Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9242 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. III, 20/05/2020, (ud. 22/10/2019, dep. 20/05/2020), n.9242

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 5659/2018 proposto da:

M.M., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO

MIRABELLO, 23, presso lo studio dell’avvocato ELEONORA NICLA

MOIRAGHI, che lo rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

BANCA NAZIONALE DEL LAVORO SPA, in persona del Direttore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA OSLAVIA 40, presso lo studio

dell’avvocato MASSIMO SEVERE, che la rappresenta e difende;

– controricorrente –

e contro

MI.FR.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 14083/2017 del TRIBUNALE di ROMA, depositata

il 10/07/2017;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

22/10/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO.

Fatto

RILEVATO

che:

con atto di citazione notificato il 15 settembre 2014, M.M. evocava in giudizio, davanti al Giudice di pace di Roma, la Bnl S.p.A. per sentirla condannare alla restituzione della somma di Euro 3500, oltre al pagamento dei danni morali, quantificati in Euro 1000. A sostegno della propria domanda deduceva di essere stato vittima di un raggiro da parte degli organizzatori di un corso di formazione che avevano dichiarato di fare capo al predetto istituto di credito, e che il corso sarebbe stato necessario per superare un concorso per l’assunzione di dipendenti presso tale banca. Aggiungeva di avere partecipato al corso effettuando sette incontri formativi e di essere stato ricevuto presso la sede della filiale della Banca Nazionale del Lavoro. Aggiungeva di avere consegnato l’importo di Euro 3.500 a Mi.Fr., indicato quale referente dai dipendenti della banca, incaricati della gestione del concorso. Deduceva che nel mese di (OMISSIS) aveva appreso che tali soggetti sarebbero stati arrestati, così comprendendo di essere stato raggirato. Sulla base di questi elementi chiedeva alla banca di essere risarcito, prospettando la responsabilità per fatto del dipendente e proponendo la domanda anche ai sensi dell’art. 2043 c.c., per culpa in vigilando;

si costituiva la Banca Nazionale del Lavoro deducendo il difetto di legittimazione passiva e la carenza di legittimazione attiva dell’attore, che non aveva dimostrato attraverso quali strumenti avrebbe appreso dell’esistenza del concorso. Pertanto, non ricorrerebbe la prova dell’esistenza di un rapporto tra l’attore e l’istituto di credito, oltre che della partecipazione del primo al corso svolto all’interno della filiale della Banca. Chiedeva e otteneva di chiamare in causa Mi. che rimaneva contumace e al quale l’attore non estendeva la domanda;

il Giudice di pace di Roma, con sentenza dell’8 giugno 2016, rigettava la domanda perchè l’attore non avrebbe insistito nei mezzi istruttori richiesti in citazione, non essendo comparso alla prima udienza successiva alla chiamata in causa del terzo, per motivi di salute;

avverso tale decisione proponeva appello il M. con atto di citazione del 27 settembre 2016 contestando la decisione del giudice di non rimettere in termini il legale, nonostante la presenza di un impedimento. L’istituto di credito rilevava che Mi. non era stato evocato in giudizio, chiedendo l’integrazione del contraddittorio, ritenendo corretta la decisione del primo giudice ed insistendo nelle altre difese svolte in primo grado;

all’udienza del 19 gennaio 2017 il Tribunale rimetteva in termini la parte appellante riguardo alle istanze istruttorie, che successivamente rigettava, ritenendo la causa di natura documentale;

all’udienza del 20 febbraio 2017 il Tribunale onerava l’appellante di estendere il contraddittorio al terzo chiamato Mi.Fr., che si costituiva depositando nuova documentazione dichiarata inammissibile dal Tribunale;

con sentenza emessa all’udienza del 10 luglio 2017 il Tribunale di Roma rilevava, quanto alla responsabilità ai sensi dell’art. 2049 c.c., che le risultanze processuali non dimostravano che il fatto lesivo era stato – quanto meno – agevolato da un comportamento riconducibile all’attività lavorativa della dipendente della banca, poichè tale profilo non risultava dimostrato riguardo alla posizione della P.. Nello stesso modo riteneva infondati la culpa in vigilando non essendo emersa alcuna responsabilità nei confronti della persona fisica posta in rapporto giuridicamente rilevante con la banca, tale dovendosi ritenere la predetta P.;

avverso tale decisione propone ricorso per cassazione M.M. affidandosi a tre motivi. Resiste con controricorso la Banca Nazionale del Lavoro. Entrambe le parti depositano memoria ex art. 380 bis c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione l’art. 345 c.p.c., comma 3, con riferimento all’illegittima esclusione dal giudizio dei documenti depositati in appello dal chiamato Mi.Fr.. I documenti depositati dal terzo non sarebbero stati disattesi perchè prodotti in violazione l’art. 345 c.p.c.. Al contrario alcuni di essi, in particolare tre, avrebbero dovuto essere ammessi perchè successivi alla decisione di primo grado. Si tratterebbe della memoria difensiva depositata dal terzo nel giudizio penale e relativi allegati, in quanto redatta il 2 febbraio 2017, il decreto di autorizzazione alla notifica al responsabile civile, del 20 febbraio 2017 e la costituzione di parte civile nel processo penale del 22 giugno 2016. Si tratterebbe di documentazione formata successivamente alla pubblicazione della sentenza di primo grado dell’8 giugno 2016. Si tratterebbe di documenti rilevanti perchè la domanda dell’odierno ricorrente sarebbe stata rigettata per difetto di prova riguardo al rapporto di dipendenza tra la P. e la Bnl. Al contrario, tale presupposto emergerebbe dal contenuto della memoria difensiva depositata nel giudizio penale, del decreto di autorizzazione alla notifica del responsabile civile (che individuava tale rapporto di dipendenza) e, soprattutto, dalla costituzione di parte civile della banca nella quale si riconoscerebbe il rapporto di dipendenza tra l’istituto e la P.;

con il secondo motivo, si lamenta ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione l’art. 345 c.p.c., con riferimento all’omessa decisione sulla richiesta di deferimento del giuramento decisorio avanzata dal ricorrente. Nel giudizio di appello l’odierno ricorrente avrebbe deferito giuramento decisorio al legale rappresentante dell’istituto di credito riguardo alla circostanza che P.S. era dipendente della banca e utilizzava i locali della filiale dove si sarebbero svolti i corsi non autorizzati. Rispetto a tale richiesta non vi sarebbe stata alcuna pronunzia;

i due motivi possono essere trattati congiuntamente perchè strettamente connessi. Le censure sono inammissibili. Il primo motivo è inammissibile, per la parte relativa alla rilevanza dei documenti perchè è dedotto con riferimento a un solo aspetto della complessa motivazione del Tribunale, con la quale il ricorrente non si confronta. In particolare, non prende in esame le argomentazioni svolte a pagina 12-13-14 della sentenza. Il giudice di appello rileva che non vi è la prova della consegna del denaro al Mi. e neppure che questi abbia consegnato le somme alla P.. L’odierno ricorrente, secondo il giudice di appello, non avrebbe depositato la dichiarazione di idoneità su carta intestata della banca, nè la documentazione fornita durante il corso. Non sono stati prodotti i documenti del procedimento penale che il ricorrente avrebbe potuto acquisire quale parte offesa. Ulteriore elemento preso in esame dal Tribunale (l’unico oggetto di censura) riguarda il rapporto di dipendenza della P. dalla BNL oggetto della prima censura;

La seconda doglianza è dedotto in violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 6, in quanto parte ricorrente ha omesso di allegare la circostanza secondo cui il giuramento decisorio sarebbe stato effettivamente deferito, in particolare, ha mancato di specificare la fase processuale nella quale tale mezzo di prova sarebbe stato richiesto;

con il terzo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione degli artt. 115 e 167 c.p.c., con riferimento ai fatti non specificamente contestati, che la decisione impugnata avrebbe ritenuto non provati. In particolare, il ricorrente aveva dedotto nell’atto di citazione di essere entrato “in contatto con quella che si è poi scoperta essere tale P.S., la quale si presentava con il falso nome di Dottoressa B. e quale dipendente Bnl”. Rispetto a tale deduzione nella costituzione di primo grado la banca non avrebbe svolto alcuna concreta contestazione, mantenendo una posizione ambigua riguardo al profilo specifico del rapporto di dipendenza della P. con l’istituto di credito. In particolare, soffermandosi su tale aspetto, si sarebbe limitata a parlare di “presunte dipendenti della Bnl S.p.A.”, ribadendo che l’attore non avrebbe fornito la prova del fatto “ovverosia il rapporto di dipendenza dell’autore dell’illecito con la banca”, ma contestando soprattutto la circostanza che Mi.Fr. fosse dipendente della banca. In sostanza, quest’ultima si sarebbe limitata a ribadire che era onere dell’attore dimostrare, sia l’esistenza del rapporto di dipendenza tra Bnl e la sedicente Dottoressa B. “alias P.S.” sia che quest’ultima fosse l’autrice dell’illecito. Sulla base di tali elementi non ricorrerebbe l’ipotesi di contestazione specifica poichè la banca si sarebbe limitata a ribadire che “nulla di tutto ciò è stato provato da M.M.”.

Secondo l’orientamento di legittimità la negazione del fatto, non accompagnata dalla indicazione di un altro fatto positivo incompatibile con quello negato, costituirebbe una semplice contestazione generica in quanto tale rilevante ai sensi dell’art. 115 c.p.c.;

il motivo è infondato sotto due profili. In primo luogo la deduzione del fatto principale contenuta nel ricorso e qualificata dalla ricorrente quale circostanza specifica, che avrebbe richiesto una contestazione specifica, in realtà è una deduzione generica rispetto al profilo centrale del rapporto di dipendenza dell’autrice del fatto illecito con l’Istituto di credito.

Come riportato dal ricorrente, questi si sarebbe limitato a precisare di essere entrato in contatto con una persona che avrebbe affermato due circostanze da sottoporre a verifica: si sarebbe presentata con il nome falso di dottoressa B. e “quale dipendente Bnl incaricata della gestione del concorso”. In sostanza, il fatto come esposto si riferisce alla versione che sarebbe stata fornita all’attore dalla presunta B., successivamente individuata nella persona di P.S.. Una siffatta deduzione non individua il profilo centrale che costituisce il presupposto giuridico della domanda e cioè il rapporto di dipendenza di tale interlocutore con l’Istituto di credito. Anzi tale aspetto, nei termini in cui è trascritto dal ricorrente, sembra riferirsi alla prospettazione della apparente B., che avrebbe dichiarato di avere quel nome e di essere dipendente della banca. Circostanze tutte da appurare e poi risultate effettivamente fuorvianti, quanto meno con riferimento alle generalità della persona.

Anche volendo accedere a un’interpretazione meno rigorosa dell’obbligo di deduzione specifica del motivo che consenta di utilizzare anche la parte “dedicata allo svolgimento del procedimento di primo grado” (riprendendo l’indicazione dell’incipit del terzo motivo) l’esito del giudizio di questa Corte non potrebbe mutare.

Infatti, a pagina 3 del ricorso, il ricorrente, nella parte dedicata alla ricostruzione specifica di tale vicenda fattuale, si limita a sintetizzare quanto dedotto in citazione, rilevando di avere precisato nell’atto introduttivo che “la sedicente dottoressa B. si chiamava in realtà P.S.” e che la stessa era effettivamente dipendente della Bnl”. Orbene una siffatta deduzione non consente a questa Corte di operare una verifica riguardo alla sussistenza di una deduzione specifica, al fine di verificare la specificità o meno della contestazione di controparte;

a prescindere da ciò, come emerge anche dal contenuto del ricorso (pagina 17) l’istituto di credito ha operato una contestazione relativa a tutti i profili della vicenda, evidenziando che l’attore non aveva fornito la prova che il bando di concorso proveniva dalla banca, la sussistenza concreta di un danno, il versamento delle somme, l’esistenza del corso di formazione, la circostanza che la B. o la P. fosse l’autrice dell’illecito, la presunta esistenza di un rapporto di dipendenza con l’Istituto di credito e ciò esclude in radice l’ipotesi della “non contestazione” ai sensi dell’art. 115 c.p.c.;

ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo – seguono la soccombenza. Infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento delle spese in favore della controricorrente, liquidandole in 2.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 e agli accessori di legge.

Sussistono i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1- quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, in misura pari a quello, ove dovuto, per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 22 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

Sostieni LaLeggepertutti.it

La pandemia ha colpito duramente anche il settore giornalistico. La pubblicità, di cui si nutre l’informazione online, è in forte calo, con perdite di oltre il 70%. Ma, a differenza degli altri comparti, i giornali online non ricevuto alcun sostegno da parte dello Stato. Per salvare l'informazione libera e gratuita, ti chiediamo un sostegno, una piccola donazione che ci consenta di mantenere in vita il nostro giornale. Questo ci permetterà di esistere anche dopo la pandemia, per offrirti un servizio sempre aggiornato e professionale. Diventa sostenitore clicca qui

LEGGI ANCHE



NEWSLETTER

Iscriviti per rimanere sempre informato e aggiornato.

CERCA CODICI ANNOTATI

CERCA SENTENZA