Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9240 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. III, 20/05/2020, (ud. 04/10/2019, dep. 20/05/2020), n.9240

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – rel. Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 10192/2018 proposto da:

TARGET SRL, in persona del legale rappresentante, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SAN SABA 7, presso lo studio dell’avvocato

SERGIO MAGLIO, che la rappresenta difende unitamente all’avvocato

EMANUELA ACERBI;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI MILANO, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA POLIBIO 15, presso lo studio

dell’avvocato GIUSEPPE LEPORE, che la rappresenta e difende

unitamente agli avvocati RUGGERO MERONI, IRMA MARINELLI, ANNA

TAVANO, ANTONELLO MANDARANO, SALVATORE PEZZULO, SILVIA DONATELLA;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 4080/2017 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 27/09/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2019 dal Consigliere Dott. GABRIELE POSITANO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto del ricorso;

udito l’Avvocato MARIA ROMANA CILIUTTI per delega.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con sentenza del 28 maggio 2015, il Tribunale di Milano rigettava l’opposizione proposta da Target s.r.l. avverso l’ordinanza n. 38, notificata il 3 dicembre 2012 con la quale il Comune di Milano aveva ingiunto il pagamento dell’importo di Euro 89.746, oltre interessi e spese a titolo di canone Osap (canone per la occupazione di spazi e aree pubbliche) per l’occupazione sul suolo pubblico (vie, corsi e piazze) con mezzi pubblicitari (gonfaloni e striscioni fissati a pali della luce o tranviari) autorizzati nell’anno 2000.

2.Con l’opposizione Target contestava l’esistenza del credito, sostenendo che il regolamento comunale Osap, vigente negli anni 2000-2001 e approvato con Delib. 21 febbraio 2000, n. 11, non prevedeva l’assoggettamento di tale tipologia di impianti (gonfaloni) al canone. In secondo luogo, non sussisterebbero i presupposti giuridici, costituiti dai provvedimenti concessori o dagli atti di accertamento, indispensabili per la costituzione del diritto di credito azionato dall’ente pubblico. Quest’ultimo, negli anni 2000-2001, avrebbe tenuto un comportamento chiaramente incompatibile con la volontà di far sorgere il diritto in questione o di avvalersene e ciò, sia sulla base di documenti, che di comunicazioni verbali. D’altra parte gli impianti in questione integravano delle semplici “occupazioni virtuali” limitandosi, in sostanza, a proiettare l’ombra sul suolo pubblico. In ogni caso, sarebbe intervenuta la prescrizione quinquennale per buona parte dei crediti e, in via subordinata, non poteva trovare applicazione la tariffa stabilita dal Comune, in quanto contraria alle disposizioni di legge.

3.Si costituiva il Comune insistendo per il rigetto e rilevando che i mezzi pubblicitari in questione erano assoggettati al canone sin dall’anno 2000 e che era irrilevante la condotta di una amministrazione eventualmente non rispettosa del regolamento Cosap. L’eccezione di prescrizione era infondata, perchè il termine decennale era stato interrotto con l’avviso di pagamento del 30 maggio 2005.

4. Il Tribunale rigettava le domande proposte da Target rilevando che il credito azionato dall’amministrazione comunale era dimostrato dai provvedimenti di autorizzazione richiesti dalla società e ottenuti ai fini dell’imposta sulla pubblicità, oltre che dai prospetti riepilogativi allegati alle richieste di pagamento, attestanti l’installazione dei mezzi pubblicitari.

5. Quanto al credito, non erano necessari i singoli provvedimenti di concessione degli spazi pubblici e l’ampia discrezionalità dell’amministrazione nell’individuare gli elementi costitutivi del canone trovava la propria giustificazione nel carattere remunerativo dell’apposizione di determinati mezzi pubblicitari che, in ogni caso, producevano un effetto negativo sull’estetica urbana e sulla viabilità.

6. Sotto tale profilo non poteva ritenersi irragionevole l’esercizio del potere regolamentare da parte del Comune di Milano poichè la normativa di riferimento non poneva alcuna limitazione. Aggiungeva che il Cosap costituiva un’entrata di natura patrimoniale legata all’utilizzo dei beni del patrimonio indisponibile del Comune. Ribadiva che, ai fini dell’applicazione del canone, non era necessaria la sussistenza dei relativi atti di concessione o di autorizzazione, essendo sufficiente l’effettiva occupazione delle aree pubbliche.

7. L’eccezione di prescrizione era priva di fondamento perchè il credito era assoggettato al termine ordinario decennale. Infine, rigettava la domanda di risarcimento danni ai sensi dell’art. 2043 c.c., avanzata dalla società in via subordinata, deducendo che il Comune aveva legittimamente preteso il pagamento di somme a distanza di anni dal momento della esigibilità del credito.

8. Avverso tale decisione proponeva appello la società Target, lamentando l’omessa pronunzia sul tema dell’applicazione del regolamento oggetto della Delibera del 2000, vigente all’epoca delle autorizzazioni richieste, le quali, contrariamente a quanto ritenuto dal Tribunale, dovevano ritenersi rilevanti. Lamentava l’insussistenza dei presupposti per l’applicazione del canone e la rilevanza del comportamento tenuto dal Comune, perchè aveva ingenerato un affidamento nella società e negli altri operatori.

9. Contestava il mancato accoglimento della domanda di risarcimento dei danni e il rigetto dell’eccezione di prescrizione, ribadendo che le tariffe applicate dovevano ritenersi irragionevoli e la decisione impugnata aveva erroneamente affrontato il tema della alternatività tra la pretesa in oggetto e la Tosap e l’imposta sulla pubblicità.

10. Il Comune di Milano si costituiva chiedendo il rigetto del gravame.

11. La Corte d’Appello di Milano, con sentenza del 27 settembre 2017, richiamando l’orientamento della giurisprudenza di merito, da ultimo confermato dalla Corte di legittimità, rigettava l’impugnazione con condanna della società appellante al pagamento delle spese di lite.

12. Avverso tale decisione propone ricorso per cassazione Target Srl affidandosi ad otto motivi. Resiste con controricorso il Comune di Milano e deposita memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo si lamenta che la Corte territoriale non avrebbe considerato il contenuto del regolamento comunale come modificato nel 2002, erroneamente negando rilevanza al fatto che il Comune di Milano, rispetto alle domande di autorizzazione presentate nel 2002, non aveva adottato provvedimenti concessori (e tanto meno autorizzatori) rispondenti alle prescrizioni dell’art. 21 del regolamento e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63 (in base ai quali la determinazione del Cosap deve essere contenuta nel medesimo atto di concessione); la motivazione sul punto sarebbe contraddittoria e la decisione avrebbe violato gli artt. 2 e 5 del Regolamento.

2. Con il secondo motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 5, 12, 13, 20, 21 e 22 del Regolamento comunale Cosap (approvato con Delib. C.C. n. 11 del 2000 e con successiva Delib. C.C. n. 21 del 2002); violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63; errata e contraddittoria motivazione in relazione alla mancanza di un atto di concessione conforme al re golamento Cosap e al D.Lgs. n. 446 del 1997.

3. Con il terzo motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63 e del regolamento Cosap; violazione e falsa applicazione dei principi di parità di trattamento e correttezza; arbitrio; contraddittorietà della motivazione circa la natura del rapporto instaurato tra parti ed i principi che lo regolano; si lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente svincolato la nascita dell’obbligo di pagamento del canone (e, quindi, l’esigibilità del credito) dall’adozione di quegli atti autorizzatori o concessori che quello stesso Comune, nel regolamento approvato, aveva indicato come presupposto per il perfezionamento del diritto di credito; e, non prevedendo conseguenze per tale violazione ai fini del sorgere del credito, avrebbe negato forza cogente alle norme disciplinati il Cosap (che costituisce una entrata patrimoniale, non una entrata tributaria e neppure una sanzione amministrativa) ed avrebbe legittimato il riconoscimento di una diversa rilevanza e forza cogente di dette norme a seconda del soggetto cui sono rivolte (se il Comune o il privato cittadino) e del contenuto delle stesse:

4. Con il quarto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1337, 1375 c.c. e dei principi che regolano i rapporti tra le parti iure privatorum; violazione e falsa applicazione del D.Lgs. n. 446 del 1997 e del regolamento Cosap sotto altro profilo; omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione al comportamento tenuto dal Comune di Milano e agli atti e documenti di causa ad esso relativi; si lamenta che la Corte territoriale avrebbe erroneamente negato rilevanza al fatto che il Comune di Milano, all’atto del rilascio della concessione, non aveva adottato atti contenenti le prescrizioni previste dalla legge e dal regolamento per far sorgere il diritto al pagamento del canone Osap (fatto che, al contrario, secondo la società ricorrente, assumerebbe i connotati della rinuncia al credito e priverebbe il comune del diritto di esigere il Cosap): Inoltre, il Comune avrebbe manifestato la volontà di subordinare il rilascio del titolo abilitativo al pagamento della sola imposta comunale sulla pubblicità; il Comune di Milano, nell’esercizio della discrezionalità riconosciutagli dal D.Lgs. n. 446 del 1997, nel momento in cui ha deciso di avvalersi della facoltà di sostituire una entrata tributaria (quale era la TOSAP) con un’entrata patrimoniale (il canone OSAP), aveva stabilito, da un lato, di assoggettare il suo comportamento e il suo rapporto con gli operatori di 4 settore alle norme che regolano i rapporti privatistici e, dall’altro, di rendere disponibile (e, in particolare, rinunciabile) il suo diritto di richiedere il pagamento dell’entrata.

5. Con il quinto motivo si lamenta la violazione e falsa applicazione degli artt. 1175,1337, 1375 c.c. e dei principi ex art. 97 Cost., di correttezza, trasparenza, buona fede, quali presupposto di responsabilità del Comune di Milano per i danni arrecati a Target; insufficiente e contraddittoria motivazione in relazione ai fatti e ai comportamenti tenuti dal Comune di Milano ai fini della domanda di risarcimento danni; si lamenta che la Corte territoriale, incorrendo nei vizi denunciati, avrebbe respinto la domanda di risarcimento danni, formulata in via subordinata, argomentando sul fatto che, poichè il Comune aveva il diritto al pagamento del canone, non era ravvisabile alcun profilo di responsabilità in capo allo stesso; la società ricorrente sostiene che il Comune di Milano – in considerazione delle informazioni rese nel sito internet (dove vietava l’autoliquidazione del canone) ed agli operatori, nonchè del fatto che non aveva adottato gli atti prescritti dal regolamento – aveva comunque tenuto un comportamento non conforme ai principi denunciati, legittimando la ricorrente a chiedere il risarcimento del danno subito (da quantificarsi nel medesimo importo del canone di locazione, laddove riconosciuto dovuto, dal momento che gli importi, cui erano stati commercializzati gli impianti, non tenevano conti di costi, di cui il Comune all’epoca non aveva richiesto la debenza).

6. Con il sesto motivo si deduce la violazione e falsa applicazione dell’art. 2948 c.p.c., n. 3, in relazione al canone di occupazione del suolo pubblico; errata e contraddittoria motivazione su un punto decisivo; illogicità; violazione e falsa applicazione del principio di parità di trattamento; si lamenta che la Corte territoriale, incorrendo nei vizi denunciati, avrebbe erroneamente ritenuto infondata l’eccezione di prescrizione del Cosap, formulata in via preliminare in sede di atto di costituzione nel giudizio di appello, argomentando sulla sentenza n. 11026/2014 emessa da questa Corte di legittimità, senza considerare, ad avviso della ricorrente, che la stessa concerneva la diversa fattispecie di cui all’art. 2498 c.c., n. 4 (e non si pronunciava sull’assimibilità del canone Osap ai corrispettivi delle locazioni con conseguente applicabilità della prescrizione quinquennale di cui all’art. 2498 c.c., n. 3).

7. Con il settimo motivo si lamenta la violazione degli artt. 111 Cost. e art. 132 c.p.c., per omessa motivazione, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3. La sentenza impugnata avrebbe errato nella parte in cui respingeva le censure sollevate dalla ricorrente rispetto alla natura irragionevole delle tariffe applicate dal Comune di Milano omettendo di pronunziarsi riguardo al contrasto di tali tariffe rispetto alle soglie poste dalla sentenza del Tar n. 5 7/1/2004, limitandosi a richiamare la discrezionalità amministrativa nell’individuazione delle tariffe applicabili.

8. Con l’ottavo motivo si deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione del regolamento approvato con Delib. n. 21 del 2000 e delle norme oggetto del precedente motivo, per violazione del principio del doppio grado di giudizio. La Corte si sarebbe limitata a rilevare che anche tali mezzi erano stati autorizzati con ciò rendendo superfluo l’esame della effettiva istallazione e posizionamento, mentre, al contrario, la ricorrente aveva proprio contestato la richiesta di pagamento sulla base della argomentazione secondo cui gli impianti non sarebbero stati posizionati nel corso dell’anno 2000. Sotto tale profilo la decisione sarebbe viziata per insufficienza della motivazione.

9. Il ricorso è infondato.

10. I primi quattro motivi – in quanto tutti relativi all’operatività nella specie del regolamento Cosap e del D.Lgs. n. 446 del 1997, art. 63 – vengono trattati unitariamente.

11. La società Target ha ottenuto da parte del Comune di Milano specifici provvedimenti di autorizzazione per installare gonfaloni (e cioè impianti aventi dimensioni di cm. 100×140 e spessore di mm. 4, di materiale non cartaceo, privi di rigidezza), destinati ad essere posizionati su pali o su sostegni della rete filo tranviaria; ad essere installati in diversi periodi dell’anno; ed a rimanere posizionati per periodi consecutivi non superiori ai 30 giorni. Tali provvedimenti sono stati rilasciati dal Comune a fronte del pagamento della sola imposta comunale di pubblicità, disciplinata da apposito regolamento. Successivamente il Comune ha richiesto a Target il pagamento dell’importo indicato in narrativa a titolo di COSAP in forza della deliberazione del Consiglio Comunale n. 11 del 21/02/2000 e successive modificazioni e integrazioni.

12. Ciò premesso osserva la Corte che il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche (c.d. canone Osap) è stato istituito dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63 (come modificato dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31), che, al comma 1, prevede che: “i comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, escludere l’applicazione, nel proprio territorio, della tassa per occupazione di spazi ed aree pubbliche, di cui al capo II del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507. I comuni e le province possono, con regolamento adottato a norma dell’art. 52, prevedere che l’occupazione, sia permanente che temporanea, di strade, aree e relativi spazi soprastanti e sottostanti appartenenti al proprio demanio o patrimonio indisponibile, comprese le aree destinate a mercati anche attrezzati, sia assoggetta in sostituzione della tassa per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo alto di concessione in base a tariffa (…)”.

13. Il citato articolo attribuisce dunque ai Comuni la facoltà di escludere, nell’ambito dei rispettivi territori, l’applicazione della TOSAP e di prevedere e disciplinare con specifico regolamento che – in sostituzione di detta tassa – l’occupazione di spazi ed aree pubbliche sia soggetta al pagamento di un canone da parte del titolare della concessione, determinato nel medesimo atto di concessione in base a tariffa COSAP.

14. Il Comune di Milano si è avvalso di tale facoltà, adottando – con Delib. Consiglio Comunale 21 febbraio 2000, n. 11 – il regolamento COSAP, in vigore dal 01/01/2000, modificato con successive Delib. Consiglio Comunale 26 marzo 2002, n. 21 e Delib. Consiglio Comunale 2 aprile 2003, n. 15. Detto regolamento comunale dispone: – all’art. 2, comma 1, che “sono soggette al canone le occupazioni di qualsiasi natura effettuate, anche senza titolo, nelle strade, nei corsi, nelle piazze e, comunque, sui beni appartenenti al demanio o al patrimonio indisponibile del Comune, comprese le aree adibite a mercati anche attrezzati”;

15. – all’art. 3, che: “il canone è dovuto al comune dal titolare dell’atto di concessione o autorizzazione o, in mancanza, dal soggetto che effettua un’occupazione abusiva, di cui all’art. 20, risultante da verbale di accertamento redatto da competente pubblico ufficiale”.

16. Orbene, fatta tale doverosa premessa, va detto che buona parte delle censure oggetto dei quattro motivi di ricorso, sotto l’apparente deduzione di violazione di legge e regolamenti, in realtà prospettano un’omessa valutazione di punti decisivi della controversia ex art. 360 c.p.c., n. 5, ovvero la contraddittorietà e l’insufficienza della motivazione (in tal senso il primo motivo, nella seconda parte; il secondo motivo e la seconda parte del terzo e il quarto motivo).

17. Si tratta di censure inammissibili, sia perchè non consentite dall’art. 348 ter c.p.c., in presenza di una cd doppia conforme, sia perchè il vizio di motivazione dedotto si riferisce al precedente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, mentre le censure, riferite all’omessa considerazione di elementi decisivi, non riguardano fatti storici, ma la errata o omessa valutazione di elementi istruttori, che esula dal perimetro della norma.

18. Infatti, l’omesso esame di elementi istruttori non integra, di per sè, il vizio di omesso esame di un fatto decisivo qualora il fatto storico, rilevante in causa, sia stato comunque preso in considerazione dal giudice, ancorchè la sentenza non abbia dato conto di tutte le risultanze probatorie. (Sez. U., Sentenza n. 8053 del 07/04/2014, Rv. 629831-01)

19. A prescindere da ciò, la Corte territoriale, nel pronunciare la sentenza impugnata non è incorsa in nessuno dei vizi denunciati, laddove ha sostenuto che: – il canone Osap trova la sua fonte nel provvedimento concessorio, ma non può essere considerato oggetto di trattativa privata: il pagamento del canone, infatti, è previsto dal Regolamento e deve essere determinato sulla base delle tariffe approvate dalla deliberazione del Consiglio Comunale n. 11 del 21/2/2000, con successive modificazione e integrazioni, da cui il Comune non può discostarsi; ne consegue che il canone Osap non può essere oggetto di rinuncia da parte del Comune; – anche l’obbligo di pagamento del prezzo del canone Osap da parte del privato trova la sua fonte nel provvedimento autorizzativo: lo stesso art. 63, sopra riportato prevede che il canone deve essere pagato dal titolare del provvedimento di concessione; d’altra parte, negli stessi termini, si esprime (all’art. 3) il regolamento adottato con Delibera del Consiglio comunale di Milano; -la determinazione del canone deve avvenire nell’atto di concessione (soccorrono al riguardo il citato art. 63, nonchè gli artt. 13, 21 e 22 del regolamento adottato dal Comune); tuttavia l’eventuale determinazione del canone in un momento successivo (come per l’appunto si è verificato nel caso di specie) non comporta la non esigibilità del credito da parte del Comune (e, in particolare, non può essere interpretato come rinuncia): sia perchè il diritto al canone Osap trova la sua fonte nell’atto concessorio e non è un diritto disponibile; sia perchè il canone è previsto come dovuto dal regolamento ed è soggetto alle tariffe approvate con le delibere del consiglio comunale; sia perchè il silenzio sul canone non costituisce rinuncia espressa e neppure rinuncia tacita, in assenza di una condotta incompatibile con la volontà di avvalersi del diritto di credito stesso (cfr. sul punto Sez. 3, sent. n. 13169 del 4/10/2000).

20. La motivazione che precede non viola le disposizioni di legge invocate ed è conforme alla giurisprudenza di questa Corte (e, in particolare di questa stessa Sezione), che, proprio di recente (Cass. n. 3710/2019 e Cass. n. 18769/2017 e), ha avuto modo di affermare che il diritto al canone Osap trova la sua fonte nel provvedimento concessorio, ma non può essere considerato oggetto di trattativa privata: l’obbligazione di corrispondere il canone nasce (non con l’accertamento, ma) con l’occupazione del demanio pubblico, con o senza titolo; ed il diritto al canone Osap e la sua determinazione non possono essere oggetto di rinuncia.

21. Occorre qui ribadire che il canone per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, istituito dal D.Lgs. 15 dicembre 1997, n. 446, art. 63, come modificato dalla L. 23 dicembre 1998, n. 448, art. 31, è il corrispettivo di una concessione, reale o presunta (nel caso di occupazione abusiva), dell’uso esclusivo o speciale di beni pubblici. Esso, pertanto, è dovuto non in base alla limitazione o sottrazione all’uso normale o collettivo di parte del suolo, ma in relazione all’utilizzazione particolare o eccezionale che ne trae il singolo (Cass. Sez. 1 – Ordinanza n. 1435 del 19/01/2018, Rv. 646855-01).

22. D’altronde, in caso di pubblicità effettuata su impianti installati su beni appartenenti al comune o da questo dati in godimento, l’applicazione dell’imposta sulla pubblicità non esclude quella per l’occupazione di spazi ed aree pubbliche, in quanto la prima ha presupposti diversi dalla seconda, come emerge dal confronto del D.Lgs. 15 novembre 1993, n. 507, artt. 5 e 38 (che individuano il presupposto impositivo, rispettivamente, nel mezzo pubblicitario disponibile e nella sottrazione dell’area o dello spazio pubblico al sistema della viabilità e quindi all’uso generalizzato: cfr. Cass. n. 13476 del 2012).

23. Il quinto motivo concernente il rigetto della domanda risarcitoria, proposta in via subordinata da Target, è infondato. La società aveva argomentato la sua richiesta sulla tardività e sulla abnormità – rispetto alle tariffe applicate per le occupazioni effettuate con altri mezzi pubblicitari, nonchè rispetto alle tariffe deliberate successivamente con riferimento agli stessi striscioni e gonfaloni – della richiesta del canone, nonchè sulla pretesa violazione da parte del Comune di Milano delle prescrizioni contenute nel regolamento Cosap e dei principi cui dovrebbe essere informata l’attività della P.A. ed i rapporti privatistici.

24. La Corte territoriale ha rigettato la domanda, poichè il Comune aveva il diritto al pagamento del canone, così come rideterminato in corso di causa, e, conseguentemente, vanno esclusi profili di responsabilità. Anche sul punto la motivazione della Corte territoriale sussiste e non è censurabile: nessun comportamento, colposo o doloso, è stato ritenuto imputabile al Comune che ha applicato la normativa di settore in materia di pubblicità effettuata con l’uso di beni pubblici ed ha chiesto l’adempimento dell’obbligazione patrimoniale negli ordinari termini di prescrizione del credito non assolto.

25. Si ribadisce che il regolamento comunale è fonte normativa e prevede, fra l’altro, sia i criteri di determinazione della superficie di occupazione sia le relative tariffe allegate (che la società ricorrente, operatore professionale, avrebbe dovuto e potuto conoscere). Dunque, la richiesta di adempimento di un’obbligazione patrimoniale, conosciuta o conoscibile nell’an e nel quantum, entro gli ordinari termini di prescrizione del credito, costituisce attività tipica della Pubblica Amministrazione.

26. L’affidamento sull’inerzia del Comune, interpretata come rinunzia al canone, non trova tutela giuridica, considerato che non era affatto imprevedibile, fino al momento del maturare della prescrizione decennale, il sopraggiungere di una richiesta di pagamento per forme pubblicitarie particolari, quali per l’appunto nella specie i gonfaloni.

27. Anche il sesto e l’ottavo motivo, concernenti il termine di prescrizione del diritto al canone Osap, sono destituiti di fondamento, sia con riferimento al termine di prescrizione (sesto motivo) che alla presunta assimilabilità della pretesa al canone di locazione (ottavo). Invero, la Corte territoriale ha escluso che il diritto di credito fosse estinto per effetto di prescrizione quinquennale; argomentando sul fatto che le Sezioni Unite, con sentenza n. 11026 dell’8 aprile 2014 avevano affermato che: “l’art. 24 del Regolamento del COSAP del Comune di Milano prevede la prescrizione quinquennale del diritto dell’utente al rimborso di quanto indebitamente pagato per il titolo considerato, ma nulla dispone in merito alla prescrizione 12 delle pretese del comune”, con la conseguenza che “del tutto arbitraria si rileva, perchè priva di qualsiasi referente logico o normativo” l’assimilazione della prescrizione quinquennale alla prescrizione del diritto al canone Osap; dunque, questa Corte, in assenza di un preciso riferimento normativo, ha escluso la prescrizione breve (sulla base dell’interpretazione a contrario dell’art. 24 del Regolamento del Comune di Milano) ed ha ritenuto il canone Osap non assimilabile ad un canone locatizio.

28. A detto riguardo si osserva che il canone Osap, a differenza del canone locatizio, trova titolo in diversi e specifici provvedimenti autorizzativi (e non in un unico provvedimento, fonte dell’obbligazione, assimilabile al contratto di locazione). Ciò posto, la Corte territoriale ha ritenuto la prescrizione ordinaria decennale e quindi non prescritti nella specie i crediti del Comune di Milano, non essendo decorsi 10 anni dalla data di emissione dei provvedimenti autorizzativi alla data di invio dell’avviso di pagamento (2005). La sentenza impugnata, dunque, ha deciso sulla prescrizione del canone Osap facendo buon governo dei principi affermati nel 2014 dalle Sezioni Unite.

29. Nella citata sentenza le Sezioni Unite hanno stabilito che il pagamento del Cosap soggiace al termine di pagamento ordinario, in quanto “l’importo, nella specie, previsto dal Comune a titolo di Cosap non andava pagato periodicamente ad anno o in termini più brevi, posto che la concessione aveva ad oggetto singole autonome esposizioni, della durata di circa un mese ciascuna, nessuna delle quali a carattere periodico”.

30. Ed è jus receptum nella giurisprudenza di questa Corte (cfr. Sez. I, sent. n. 6651 del 16/12/1981) che: “la prescrizione breve di cui all’art. 2948 c.c., n. 4, trova applicazione nel caso in cui da un unico rapporto giuridico derivino obbligazioni con scadenza periodica non superiore ad un anno, e non riguarda, pertanto, 13 caso di autonomi atti di concessione amministrativa aventi durata annuale e ciascuno con un apposito canone da pagarsi in unica soluzione”.

31. Il settimo motivo è infondato perchè i gonfaloni rappresentando mezzi pubblicitari idonei a trasmettere comunicazioni commerciali e sono assoggettati alle modalità di calcolo previste nel Regolamento sulla base delle dimensioni del mezzo e della durata dell’occupazione. Come correttamente evidenziato dalla Corte territoriale, una volta deliberati (e non impugnati) i criteri tariffari, ogni valutazione sulla legittimità amministrativa degli stessi è sottratta al sindacato del giudice ordinario. Sotto tale profilo, pertanto, non ricorre alcuna ipotesi di omessa pronuncia ex art. 112 c.p.c. e le censure relative all’insufficiente motivazione sono inammissibili, sia perchè riferite al precedente testo dell’art. 360 c.p.c., n. 5, sia in quanto precluse dall’art. 348 ter c.p.c., in presenza di una cd doppia conforme, fondata sui medesimi presupposti fattuali che esclude la censurabilità ex art. 360 c.p.c., n. 5.

32. Per le ragioni di cui sopra, il ricorso deve essere rigettato e la società ricorrente deve essere condannata al pagamento delle spese processuali, liquidate come dispositivo, nonchè al pagamento dell’ulteriore importo, previsto per legge e pure indicato in dispositivo.

33. Ne consegue che il ricorso deve essere rigettato; le spese del presente giudizio di cassazione – liquidate nella misura indicata in dispositivo seguono la soccombenza. infine, va dato atto – mancando ogni discrezionalità al riguardo (tra le prime: Cass. 14/03/2014, n. 5955; tra molte altre: Cass. Sez. U. 27/11/2015, n. 24245) – della sussistenza dei presupposti per l’applicazione del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, in tema di contributo unificato per i gradi o i giudizi di impugnazione e per il caso di reiezione integrale, in rito o nel merito.

PQM

Rigetta il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese in favore del controricorrente, liquidandole in Euro 4.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00 ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza della Corte Suprema di Cassazione, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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