Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9249 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2011, (ud. 03/03/2011, dep. 21/04/2011), n.9249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. VIDIRI Guido – Presidente –

Dott. TOFFOLI Saverio – Consigliere –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ARIENZO Rosa – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 26202/2007 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, LUNGOTEVERE MICHELANGELO

9, presso lo studio TRIFIRO’ & PARTNERS, rappresentata e

difesa

dall’avvocato CORNA Anna Maria, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

P.G., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ZEZZA Luigi, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 730/2006 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 12/10/2006 R.G.N. 365/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

03/03/2011 dal Consigliere Dott. ROSA ARIENZO;

udito l’Avvocato ZUCCHINALI PAOLO per delega CORNA ANNA MARIA;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il Tribunale di Milano, con sentenza del 15.3.2004, aveva respinto il ricorso proposto dalla spa Poste Italiane inteso a fare accertare la legittimità della sanzione disciplinare dell’ammonizione scritta, irrogata a P.G., dipendente del C.M.P. di Peschiera Borromeo, per avere rifiutato l’11 ed il 12 luglio 2002 di apporre la firma di entrata ed uscita sulle note orario, malgrado l’invito rivoltogli dal responsabile di reparto di attestare la presenza sia con il tesserino magnetico che con la firma; il primo giudice aveva, invece, accolto la riconvenzionale del P., rilevando che l’art. 28, comma 5 del ccnl prevedeva che l’accertamento in ordine al rispetto dell’orario doveva essere effettuato di norma mediante l’impiego di strumenti di rilevazione automatica, che l’impresa, con dichiarazione a verbale, si era impegnata ad introdurre entro il febbraio 2001, mentre il sistema cartaceo era stato mantenuto solo ove quello automatico non fosse attivato.

Con sentenza del 12.10.2006, la Corte di Appello di Milano rigettava il gravame delle Poste e confermava la pronunzia impugnata. Sosteneva che era stato instaurato un sistema automatizzato di registrazione dei tempi di ingresso ed uscita dei dipendenti, conclusosi con l’adozione, divenuta definitiva, di un documento elettronico (badge), mentre la doppia registrazione si era resa necessaria solo nel periodo transitorio conclusosi il 31.12.2001, ormai trascorso al momento delle contestate infrazioni (11 e 12 luglio 2002), nè le Poste avevano spiegato la ragione del protrarsi della necessità del doppio riscontro. Non poteva configurarsi, poi, insubordinazione, giacchè l’ordine impartito, oltre a palesarsi contraddicono con la stessa ammonizione irrogata al dipende per avere continuato ad usare il sistema superato della registrazione manuale rifiutandosi di usare quello elettronico, era anche vessatorio per la necessità di attendere con altri dipendenti per apporre la firma, non più necessaria per l’introduzione del nuovo sistema di rilevazione.

Propone ricorso per cassazione la spa Poste Italiane, affidando l’impugnazione a tre motivi.

Resiste il P. con controricorso.

Entrambe le parti hanno depositato memorie ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il primo motivo, la società deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 28 del CCNL per i dipendenti di Poste Italiane spa dell’11.1.2001, nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Assume la violazione dell’art. 28 ccnl, comma 5, che dispone “l’accertamento in ordine al rispetto dell’orario di lavoro verrà effettuato, di norma mediante l’impiego di sistemi di rilevazione automatica”, laddove la Corte territoriale aveva dato rilievo e prevalenza alla successiva nota a verbale, contenuta sempre nell’art. 28 ccnl, secondo cui la società avrebbe dovuto introdurre sistemi di rilevazione automatici dell’orario entro il 31.12.2001, che avrebbero escluso il diritto della società a richiedere la sottoscrizione dei fogli di presenza.

Sostiene che l’espressione “di norma” utilizzata nella norma contrattuale presuppone che la società possa richiedere l’accertamento del rispetto dell’orario anche con sistemi diversi, e che la richiesta sia estrinsecazione di un più ampio potere gerarchico consentito dalla legge. Formula, a conclusione della parte argomentativa del motivo proposto, quesito di diritto ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c..

Con il secondo motivo la società lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 54 del ccnl per i dipendenti di Poste Italiane spa dell’11.1.2001 e dell’art. 2014 c.c., l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5).

Ritiene la proporzionalità della sanzione rispetto al fatto contestato in rapporto alla obiettiva gravità del fatto (necessità di osservanza delle disposizioni di servizio e delle formalità prescritte per la rilevazione ed il controllo delle presenze) ed al grado di affidamento richiesto dalle specifiche mansioni, ed evidenzia la portata soggettiva della mancanza, in rapporto all’obbligo di diligenza facente carico al lavoratore.

Anche a conclusione di tale motivo formula quesito, domandando se, ai sensi dell’art. 2104 c.c. e art. 54 ccnl, la condotta contestata integri una violazione dell’obbligo di diligenza e se la sanzione dell’ammonizione possa ritenersi proporzionata.

Infine, con i terzo motivo, denuncia la violazione e falsa applicazione dell’art. 54 ccnl per i dipendenti della società Poste Italiane p.a. dell’11.1.2001 e dell’art. 2104 c.c., nonchè l’omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione su un punto decisivo della controversia (artt. 3 e 5 c.p.c.):

Rileva che la condotta si sostanzia nel rifiuto ad eseguire un ordine di un superiore gerarchico ed integra gli estremi della insubordinazione, che avrebbe addirittura giustificato l’irrogazione della sanzione disciplinare della multa, formulando corrispondente quesito di diritto.

I tre motivi di ricorso, da esaminare unitariamente per l’evidente connessione, sono infondati.

La sentenza impugnata appare, invero, adeguatamente motivata, priva di salti logici ed applicativa dei principi normativi regolanti la materia scrutinata, in quanto il giudice di merito, con valutazione immune da vizi, ha fornito una interpretazione della norma collettiva in linea con i criteri dettati dall’art. 1362 cod. civ., e segg., cui la ricorrente contrappone un diverso e non consentito apprezzamento:

La pronunzia evidenzia come era venuto meno il potere di usare – da parte del datore di lavoro – strumenti diversi da quelli automatici, essendo trascorsa la fase transitoria di attuazione dei nuovi sistemi e che non si era verificata alcuna ipotesi di situazioni anomale di malfunzionamento, sicchè legittimamente il lavoratore si era rifiutato di utilizzare il sistema cartaceo in aggiunta a quello automatico.

Peraltro, nella condotta addebitata al lavoratore non si configurano nè mancanza di diligenza, nè insubordinazione, avendo il predetto operato nel rispetto della normativa contrattuale e di quanto prescritto dal richiamato articolo 28 del contratto collettivo di categoria, onde non si pone alcun problema di valutazione della proporzionalità della sanzione, non potendo ritenersi che la condotta abbia configurato una violazione dell’obbligo di diligenza richiesto al dipendente.

In ogni caso, il primo dei quesiti si presenta anche inammissibile per come formulato, atteso che lo stesso non risponde ai canoni di cui all’art. 366 bis c.p.c., risultando esposta solo una richiesta generica di accertamento della violazione della norma di legge, laddove il quesito di diritto di cui all’art. 366 bis cod. proc. civ., deve comprendere l’indicazione sia della “regula iuris” adottata nel provvedimento impugnato, sia del diverso principio che il ricorrente assume corretto e che si sarebbe dovuto applicare in sostituzione del primo, la mancanza anche di una sola delle due suddette indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr. Cass. 30.9.2008 n. 24339, cui adde, tra le tante, Cass. 19 febbraio 2009 n. 4044).

Per e esposte motivazioni, il ricorso deve rigettarsi, laddove le spese seguono la soccombenza e vanno liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte così provvede:

rigetta il ricorso e condanna la società ricorrente al pagamento delle spese di lite del presente giudizio, liquidate in Euro 17,00 per esborsi, Euro 2.500,00 per onorario, oltre spese generali, I.V.A. e C.P.A. ai sensi di legge.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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