nel merito delle pretese vantate. Al contrario, si limita a riproporre le proprie argomentazioni, sostenendo del tutto apoditticamente che i suoi diritti alla protezione internazionale non siano stati ben tutelati, in maniera del tutto astratta, senza cioè confrontarsi nè col dispositivo di inammissibilità dell’appello, ormai passato in giudicato, con i singoli punti del provvedimento e con le ragioni della decisione.

Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile.

Nulla sulle spese, non avendo l’intimato svolto attività processuale in questa sede.

Il ricorso per cassazione è stato proposto in tempo posteriore al 30 gennaio 2013, e il ricorrente risulta soccombente, pertanto è gravato dall’obbligo di versare un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso principale, a norma del del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 bis e comma 1 quater, se dovuto.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, se dovuto.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2021

 

 

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