Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9248 del 06/04/2021

Cassazione civile sez. III, 06/04/2021, (ud. 11/11/2020, dep. 06/04/2021), n.9248

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – rel. Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 34092/2019 proposto da:

D.N., elettivamente domiciliato in Modugno, via G. Curci 17,

presso lo studio dell’avv. PAOLO CENTORE, che lo rappresenta e

difende per procura speciale in atti;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (OMISSIS);

– resistente –

avverso la sentenza n. 1287/2019 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 30/05/2019;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

11/11/2020 dal Consigliere Dott. LINA RUBINO.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1 – D.N., propone ricorso notificato il 12.11.2019 ed articolato in tre motivi avverso la sentenza della Corte d’appello di Bari, n. 1287/2019, pubblicata il 30.5.2019.

2. – Il ricorrente, proveniente dal (OMISSIS), ed in particolare dalla regione di Casamance, riferisce nella parte introduttiva del ricorso la propria vicenda giudiziaria e personale, precisando di essere orfano, di aver lavorato in patria come meccanico per mantenersi, di aver due fratelli con i quali ha perso i contatti. Sostiene di aver ricevuto minacce dalla famiglia della sua compagna, cristiana, che non vedeva di buon occhio l’unione di lei con un musulmano. Per timore delle minacce soprattutto da parte di uno zio della ragazza, appartenente al gruppo di ribelli del (OMISSIS), si allontanava dal suo paese e giungeva in Italia dopo aver viaggiato attraverso Mali, Burkina Faso e Libia, dove si tratteneva per oltre un anno.

3. – Le sue domande, volte all’ottenimento di tutte le forme di protezione internazionale, sono state tutte rigettate.

La corte d’appello, in particolare, rigettava la domanda volta all’ottenimento della protezione sussidiaria senza citare alcuna fonte ufficiale. Quanto alla domanda volta al riconoscimento della protezione umanitaria, dichiarava che le circostanze allegate dal ricorrente (avvenuta stipula di un contratto di locazione ad uso abitativo, di un contratto di apprendistato biennale, di un contratto di lavoro a tempo determinato) e la produzione di alcune buste paga non fossero prova sufficiente di una effettiva integrazione.

4. – Il Ministero dell’Interno, intimato, ha depositato atto con il quale comunica la sua disponibilità a partecipare alla discussione orale.

La causa è stata avviata alla trattazione in adunanza camerale non partecipata.

Diritto

RITENUTO

che:

Con il primo motivo di ricorso, il ricorrente deduce la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, per aver la corte d’appello rigettato la domanda volta al riconoscimento della protezione sussidiaria con motivazione meramente apparente ed in aperta violazione di legge, per violazione da parte del giudice del proprio potere dovere di cooperazione istruttoria, non avendo acquisito informazioni attendibili ed aggiornate alla luce delle quali valutare la credibilità del richiedente ed anche la situazione di pericolosità diffusa sussistente nel paese.

Il motivo è fondato.

In particolare, è fondata la doglianza del ricorrente laddove impugna la pronuncia di rigetto della propria domanda volta al riconoscimento della protezione sussidiaria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), laddove lamenta che ciò sia avvenuto senza alcun approfondimento istruttorio da parte della Corte, come pure era dovuto nell’ambito del dovere di cooperazione istruttoria su di essa gravante, e senza alcun idoneo riferimento a fonti attendibili e aggiornate. Effettivamente, a pag. 4, la sentenza fa riferimento alla situazione del Senegal ed in particolare alla regione di Casamance, di provenienza del ricorrente, senza alcuna indicazione delle fonti dalle quali trae le sue informazioni e senza neppure precisare a quale periodo risalirebbero le informazioni tratte.

La sentenza è quindi priva di alcun riferimento sufficientemente specifico alle fonti di informazione, attendibili ed aggiornate, sulle quali avrebbe dovuto fondarsi la corte nel formare il suo convincimento sul punto.

In tal modo, non si conforma, nella applicazione della norma, al principio di diritto già enunciato da questa Corte, secondo il quale in tema di protezione internazionale, il dovere di cooperazione istruttoria del giudice, che è disancorato dal principio dispositivo e libero da preclusioni e impedimenti processuali, se presuppone l’assolvimento da parte del richiedente dell’onere di allegazione dei fatti costitutivi della sua personale esposizione a rischio, comporta però ove tale onere sia stato assolto, il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, e in quali limiti, nel Paese di origine del richiedente si verifichino fenomeni tali da giustificare l’applicazione della misura, mediante l’assunzione di informazioni specifiche, attendibili e aggiornate, non risalenti rispetto al tempo della decisione, che il giudice deve riportare nel contesto della motivazione, non potendosi considerare fatti di comune e corrente conoscenza quelli che vengono via via ad accadere nei Paesi estranei alla Comunità Europea (vedi in questo senso, tra le altre, Cass. n. 11096 del 2019). In riferimento in particolare all’ipotesi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), nei giudizi di protezione internazionale, a fronte del dovere del richiedente di allegare, produrre o dedurre tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la domanda, la valutazione delle condizioni sociopolitiche del Paese d’origine del richiedente deve avvenire, mediante integrazione istruttoria officiosa, tramite l’apprezzamento di tutte le informazioni, generali e specifiche, di cui si dispone pertinenti al caso, aggiornate al momento dell’adozione della decisione; il giudice del merito non può, pertanto, limitarsi a valutazioni solo generiche ovvero omettere di individuare le specifiche fonti informative da cui vengono tratte le conclusioni assunte (v. Cass. n. 13897 del 2019; Cass. n. 9230 del 2020).

Con il secondo motivo di ricorso, il ricorrente denuncia l’omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, laddove la sentenza ha ritenuto insufficiente a documentare l’integrazione sociale in Italia del richiedente la cospicua documentazione prodotta e non ha tenuto in alcun conto la documentazione prodotta nel corso del giudizio di appello (della quale, correttamente, il ricorrente richiama la collocazione nel fascicolo di secondo grado) atta a comprovare l’avvenuta instaurazione di un rapporto di lavoro stabile a tempo indeterminato.

Con il terzo motivo, il ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 286 del 1998, art. 5, comma 6, nonchè la violazione e falsa applicazione dell’art. 8 Cedu.

Sostiene che la decisione adottata sia affetta da violazione di legge, non avendo in alcun modo considerato nè la rilevanza anche sul piano sociale della integrazione lavorativa del ricorrente, e non avendo effettuato la valutazione comparativa, pur dovuta.

I due motivi possono essere esaminati congiuntamente in quanto connessi, afferendo entrambi la violazione delle norme sul procedimento di accertamento del diritto alla protezione umanitaria, e sono fondati.

Il provvedimento impugnato afferma che occorre una valutazione complessiva che lasci emergere una situazione di vulnerabilità, che sussiste qualora siano compressi significativamente ed effettivamente i diritti fondamentali della persona, ma poi non vi provvede, cioè non si occupa minimamente di approfondire quale sarebbe la situazione, all’attualità, del paese di provenienza in caso di rimpatrio sotto il profilo del rispetto dei diritti umani. Anche in riferimento al secondo termine di comparazione, ovvero al percorso di integrazione effettuato in Italia dal ricorrente, la motivazione è meramente assertiva, la sentenza si limita a negare che la cospicua documentazione prodotta dal ricorrente, in primo grado e poi in appello, volta a dimostrare un significativo percorso di integrazione lavorativa attraverso la stipula di numerosi contratti di lavoro con regolari buste paga, la stipula di un contratto di locazione, sarebbero insufficienti a comprovare una effettiva integrazione, ma non spiega minimamente le ragioni di tale decisione e il percorso logico che lo ha portato a svalutare fino a zero la documentazione prodotta dal ricorrente, attraverso la quale egli mirava a documentare emergere una integrazione lavorativa e sociale stabile.

Il ricorso deve pertanto essere accolto, e la sentenza cassata in accoglimento di tutti e tre i motivi, con rinvio alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione che dovrà integralmente rinnovare il giudizio di appello, attenendosi ai principi enunciati al fine di accertare se il ricorrente abbia diritto al riconoscimento della protezione internazionale o della protezione umanitaria, provvedendo anche a liquidare le spese del presente giudizio.

P.Q.M.

Accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia alla Corte d’Appello di Bari in diversa composizione anche per le spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Corte di Cassazione, il 11 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2021

 

 

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