Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9249 del 11/04/2017


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Cassazione civile, sez. III, 11/04/2017, (ud. 20/09/2016, dep.11/04/2017),  n. 9249

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SPIRITO Angelo – Presidente –

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – rel. Consigliere –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. PELLECCHIA Antonella – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 17446-2014 proposto da:

MULTISERVICE ASSISTANCE SRL IN LIQUIDAZIONE, (OMISSIS) in persona del

liquidatore e legale rappresentante pro tempore G.R.,

S.S. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, VIA

GIACOMO BONI 15, presso lo studio dell’avvocato ELENA SAMBATARO,

rappresentati e difesi dall’avvocato SALVATORE MILITELLO giusta

procura speciale in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

P.M.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 283/2014 del TRIBUNALE di PALERMO, depositata

il 21/01/2014;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/09/2016 dal Consigliere Dott. GIACOMO TRAVAGLINO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

I FATTI

Il giudice di pace di Palermo, previo accertamento della nullità del contratto di cessione del credito stipulato tra gli attuali ricorrenti, S.S. e Multiservice s.r.l., dichiarò quest’ultima priva di legittimazione processuale attiva, rigettandone la richiesta di risarcimento dei danni asseritamente conseguenti ad un incidente verificatosi tra l’auto di proprietà del S. ed il veicolo condotto da P.M..

Il Tribunale palermitano, investito dell’impugnazione proposta dagli attori in prime cure, la rigettò, ritenendo che, al di la delle questioni postesi in ordine alla validità della cessione ed alla corretta individuazione del legittimo titolare del credito, il tipo di intervento spiegato dal cedente già in primo grado imponesse l’esame nel merito della richiesta risarcitoria, e che questa fosse, nel merito, infondata.

Avverso la sentenza del giudice siciliano Salvatore S. e la Multiservice hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di 3 motivi di censura.

Diritto

LE RAGIONI DELLA DECISIONE

Il ricorso è inammissibile.

Con il primo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 112, 115 e 167 c.p.c., art. 2054 c.c., comma 2, artt. 2697 e 2733 c.c..

Con il secondo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 143, D.P.R. n. 254 del 2006, art. 12.

Con il terzo motivo, si denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 232 c.p.c.

I motivi, che possono essere congiuntamente esaminati, attesane la intrinseca connessione, devono esser dichiarati inammissibili.

Essi si infrangono, nel loro complesso, sul corretto e condivisibile impianto motivazionale della sentenza impugnata, volta che il Tribunale, con apprezzamento di fatto scevro da vizi logico-giuridici, afferma che le prove offerte dalla parte appellante non hanno dimostrato l’accadimento del fatto storico sotteso alla pretesa azionata – i.e. l’effettivo verificarsi dell’incidente -, specificando ancora che i danni riportati dalla vettura del S. non potessero ritenersi conseguenza dall’incidente descritto in citazione.

Si rivelano, pertanto, affatto inconferenti i richiami a tutte le norme evocate nei motivi di ricorso – avendo, nella specie, il Tribunale fatto corretto uso e condivisibile governo delle acquisizioni probatorie in atti, in particolare escludendo in radice, sul piano della causalità materiale, la relazione etiologica tra i danni e il (presunto) evento che li avrebbe asseritamente generati, e conseguentemente valutando in termini di non attendibilità la denuncia a firma congiunta in atti, e in termini di irrilevanza tutte le questioni in tema di interrogatorio formale.

Il giudice territoriale, nel pieno rispetto del generale principio di diritto processuale che impone, nella motivazione, il rispetto di criteri logici di giustificazione razionale del raggiunto convincimento e dell’adottata decisione, offre chiara e puntuale valutazione, condivisibilmente argomentata, della valenza e dell’efficacia probatoria attribuita agli elementi acquisiti al processo, ritenendo la ricostruzione del fatto, così come operata in sede di motivazione, dotata di un più elevato grado di conferma logica e di credibilità razionale rispetto ad altre, possibili e pur prospettate ipotesi fattuali alternative.

I motivi di censura sono, pertanto, irrimediabilmente destinati ad infrangersi su tale, corretto impianto motivazionale, dacchè essi, nel loro complesso, pur formalmente abbigliati in veste di denuncia di una reiterata violazione di legge, si risolvono, nella sostanza, in una (ormai del tutto inammissibile) richiesta di rivisitazione di fatti e circostanze come definitivamente accertati in sede di merito.

Parte ricorrente, difatti, lungi dal prospettare a questa Corte un vizio della sentenza rilevante sotto il profilo di cui all’art. 360 c.p.c., n. 3 mediante una specifica indicazione delle affermazioni in diritto contenute nella sentenza gravata che si assumono in contrasto con le norme regolatrici della fattispecie astratta applicabile alla vicenda processuale, si volge piuttosto ad invocare una diversa lettura delle risultanze procedimentali così come accertare e ricostruite dalla Corte territoriale, muovendo all’impugnata sentenza censure del tutto irricevibili, volta che la valutazione delle risultanze probatorie, al pari della scelta di quelle – fra esse – ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, postula un apprezzamento di fatto riservato in via esclusiva al giudice di merito il quale, nel porre a fondamento del proprio convincimento e della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, nel privilegiare una ricostruzione circostanziale a scapito di altre (pur astrattamente possibili e logicamente non impredicabili), non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere in alcun modo tenuto ad affrontare e discutere ogni singola risultanza processuale, ovvero vincolato a confutare qualsiasi deduzione difensiva.

E’ poi principio di diritto ormai consolidato quello per cui l’art. 360 codice di rito non conferisce in alcun modo e sotto nessun aspetto alla corte di Cassazione il potere di riesaminare il merito della causa, consentendo ad essa, di converso, il solo controllo – sotto il profilo logico-formale e della conformità a diritto – delle valutazioni compiute dal giudice d’appello, al quale soltanto, va ripetuto, spetta l’individuazione delle fonti del proprio convincimento valutando le prove (e la relativa significazione), controllandone la logica attendibilità e la giuridica concludenza, scegliendo, fra esse, quelle funzionali alla dimostrazione dei fatti in discussione (salvo i casi di prove cd. legali, tassativamente previste dal sottosistema ordinamentale civile).

Vero è che parte ricorrente, nella specie, pur denunciando, formalmente, ipotetiche violazioni di legge che vizierebbero la sentenza di secondo grado, inammissibilmente (perchè in contrasto con gli stessi limiti morfologici e funzionali del giudizio di legittimità) sollecita a questa Corte una nuova valutazione di risultanze di fatto (ormai definitivamente cristallizzate sul piano processuale) sì come emerse nel corso dei precedenti gradi del procedimento, così mostrando di anelare ad una surrettizia trasformazione del giudizio di cassazione in un nuovo, non consentito, terzo grado di merito, nel quale ridiscutere analiticamente tanto il contenuto, ormai consolidatosi, di fatti storici e vicende processuali, quanto l’attendibilità maggiore o minore di questa o di quella ricostruzione probatoria, quanto ancora le opzioni espresse dal giudice di appello non condivise e per ciò solo censurate al fine di ottenerne la sostituzione con altre più consone ai propri desiderata – quasi che nuove istanze di fungibilità nella ricostruzione dei fatti di causa fossero ancora legittimamente proponibili dinanzi al giudice di legittimità.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso.

Nulla per le spese.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari alla somma già dovuta, a norma del predetto art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 20 settembre 2016.

Depositato in Cancelleria il 11 aprile 2017

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