Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 924 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/01/2011, (ud. 25/11/2010, dep. 17/01/2011), n.924

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. LAMORGESE Antonio – Consigliere –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31462/2007 proposto da:

F.M., domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR, presso LA

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dagli avvocati BONDI Mauro, CATALANO AGOSTINO, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

CAVIT TRENTO CANTINA VITICOLTORI S.C.A.R.L., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.

G. FARAVELLI 22, presso lo studio dell’avvocato MARESCA Arturo, che

la rappresenta e difende unitamente agli avvocati VALCANOVER FILIPPO,

SQUASSI FEDERICO giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 23/2007 della CORTE D’APPELLO di TRENTO,

depositata il 23/07/2007 R.G.N. 79/06;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

25/11/2010 dal Consigliere Dott. IRENE TRICOMI;

udito l’Avvocato FABBRI FRANCESCO per delega BONDI MAURO;

udito l’Avvocato COSENTINO VALERIA per delega MARESCA ARTURO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Con ricorso al Tribunale di Trento, Giudice del lavoro, depositato il 12 agosto 2004, F.M. esponeva di aver lavorato alle dipendenze della società CAVIT s.c.a.r.l. dal (OMISSIS), con la qualifica di operaio di quarto livello, ricoprendo cariche sindacali dal 1997 al 2001. La suddetta società, con lettera 16 aprile 2004, aveva intimato ad esso F. il licenziamento per giusta causa, ai sensi dell’art. 2119 cod. civ.. Tale misura era stata deliberata il 7 aprile 2004 dal Consiglio di amministrazione della società, in ragione della gravità di due episodi, avvenuti all’interno dell’azienda, addebitati al suddetto ricorrente (contestatigli con lettera del 31 marzo 2004), e del conseguente venir meno del vincolo fiduciario.

A) Il primo episodio, avvenuto nel settembre del 2003, aveva riguardato altro lavoratore interinale della CAVIT C. G..

B) Il secondo episodio, verificatosi sempre nel 2003, aveva riguardato il presidente della suddetta società S.F..

Nel primo caso (A), il suddetto C. aveva rinvenuto nella propria auto un pezzo di cartone, al medesimo indirizzato, con la scritta: “Nano dopato sei un imbranato se carriera vuoi far a mezzo corona devi andare sei un bidone ma non romperci nemmeno un coglione altrimenti la tua golf presa da P. la sfonderemo con un carrello ed il tuo brutto muso lo ridurremo in disuso”.

Successivamente, il C. aveva notato danni alla propria autovettura e dopo un mese, fra (OMISSIS), aveva trovato un altro cartoncino.

Nel secondo caso (B), al presidente della CAVIT era pervenuto uno scritto del seguente tenore “Ladro-ladro-fai la spesa al SAI e – paga la Cavit Ladro Faccia di Merda-Ladro -ladro Mafioso”.

Il 6 aprile 2004 si teneva, su richiesta del F., una riunione, differita al successivo 24 aprile, data in cui quest’ultimo esponeva le proprie spiegazioni, negando gli addebiti.

Il ricorrente, dinanzi al Tribunale, eccepiva la nullità del licenziamento in quanto la relativa delibera era stata assunta il 7 aprile 2004 e, quindi, prima che ne fosse stata consentita l’audizione prevista dall’art. 7 dello Statuto dei lavoratori. Nel merito, deduceva l’invalidità per assenza di giusta causa, in ragione della carenza di prova dei fatti ascrittigli. In via gradata, il F. si doleva della sproporzione fra la sanzione espulsiva in questione e la gravità dei fatti contestatigli, dal momento che l’art. 131 del CCNL di settore prevede il licenziamento solo per l’ipotesi di “diverbio litigioso seguito da vie di fatto in servizio anche fra dipendenti, che comportino nocumento o turbativa al normale esercizio dell’attività aziendale”.

Il giudice adito, con sentenza n. 155/06, rigettava il ricorso, ritenendo fondato il licenziamento in relazione all’episodio denunciato dal C., e poneva per metà le spese di giudizio a carico del F., con compensazione della residua metà.

La pronuncia era motivata in riferimento alle chiare risultanze della consulenza tecnica d’ufficio grafologica, perfettamente riscontrate dalle prove orali. Il Tribunale riteneva, quindi, superflua la disamina dell’addebito relativo al secondo episodio.

3. Il F. proponeva appello avverso la detta sentenza, chiedendone la riforma prospettando la carenza di prova del fatto addebitatogli e, in subordine, la sproporzione della sanzione, nonchè l’erroneità del regime delle spese di lite.

4. La società CAVIT resisteva e proponeva appello incidentale in ordine alla mancata valutazione del secondo addebito mosso al F..

5. La Corte di Appello di Trento, Sezione lavoro, con sentenza n. 23 del 2007, rigettava l’appello principale ed accoglieva l’appello incidentale, ritenendo accertata la responsabilità del F. anche in relazione all’addebito riguardante l’anonimo inviato al Presidente della società CAVIT. Condannava il F. al pagamento delle spese del giudizio di appello e di quelle relative al supplemento di CTU. 6. Per la cassazione di tale sentenza ricorre il F., prospettando sei motivi di ricorso.

7. La società CAVIT ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1. Con il primo motivo di ricorso, il F. ha prospettato la violazione e la falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., nonchè l’omessa insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio.

1.1. Il ricorrente ritiene che la Corte d’Appello abbia disatteso il regime giuridico della prova nel porre a fondamento dell’attribuibilità dei fatti in questione al F. – così confermando la pronuncia di prime cure – le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio, senza che le altre risultanze probatorie avvalorassero tale dato, non potendo assumere rilievo a tal fine nè l’esito dell’interrogatorio libero, nè quello delle dichiarazioni rese dal C.. Da entrambi, come si evincerebbe, tra l’altro, anche dalla lettera di contestazione disciplinare del 31 marzo 2004, infatti, sarebbe emersa l’assenza di rapporti tra il F. ed il C., nonchè l’estranietà del F., quale rappresentante sindacale, alla trattativa in ordine all’apertura di un altro stabilimento della CAVIT in località (OMISSIS) Il ricorrente ha formulato il seguente quesito di diritto: “se è sufficiente a provare l’attribuzione di uno scritto anonimo ad un determinato autore il giudizio espresso in tal senso dal consulente tecnico d’ufficio, grafologo, senza il supporto di altre risultanze probatorie”.

1.2. Dall’esame del motivo di ricorso in uno al relativo quesito di diritto, si può rilevare come il ricorrente prospetti il vizio di violazione di legge con profili attinenti alla ricognizione della fattispecie in esame.

Come la giurisprudenza di legittimità ha avuto modo di affermare il vizio di violazione di legge, infatti, consiste nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge e, quindi implica necessariamente un problema interpretativo della stessa (di qui la funzione di assicurare l’uniforme interpretazione della legge assegnata alla Corte di Cassazione); viceversa, l’allegazione di un’erronea ricognizione della fattispecie concreta a mezzo delle risultanze di causa è esterna all’esatta interpretazione della norma di legge e impinge nella tipica valutazione del giudice di merito, la cui censura è possibile, in sede di legittimità, sotto l’aspetto del vizio di motivazione. Lo scrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato, in modo evidente, dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass., Sezione Lavoro, sentenza n. 7394 del 2010).

Nella specie il ricorrente deduce la erronea applicazione della legge in ragione della non condivisa valutazione delle risultanze di causa, con la conseguente inammissibilità del motivo di ricorso.

1.3. Ciò, a prescindere dal fatto che la sentenza di cui si chiede la cassazione, facendo corretta applicazione dei principi di diritto in tema di prova, ha ritenuto l’attribuibilità del fatto sub A) al F. in ragione delle risultanze della ctu (che si avvaleva di elemento di raffronto di inequivoca paternità del F.) e del complessivo quadro processuale probatorio, in cui assume rilievo:

l’atto di danneggi amento subito dall’auto del C., proveniente dal negozio del P., “sintonico colla predisposizione del cartello ed in specie del suo contenuto”; le dichiarazioni del C., per il quale non emergeva “alcun elemento di contrasto apparente che potesse opporlo al F.”, mentre, “di contro, è più che comprensibile un sentimento di rancore di quest’ultimo nei confronti del primo, pure disponibile ad assumere incarichi di un certo rilievo, nell’erigendo stabilimento di (OMISSIS) della Cavit, progetto, questo, invece osteggiato dalla parte sindacale cui aderiva il F.”; un argomento di tipo logico non essendo venute in rilievo altre persone, diverse dall’odierno ricorrente, che potessero essere portatrici di motivi di contrasto con il C..

1.4. Questa Corte ha ripetutamente affermato che l’esame dei documenti esibiti e delle deposizioni dei testimoni, nonchè la valutazione dei documenti e delle risultanze della prova testimoniale, il giudizio sull’attendibilità dei testi e sulla credibilità di alcuni invece che di altri, come la scelta, tra le varie risultanze probatorie, di quelle ritenute più idonee a sorreggere la motivazione, involgono apprezzamenti di fatto riservati al giudice del merito, il quale, nel porre a fondamento della propria decisione una fonte di prova con esclusione di altre, non incontra altro limite che quello di indicare le ragioni del proprio convincimento, senza essere tenuto a discutere ogni singolo elemento o a confutare tutte le deduzioni difensive, dovendo ritenersi implicitamente disattesi tutti i rilievi e circostanze che, sebbene non menzionati specificamente, sono logicamente incompatibili con la decisione adottata (Cass., Sezione lavoro, sentenza n. 17097 del 2010).

2. Con il secondo motivo di ricorso il F. denuncia il vizio di motivazione circa la valutazione di un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’identificazione dell’auto asseritamente danneggiata in relazione al contenuto del cartello anonimo rinvenuto dal C..

Tale censura non è esaminabile in questa sede di legittimità.

Il ricorrente, sotto il profilo del vizio motivazionale, con la censura in esame si limita a prospettare una lettura delle risultanze istruttorie diversa da quella fornita dal giudice del merito, mentre secondo giurisprudenza unanime di questa Corte il motivo di ricorso per Cassazione, con il quale la sentenza impugnata venga censurata per vizio della motivazione, non può essere inteso a far valere la rispondenza della ricostruzione dei fatti operata dal giudice del merito al diverso convincimento soggettivo della parte e, in particolare, non si può proporre con esso un preteso migliore e più appagante coordinamento dei molteplici dati acquisiti, atteso che tali aspetti del giudizio, interni all’ambito della discrezionalità di valutazione degli elementi di prova e dell’apprezzamento dei fatti, attengono al libero convincimento del giudice e non ai possibili vizi del percorso formativo di tale convincimento rilevanti ai sensi della disposizione di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5); in caso contrario, questo motivo di ricorso si risolverebbe in una inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e dei convincimenti del giudice di merito, e, perciò, in una richiesta diretta all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalità del giudizio di cassazione (Cass., Sezione Lavoro, sentenza n. 6064 del 2008).

3. Con il terzo motivo di ricorso è dedotta omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio in ordine alla prova dell’intenzionale danneggiamento dell’auto del C., decisivo in relazione alla conligurabilità della giusta causa di recesso.

Anche detto motivo di ricorso, strettamente connesso al precedente, incorre nei vizi di cui al secondo motivo sostanziandosi nella richiesta di una nuova pronuncia sul fatto.

4. Con il quarto motivo di ricorso è dedotta violazione e falsa applicazione del CCNL Commercio 3 novembre 1994 (artt. 217 e 221). In relazione a detta censura è stato prospettato il seguente quesito di diritto: “se costituisce giusta causa di licenziamento il rivolgere minacce e ingiurie all’indirizzo di un collega senza peraltro trascendere a vie di fatto (e nel caso di specie il danneggiamento) e recare nocumento o compromettere il regolare svolgimento della vita aziendale”, come, invece, previsto dalla contrattazione collettiva.

Il motivo non è fondato. Ed infatti, la nozione di giusta causa (art. 2119 c.c.) è una nozione legale e pertanto il giudice non è tendenzialmente vincolato alle previsioni di condotte integranti giusta causa contenute nei contratti collettivi (sentenza Cass., Sezione lavoro, n. 2906 del 2005). In caso di licenziamento per giusta causa, ai fini della proporzionalità fra fatto addebitato e recesso, viene in considerazione ogni comportamento che, per la sua gravità, sia suscettibile di scuotere la fiducia del datore di lavoro e di far ritenere che la continuazione del rapporto si risolva in un pregiudizio per gli scopi aziendali, dovendosi ritenere determinante, a tal fine, l’influenza che sul rapporto di lavoro sia in grado di esercitare il comportamento del lavoratore che denoti una scarsa inclinazione ad attuare diligentemente gli obblighi assunti, conformando il proprio comportamento ai canoni di buona fede e correttezza. Spetta al giudice di merito valutare la congruità della sanzione espulsiva non sulla base di una valutazione astratta del fatto addebitato, ma tenendo conto di ogni aspetto concreto della vicenda processuale che, alla luce di un apprezzamento unitario e sistematico, risulti sintomatico della sua gravità rispetto ad un’utile prosecuzione del rapporto di lavoro (Cass., Sezione lavoro, sentenza n. 17514 del 2010).

5. Con il quinto motivo di ricorso è stato dedotto l’omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, con riguardo alla pronuncia di accoglimento dell’appello incidentale della società CAVIT. Anche tale motivo è inammissibile in quanto attraverso il medesimo il ricorrente chiede una revisione del giudizio della Corte d’Appello. E non è senza significato in merito che. per contrastare le motivazioni della Corte di Appello, il ricorrente richiami e faccia proprie le argomentazioni del giudice di primo grado sull’addebito sub B).

6. Con il sesto motivo di appello, prospettato in subordine al quinto, è dedotta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2697 e 2729 cod. civ., con analoghe argomentazioni e lo stesso quesito di diritto esposto con riguardo al primo motivo.

Valgono le considerazioni svolte da questa Corte in ordine al primo motivo di ricorso, a prescindere dal fatto che, anche rispetto all’attribuibilità dell’addedito sub B), la Corte d’Appello, facendo corretta applicazione dei principi di diritto sopra ricordati, richiama la ctu disposta in primo grado ed il supplemento di ctu disposto in appello, in uno al complessivo quadro processuale probatorio, ritenendo che tale episodio è riconducibile ad uno stato di sofferenza verso le persone che, all’interno dell’azienda, seppure con diversa assunzione di responsabilità, erano protagonisti o comunque partecipi di un progetto di ristrutturazione lavorativa osteggiato dall’autore degli scritti.

7. Pertanto, alla luce delle argomentazioni sopra svolte, il ricorso deve essere rigettato.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza e sono liquidale come in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso e condanna il ricorrente al pagamento in favore della resistente delle spese del presente giudizio liquidate in Euro 66,00 per esborsi e in Euro 3.000,00 per onorari oltre spese generali I.V.A. e C.P.A..

Così deciso in Roma, il 25 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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