Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9239 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. III, 20/05/2020, (ud. 04/10/2019, dep. 20/05/2020), n.9239

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. OLIVIERI Stefano – rel. Consigliere –

Dott. VINCENTI Enzo – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 21947/2018 proposto da:

G.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GAVINANA 4,

presso lo studio dell’avvocato DOMENICO ANGELINI, rappresentata e

difesa dall’avvocato FRANCESCA LOREDANA GANZERLA;

– ricorrente –

contro

GI.FE.;

– intimato –

nonchè da:

GI.FE., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CARLO DOSSI

45, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MARIA FACILLA, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato LUCA FACCIN;

– ricorrente incidentale –

contro

G.L.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 831/2018 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

depositata il 15/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

04/10/2019 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVIERI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto di entrambi i

ricorsi;

udito l’Avvocato DOMENICO ANGELINI per delega.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La Corte d’appello di Brescia, con sentenza in data 15.5.2018 n. 831, dichiarava inammissibile per decadenza del termine breve ex artt. 325 e 326 c.p.c., l’appello principale proposto da G.L. avverso la ordinanza ex art. 702 ter c.p.c., del Tribunale di Mantova in data 26.11.2014 e dichiarava, in conseguenza, la inefficacia dell’atto di appello incidentale tardivo proposto da Gi.Fe..

Il Giudice territoriale, rilevato che l’Ufficio di Cancelleria del Tribunale di Mantova aveva “comunicato” alle parti, in forma integrale, il testo ed il dispositivo della ordinanza predetta, trasmessa in data 27.11.2014 in forma telematica agli indirizzi PEC dei rispettivi difensori risultanti dal registro pubblico INI-PEC del D.P.R. n. 82 del 2005, ex art. 6 bis e che la trasmissione si era perfezionata in data 28.11.2014 come attestato dalle ricevute di avvenuta consegna emesse dal gestore del servizio di PEC, ha ritenuto che il termine di decadenza per la proposizione dell’appello veniva quindi a scadere, ai sensi dell’art. 702 quater c.p.c., alla data 29.12.2014, e che pertanto la notifica dell’atto di appello principale eseguita dal difensore della G. in data 25.5.2015 era da considerare tardiva.

Impugna la sentenza della Corte d’appello, G.L. con ricorso per cassazione affidato a quattro motivi, illustrati da memoria ex art. 378 c.p.c..

Resiste Gi.Fe. con controricorso e ricorso incidentale affidato ad un unico motivo.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Primo motivo: violazione degli artt. 325, 326 e 307 c.p.c.; violazione della L. n. 114 del 2014, dei principi generali del diritto e contraddittorietà della motivazione.

Sostiene la ricorrente che “comunicazione” e “notificazione” non sono equipollenti e pertanto, poichè il procedimento sommario è improntato al principio della semplificazione delle forme processuale ma è pur sempre un giudizio a cognizione piena, lo stesso si conclude con una pronuncia idonea al passaggio in giudicato e, dunque, per conseguire tale risultato tale decisione deve essere portata a conoscenza delle parti mediante le forme proprie della notificazione dell’atto.

Secondo motivo: violazione dell’art. 133 c.p.c., art. 45 disp. att., D.L. 24 giugno 2014, n. 90, conv. in L. n. 114 del 2014; D.L. n. 179 del 2012, art. 16, conv. in L. n. 221 del 2012.

Sostiene la ricorrente che per prassi consolidata le Cancellerie, quando effettuano notificazioni in luogo di comunicazioni lo specificano espressamente nella missiva telematica: da ciò trae la conseguenza che, in mancanza di tale specificazione, la “comunicazione” non può assurgere al valore di “notificazione”, non potendo ad essa riconoscersi “validità legale” ai fini della decorrenza del termine breve di impugnazione.

Assume ancora che la Corte d’appello, nel caso di specie, avrebbe omesso di compiere la necessaria verifica del “contenuto” della comunicazione dell’ordinanza ex art. 702 bis c.p.c., ed in particolare avrebbe omesso di accertare se la stessa indicasse chiaramente che veniva eseguita agli effetti della decorrenza del termine breve, ed ancora se, in allegato al messaggio telematico, fosse effettivamente stato trasmesso il provvedimento integrale in formato PDF.

La censura, dedotta con i primi due motivi, che – in quanto coinvolgenti la medesima questione in diritto – possono essere trattati congiuntamente, è destituita di fondamento.

La semplificazione processuale disposta dal Legislatore con la L. 18 giugno 2009, n. 69, art. 51, comma 1, che ha introdotto sotto il Titolo I (Dei procedimenti sommari) del Libro IV (Dei procedimenti speciali), il Capo III bis (“Del procedimento sommario di cognizione”) ha interessato non soltanto le modalità di svolgimento del procedimento, ma anche la fase preordinata alla formazione de giudicato, in quanto, fermo il termine ordinario concesso per la proposizione della impugnazione (l’art. 702 quater c.p.c., conferma, per la impugnazione della ordinanza, i 30 giorni previsti per la impugnazione in appello della sentenza dall’art. 325 c.p.c.), il Legislatore ha inteso invece abbreviare l’inizio della decorrenza del termine breve di decadenza, in relazione alla acquisita integrale conoscenza legale del provvedimento, secondo che questa si realizzi, per prima, con la “comunicazione” di Cancelleria (del provvedimento integrale: art. 45 disp. att. c.p.c., nel testo introdotto dal D.L. 18 ottobre 2012, n. 179, art. 16, comma 3, lett. c), conv. con mod. in L. 17 dicembre 2012, n. 221) ovvero con la “notificazione” a cura della parte più diligente. Il testo della norma processuale è inequivoco, avuto riguardo al chiaro contenuto semantico delle parole utilizzate, e non consente, pertanto, margini interpretativi volti a negare rilevanza alla forma della “comunicazione” di Cancelleria come anch’essa idonea a far decorrere il termine breve per la proposizione della impugnazione (“l’ordinanza….produce gli effetti dell’art. 2909 c.c., se non è appellata entro trenta giorni dalla sua comunicazione o notificazione”), non potendo pertanto non riconoscersi al termine lessicale “comunicazione”, contenuto nell’art. 702 quater c.p.c., comma 1, in quanto forma partecipativa espressamente ritenuta idonea, in alternativa alla “notificazione” a cura della parte, a produrre il medesimo risultato di conoscenza legale della ordinanza, altro significato se non quello rinvenibile all’interno del medesimo “corpus” normativo del codice di rito (art. 58 c.p.c. e art. 59 c.p.c., art. 133 c.p.c., comma 2, art. 134 c.p.c., comma 2, art. 136 c.p.c. e art. 137 c.p.c., comma 3; art. 45 disp. att. c.p.c.) e delle leggi che a tale distinzione del codice di rito si richiamano (D.L. n. 179 del 2012, art. 16, conv. in L. n. 221 del 2012, sul processo telematico).

Manifestamente infondata è l’assunta lesione del potere dispositivo delle parti che sarebbe conculcato, secondo la ricorrente, dalla scelta arbitraria del Cancelliere di “comunicare” il provvedimento, sottraendo alle parti l’opzione del “quando” attivare la fase impugnatoria.

Premesso che il Cancelliere non è libero di scegliere il momento più opportuno nell’adempimento dei doveri di ufficio, ma è tenuto anche per quanto concerne i tempi di espletamento delle proprie competenze alla rigorosa osservanza delle norme di legge (art. 133 c.p.c., comma 2: del deposito della sentenza è data notizia alle parti “entro cinque giorni” ed “immediatamente” nel caso delle sentenze emesse in controversie di lavoro particolarmente complesse ex art. 430 c.p.c.; art. 176 c.p.c., comma 1: le ordinanze pronunciate fuori udienza debbono essere comunicate alle parti “entro i tre giorni successivi”) e regolamentari concernenti la organizzazione dei servizi dell’Ufficio, e che, qualora le norme non prevedano termini per le comunicazioni o le notifiche rimesse al Cancelliere, questi deve provvedervi “di seguito” al deposito del provvedimento od alla pubblicazione della sentenza (in assenza si prefissione di termine la soluzione di continuità tra l’attività del Giudice e quella del Cancelliere è data, infatti, soltanto dai tempi strettamente necessari alla esecuzione materiale delle incombenze indispensabili per compiere la comunicazione o notifica: cfr. Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 13794 del 01/08/2012; id. Sez. U., Sentenza n. 18569 del 22/09/2016; id. Sez. 6-2, Ordinanza n. 7635 del 18/03/2019), e premesso, ancora, che la scelta di “notificare” il provvedimento, riservata alle parti, che altro non è che il riflesso della scelta di anticipare quella stabilizzazione e – tendenziale – definitiva certezza delle situazioni giuridiche che è lo scopo cui tende il processo attraverso la efficacia del giudicato sostanziale (art. 2909 c.c.), non viene affatto conculcata dalla “comunicazione” di Cancelleria idonea al decorso del termine breve di impugnazione, atteso che alle parti è rimessa, in via esclusiva, la facoltà di contestare o meno il “decisum” attraverso la impugnazione del provvedimento, osserva il Collegio che l’alternativa posta dall’art. 702 quater c.p.c., tra “comunicazione” o “notificazione”, corrisponde alle esigenze di celerità e snellimento del processo che il Legislatore ha inteso attuare con l’introduzione del rito sommario, avendo come punto di orientamento il principio costituzionale della ragionevole durata del processo (art. 111 Cost., comma 2) ed il principio costituzionale di efficienza della tutela giudiziaria dei diritti e degli interessi (artt. 24, 97 e 102 Cost.). La esigenza sottesa a tale disciplina processuale è quella di definire rapidamente le controversie che non richiedono complessità di trattazione e di istruttoria: trattasi in sostanza di misura volta a consentire alle parti ed al Giudice di risolvere celermente il giudizio – laddove consentito dalla modesta rilevanza del “thema controversum” o dalla particolare evidenza degli elementi istruttori o, comunque, dalla agevole acquisizione dei mezzi di prova richiesti, fornendo alle parti una riposta in tempi abbreviati, evitando che la cause “semplici” vengano inutilmente ad aggravare la durata dei tempi del ruolo ordinario assegnato a ciascun Giudice. In tale ottica la scelta di accelerare anche la fase della formazione del giudicato non è affatto incongrua, apparendo del tutto conforme ai principi costituzionali indicati e non andando incontro, la forma di conoscenza legale prescelta – comunicazione di Cancelleria, a violazioni del principio di proporzionalità tra mezzo e scopo, non impingendo sul diritto di difesa delle parti che rimangono assolutamente libere di proseguire il processo con la impugnazione, o di disinteressarsi delle vicende del processo ed acquietarsi alle ragioni del “decisum” preferendo stabilizzare gli effetti della situazione giuridica così come regolati dal provvedimento giudiziale.

Priva di rilievo è poi la questione della asserita violazione dell’art. 133 c.p.c., comma 2, u.p., che dispone “La comunicazione non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325”.

Le norme sulle comunicazioni di Cancelleria, collocate nella Sez. III e IV del Capo I del Titolo VI del Libro I del codice di procedura civile, che rivestono una valenza generale, forniscono le definizioni degli atti di partecipazione e vengono appunto a prevedere discipline distinte per le “comunicazioni” e le “notificazioni”, quanto alla forma ed al contenuto, nonchè agli effetti, riconoscendo alle prime soltanto una efficacia “notiziale” (id est informativa del compimento o del deposito di un atto del processo), non correlata, quindi, alla attivazione di alcun termine di decadenza. Ma questo non impedisce che alla “comunicazione” del Cancellerie possano essere ricondotti anche effetti diversi, qualora una norma speciale venga a derogare alla norma generale, ricollegando alla comunicazione anche l’effetto di conoscenza legale del contenuto dell’atto partecipato, idoneo a far decorrere un termine stabilito a pena di decadenza.

Le ipotesi sono molteplici e si rinvengono anche tra le norme dello stesso codice di procedura civile (art. 50 c.p.c., comma 1, art. 54 c.p.c., comma 4, art. 627 c.p.c.; art. 125 bis disp. att. c.p.c., art. 129 bis disp. att. c.p.c., comma 2, art. 133 bis disp. att. c.p.c., comma 2: in tema di decorrenza del termine perentorio stabilito per la riassunzione del giudizio, dalla comunicazione di Cancelleria del provvedimento; art. 47 c.p.c., comma 2, art. 178 c.p.c., comma 3, art. 308 c.p.c., comma 1, art. 348 ter c.p.c., comma 3, art. 624 c.p.c., comma 2, art. 630 c.p.c., comma 3, art. 669 terdecies c.p.c., comma 1, art. 739 c.p.c., comma 2: in relazione alla decorrenza, dalla comunicazione di Cancelleria, del termine di decadenza per la proposizione della impugnazione avverso il provvedimento comunicato. Per completezza va evidenziato come anche altre norme processuali prevedono la decorrenza di termini perentori per la riassunzione del processo – artt. 392 e 420 bis c.p.c. – o per la impugnazione – art. 281 sexies c.p.c., art. 352 c.p.c., u.c., art. 429 c.p.c., comma 1 – indipendentemente dalla “notificazione” del provvedimento giurisdizionale: nella specie i termini decorrono dalla conoscenza legale acquisita mediante lettura in udienza che produce gli effetti della “pubblicazione” del provvedimento, e più in generale dalla pubblicazione della sentenza ex art. 327 c.p.c.).

In tal senso si registrano numerosi precedenti di questa Corte di legittimità che affermano il carattere meramente generale della disposizione di cui all’art. 133 c.p.c., comma 2 (secondo cui la comunicazione non fa decorrere i termini di impugnazione) ad opera di norme speciali, dovendo quindi ribadirsi il principio di diritto secondo cui la novella dell’art. 133 c.p.c., comma 2, operata con il D.L. 24 giugno 2014, n. 90, art. 45, comma 1, lett. b), convertito con modificazioni in L. 11 agosto 2014, n. 114, secondo cui la comunicazione, da parte della cancelleria, del testo integrale del provvedimento depositato non è idonea a far decorrere i termini per le impugnazioni di cui all’art. 325 c.p.c., è finalizzata a neutralizzare gli effetti della generalizzazione della modalità telematica della comunicazione, se integrale, di qualunque tipo di provvedimento, ai fini della normale decorrenza del termine breve per le impugnazioni, solo nel caso di atto di impulso di controparte, ma non incide sulle norme processuali, derogatorie e speciali (come l’art. 348 ter c.p.c., comma 3, nella parte in cui fa decorrere il termine ordinario per proporre il ricorso per cassazione avverso il provvedimento di primo grado dalla comunicazione dell’ordinanza che dichiara l’inammissibilità dell’appello ai sensi dell’art. 348 bis c.p.c.), che ancorino la decorrenza del termine breve di impugnazione alla mera comunicazione di un provvedimento da parte della cancelleria, senza che rilevi che la comunicazione sia integrale o meno (cfr. Corte cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 23526 del 05/11/2014; id. Sez. L, Sentenza n. 19177 del 28/09/2016, con riferimento al termine di sessanta giorni per la proposizione del ricorso per cassazione, di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 62, decorrente dalla semplice comunicazione del provvedimento, trattandosi di previsione speciale, che in via derogatoria comporta la decorrenza del termine da detto incombente, su cui non incide la modifica dell’art. 133 c.p.c., comma 2; id. Sez. 6-L, Ordinanza n. 6059 del 13/03/2018 relativamente al termine di trenta giorni per il reclamo di cui alla L. n. 92 del 2012, art. 1, comma 58, decorre dalla semplice comunicazione del provvedimento; id. Sez. L, Sentenza n. 83 del 04/01/2019).

Quanto alle problematiche di “mero fatto” evidenziate dalla ricorrente (sarebbe opportuno che la “comunicazione” di Cancelleria riportasse sempre una “dicitura atta ad identificarla come notificazione”), osserva il Collegio che le stesse non incidono sulla tenuta sistematica della soluzione processuale accolta dal Legislatore, sperimentata in modo analogo anche in altre tipologie procedimentali volte anch’esse al perseguimento della celere definizione dei giudizi (in particolare l’alternativa delle forme della “comunicazione” a cura del Cancelliere e della “notificazione” a cura di parte, riconosciute entrambe idonee al perseguimento del risultato della conoscenza legale del provvedimento ai fini della decorrenza del termine di decadenza, è rinvenibile anche nei procedimenti regolati dall’art. 348 ter c.p.c., art. 624 c.p.c., comma 2 e art. 669 terdecies c.p.c., comma 1), nè appaiono insuperabili sul piano pratico, giusta che la ricorrente viene sostanzialmente a lamentare la mancanza nella “comunicazione” di un “alert” che richiami l’attenzione del difensore destinatario sugli effetti – decorrenza del termine breve – da ricondurre all’atto di partecipazione proveniente dall’Ufficio di Cancelleria.

Al proposito è appena il caso di osservare che, se la esigenza di una ulteriore e più rassicurante segnalazione di accompagnamento della “comunicazione”, non è ex se ragione di vulnus ai principi costituzionali del diritto di difesa (art. 24 Cost.), nè tanto meno è ipotizzabile una lesione del principio di parità di trattamento di situazioni identiche ex art. 3 Cost. (la diversità delle forme dell’atto di partecipazione del provvedimento decisorio, essendo il naturale portato della diversa disciplina del rito sommario rispetto a quello del processo ordinario di cognizione), d’altra parte la modifica dell’art. 45 disp. att. c.p.c., comma 2 – introdotta dal D.L. n. 179 del 2012, conv. in L. n. 221 del 2012 – già prevede un tale “alert” laddove prescrive la comunicazione del testo integrale del provvedimento, sicchè pervenuta la comunicazione di una sentenza o di una ordinanza avente contenuto decisorio del “thema controversum”, non pare eccessivamente oneroso e difficile per il difensore destinatario ricollegare il provvedimento ricevuto alla causa dallo stesso patrocinata, verificando se, in relazione allo specifico rito speciale o sommario svolto, la “comunicazione” di Cancelleria sia o meno idonea a far decorrere il termine breve di impugnazione.

Al proposito vale inoltre considerare come non sia desumibile da altre disciplina normative un “obbligo” di specificare nella comunicazione di Cancelleria che la stessa è fatta ai fini della decorrenza del termine di impugnazione: Se infatti la L. n. 53 del 1994, in tema di notifiche degli atti giudiziari a mezzo posta eseguite direttamente dai difensori abilitati, prevede la indicazione anche di talune formalità di avvertimento, da ciò non può trarsi alcun argomento a sostegno della tesi secondo cui la “comunicazione” del Cancellerie, se riguardante ordinanze decisorie, deve essere corredata da specifiche indicazioni ed avvisi al riguardo, in quanto: a) la disciplina della L. n. 53 del 1994, concerne legge speciale ed è di stretta interpretazione, non potendo estendersi le sue norma anche alla disciplina codicistica della comunicazione di Cancelleria; b) deve escludersi che la omessa osservanza di dette indicazioni formali prescritte dalla L. n. 53 del 1994, renda invalida la notifica quando questa abbia comunque raggiunto il suo scopo e l’atto risulti pervenuto a conoscenza del destinatario (cfr., in termini: Corte Cass. Sez. U., Sentenza n. 23620 del 28/09/2018).

Dalle svolte considerazioni risultano manifestamente infondati i sospetti di incostituzionalità della norma processuale (art. 702 quater c.p.c.) paventati dalla ricorrente in relazione agli artt. 2, 24 e 111 Cost., mentre la uniformità raggiunta dalla giurisprudenza di legittimità sulla idoneità della “comunicazione” del provvedimento avente natura decisoria – adottato nella forma della ordinanza – a far decorrere il termine di impugnazione, ed anzi il riconoscimento pieno attribuito a tale provvedimento decisorio dello statuto tipico della “ordinanza”, sicchè la pronuncia in udienza valendo come “conoscenza legale” della stessa (art. 176 c.p.c., comma 2) è suscettibile, in mancanza di comunicazione o di notifica, a fare acquistare comunque efficacia di giudicato alla ordinanza non impugnata nel termine breve (cfr. Corte Cass. Sez. 6-3, Ordinanza n. 25119 del 14/12/2015; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 25115 del 14/12/2015; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 2594 del 09/02/2016: relativamente alla ordinanza dichiarativa di inammissibilità ex art. 348 bis c.p.c.; Corte Cass. Sez. 2, Sentenza n. 14478 del 06/06/2018: con riferimento alla ordinanza emessa ai sensi dell’art. 704 quater c.p.c.. Dalla applicazione dello statuo proprio delle ordinanze, discende che la lettura integrale del provvedimento in udienza determina la medesima conoscenza legale che la legge riserva alla comunicazione o notifica della ordinanza; con la conseguenza che, dovendo individuarsi il “dies a quo” di decorrenza del termine breve ex art. 325 c.p.c., nel momento in cui si realizza la “conoscenza legale”, possono prospettarsi le seguenti soluzioni: a) lettura integrale della ordinanza in udienza: decorrenza termine breve art. 325 c.p.c.; b) comunicazione o notificazione della ordinanza depositata fuori udienza: decorrenza termine breve art. 325 c.p.c.; c) ordinanza depositata fuori della udienza non comunicata nè notificata: decorrenza termine lungo art. 327 c.p.c.), non consente di ravvisare alcun conflitto su questione di diritto, inerente il diverso trattamento riservato alle “ordinanze-decisorie” da sottoporre all’esame delle Sezioni Unite di questa Corte.

Quanto poi alla problematica sollevata dalla ricorrente in ordine alle incertezze circa la prova della effettiva trasmissione del testo integrale della ordinanza ex art. 702 quater c.p.c., che determinerebbe la mera “comunicazione” di Cancelleria, la critica mossa alla sentenza impugnata è da ritenere inammissibile nella parte in cui la allegazione dell’asserita trasmissione telematica di un “messaggio” privo dell’allegato provvedimento in forma integrale, non risulta supportata da alcun elemento probatorio neppure indiziario idoneo ad inficiare la efficacia della attestazione contenuta nella della “ricevuta di avvenuta consegna” (RAC) generata dal gestore del servizio di posta elettronica certificata (vedi D.Lgs. n. 82 2005, artt. 45 e 48 CAD), che onera il destinatario della comunicazione elettronica della prova contraria diretta a superare la presunzione legale di trasmissione dell’intero documento in formato digitale (D.Lgs. n. 82 del 2005, art. 45, comma 2, “il documento informatico….si intende consegnato al destinatario….”: cfr. Corte Cass. Sez. 1, Sentenza n. 15035 del 21/07/2016; id. Sez. 1 -, Sentenza n. 26773 del 22/12/2016; id. Sez. 6-3, Ordinanza n. 21375 del 15/09/2017; id. Sez. 3, Sentenza n. 25819 del 31/10/2017; id. Sez. 1, Ordinanza n. 29732 del 19/11/2018).

Terzo motivo: violazione degli artt. 2,24111 Cost.; D.L. n. 74 del 2012, art. 6, conv. in L. n. 122 del 2012; L. n. 213 del 2012, art. 13 quater.

Sostiene la ricorrente di essere vittima del sisma verificatosi nell’anno 2012 che aveva colpito il comune di Quistello, sicchè trovava applicazione nei suoi confronti la sospensione dei termini disposta dal D.L. 6 giugno 2012, n. 74, art. 6, conv. in L. 1 agosto 2012, n. 122 e dal D.L. 10 ottobre 2012, n. 174, art. 13 quater, conv. in L. 7 dicembre 2012, n. 213, avendo la G. ricevuto in data 27.12.2013 la notifica del ricorso introduttivo ex art. 702 bis c.p.c., depositato in data 6.12.2013. Secondo la ricorrente, pertanto, “non vi è luogo a provvedere in ordine alla eccepita decadenza ed alla richiesta di rimessione in termini in quanto ad entrambe le parti che non hanno potuto usufruirne devono essere riassegnati in termini di cui all’art. 183 c.p.c., comma 6……. Si chiede che venga sollevata questione di incostituzionalità del D.L. 6 giugno 2012, n. 74, art. 6, conv. con L. 1 agosto 2012, n. 122 e L. n. 213 del 2012, art. 13 quater, in relazione agli artt. 2,24 111 Cost. e del principio di solidarietà nella parte in cui la normativa dell’emergenza non ha sospeso i processi ed i termini in essa previsti sino alla cessazione dell’emergenza stessa per le persone oggetto di ordinanza di evacuazione……”.

Il motivo è inammissibile, difettando la stessa comprensione della censura.

Le norme di legge indicate hanno prorogato fino al 30 giugno 2013 la sospensione dei termini dei processi pendenti alla data del 20 maggio 2012 presso gli Uffici giudiziari dei Comuni interessati dal sisma.

Il processo oggetto del presente sindacato di legittimità è iniziato a pendere con il deposito del ricorso ex art. 702 bis c.p.c., in Cancelleria, avvenuto il 6.12.2013, quindi successivamente alla cessazione del periodo di sospensione ex lege dei termini processuali. Non è dato comprendere, pertanto, in che modo le parti abbiano subito – in relazione al predetto periodo di sospensione – il pregiudizio di non potersi avvalere dei termini ex art. 183 c.p.c., comma 6, tenuto conto che il procedimento risulta essere stato svolto con rito sommario di cognizione e che dagli atti non è dato evincere alcun provvedimento del Tribunale in composizione monocratica di trasformazione del rito sommario in rito ordinario, con fissazione della udienza ex art. 183 c.p.c., come previsto dall’art. 702 ter c.p.c., comma 3.

Quanto alla affermazione che il periodo di sospensione ex lege fosse da ritenere inadeguato alle esigenze delle popolazioni terremotate, neppure in questo caso si comprende la rilevanza della ipotetica questione di legittimità costituzionale prospettata dalla ricorrente in ordine alle leggi volte a provvedere sulla emergenza del sisma, tenuto conto: a) del regolare svolgimento del procedimento sommario con la partecipazione e lo svolgimento di attività difensiva di entrambe le parti; b) della omessa indicazione degli atti difensivi che la parte avrebbe compiuto e non ha invece potuto compiere; c) della ampia discrezionalità politica riservata al Legislatore per valutare le esigenze delle popolazioni colpite dal terremoto e, nella specie, per definire in via eccezionale e di urgenza il periodo di sospensione dei termini processuali (originariamente fissato al 31.12.2012 e poi prorogato fino al 30.6.2013); d) della possibilità per la parte che si fosse trovata nella impossibilità “per causa non imputabile” di compiere atti processuali nel termine di decadenza, di instare per la rimessione in termini ex art. 153 c.p.c., comma 2, indipendentemente dalla cessazione del periodo di sospensione ex lege stabilito dalle norme emergenziali.

Quarto motivo: violazione del D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, art. 1, che ha disposto la depenalizzazione del reato di cui all’art. 594 c.p..

Sostiene la ricorrente che, essendo stata condannata in sede penale per il reato di ingiuria nei confronti del Gi., con la successiva ordinanza, emessa dal Tribunale in data 26.11.2014, il Giudice civile avrebbe “agito in sostituzione e con i poteri del giudice penale ed ha pronunciato indubbia sentenza di condanna a titolo di reato poi depenalizzato” (dal D.Lgs. 15 gennaio 2016, n. 7, recante disposizioni in materia di abrogazione di reati ed introduzione di sanzioni pecuniarie civili a norma della L. 28 aprile 2014, n. 67, art. 2, comma 3, illeciti con sanzioni civili), con la conseguenza che, trovando applicazione il principio del “favor rei”, una volta abrogato il reato il Giudice è tenuto, secondo la giurisprudenza di legittimità, anche a “revocare i capi della sentenza che concernono gli interessi civili, fermo restando il diritto della parte civile di agire ex novo nella sede naturale per il risarcimento del danno e l’eventuale irrogazione della sanzione pecuniaria civile”.

Il motivo, rimane assorbito nella pronuncia che accerta la infondatezza dei precedenti motivi di ricorso con conseguente irrevocabilità della sentenza dichiarativa di inammissibilità dell’appello, ed è comunque infondato: non deve procedersi, infatti, ad alcuna revoca di capi civili della sentenza penale – della quale, peraltro, neppure è data indicazione dalla ricorrente, in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, se e quando sia stata prodotta nei gradi di merito -, atteso che la condanna al risarcimento dei danni è stata pronunciata con ordinanza ex art. 702 quater c.p.c., dal Tribunale in esito a procedimento civile instaurato “ex novo” sull’an e sul quantum.

Esame del ricorso incidentale

Il ricorrente incidentale Gi. censura, con un unico motivo, la statuizione della sentenza di appello che ha disposto la integrale compensazione delle spese, per violazione dell’art. 92 c.p.c., comma 2 (come modificato dalla L. 28 dicembre 2005, n. 263, art. 2, comma 1, lett. a).

Il motivo è fondato.

La norma dell’art. 92 c.p.c., applicabile alla fattispecie (giudizio introdotto in primo grado dopo il 4.7.2009) è quella introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 1, che consente la compensazione solo in caso di soccombenza reciproca o “se concorrono altre gravi ed eccezionali ragioni, esplicitamente indicate nella motivazione”.

Il Giudice di appello si è limitato a disporre la compensazione delle spese di lite, fondando i giusti motivi nella valutazione dell'”esito complessivo del giudizio” e nella “peculiarità dello stesso”: indipendentemente dalla assoluta inesplicabilità di tali elementi giustificativi, tenuto conto, da un lato, che in primo grado la G. è stata ritenuto responsabile dell’illecito e condannata al risarcimento dei danni ed in secondo grado è incorsa nella inammissibilità dell’appello per decadenza dal termine breve di impugnazione, mentre, dall’altro, non è evidenziata, nè evidenziabile, la straordinarietà delle questioni trattate, vertendo la controversia in tema di risarcimento danni da condotte ingiuriose e diffamatorie, osserva il Collegio che la Corte d’appello ha fatto ricorso ad una categoria normativa (giusti motivi), non rispondente al precetto dell’art. 92 c.p.c., nel testo applicabile “ratione temporis” che richiede invece per la compensazione delle spese il ricorso di “gravi ed eccezionali ragioni” nella specie, appunto, del tutto trascurate nella pronuncia impugnata.

La sentenza di appello va, dunque, cassata in “parte qua” senza rinvio, atteso che, non occorrendo procedere ad ulteriori accertamenti in fatto, questa Corte può pronunciare nel merito, condannando la G. alla rifusione delle spese del grado di appello in favore di Gi. liquidate in Euro 2.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, Iva e CPA.

In conclusione il ricorso principale deve essere rigettato; il ricorso incidentale va accolto; la sentenza impugnata va cassata in parte qua in relazione al motivo di ricorso incidentale, con condanna della Gazerla alla rifusione delle spese del grado di appello, come sopra liquidate, nonchè alla rifusione delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

rigetta il ricorso principale; accoglie il ricorso incidentale; cassa la sentenza in relazione al motivo accolto del ricorso incidentale e condanna G.L. alla rifusione delle spese relative al grado di appello, sostenute da Gi.Fe., che liquida in Euro 2.000,00 per compensi, Euro 200,00 per esborsi oltre alle spese forfetarie nella misura del 15%, Iva e CPA.

Condanna la ricorrente al pagamento in favore del controricorrente, delle spese del giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.500,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15 per cento, agli esborsi liquidati in Euro 200,00, ed agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. n. 228 del 2012, art. 1, comma 17, la Corte dà atto che il tenore del dispositivo è tale da giustificare il versamento, se e nella misura dovuto, da parte della ricorrente principale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso principale, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, il 4 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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