Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9237 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. III, 20/05/2020, (ud. 12/09/2019, dep. 20/05/2020), n.9237

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – Consigliere –

Dott. D’ARRIGO Cosimo – Consigliere –

Dott. CRICENTI Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 14213/2018 proposto da:

VITA IMMOBILIARE SPA, in persona dell’amministratore unico

M.D., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA TACITO 23, presso lo

studio dell’avvocato CINZIA DE MICHELI, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato PAOLO VITI;

– ricorrente –

contro

BANCO BPM SPA, in persona del procuratore speciale Dott.ssa

P.L., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEGLI SCIPIONI 157,

presso lo studio dell’avvocato ENRICO DE CRESCENZO, che la

rappresenta e difende;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 1383/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 20/03/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/09/2019 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CRICENTI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

PATRONE Ignazio, che ha concluso per il rigetto;

udito l’Avvocato ENRICO DE CRESCENZO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

La società Vita Immobiliare ha stipulato due contratti di leasing immobiliare con la Banca Italease, ora Banco Popolare di Milano.

In tali contratti era convenuto, per i rispettivi casi, un tasso di interesse corrispettivo ed uno di interesse moratorio.

La società Vita Immobiliare ha convenuto davanti a Tribunale di Milano il Banco Popolare per l’accertamento della nullità della pattuizione riguardante gli interessi a cagione del superamento del tasso soglia.

Il giudice di primo grado ha del tutto escluso il detto superamento rigettando totalmente la domanda della società attrice.

La Corte di appello, pur pervenendo anche essa al rigetto della domanda, ha tuttavia dato atto della usurarietà degli interessi moratori, ma, ritenendo che non si dovessero cumulare a quelli corrispettivi, ha escluso che la relativa pattuizione viziasse l’intera convenzione sugli interessi, e soprattutto ha ritenuto che, non essendo stati effettivamente corrisposti gli interessi di mora, non si potesse fare caso della loro nullità.

Questa ratio è contestata dalla società Vita Immobiliare con due motivi, l’uno relativo alla nullità dell’intera pattuizione e l’altro riguardante la nullità dei soli corrispettivi calcolati secondo l’ammortamento di tipo francese.

V’è costituzione del Banco Popolare con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

La ratio della sentenza è duplice.

Da un lato, la decisione di appello ritiene che, pur essendo sopra il tasso soglia gli interessi di mora, il debitore non ha interesse a far valere la nullità della clausola, non potendo ottenere restituzione di quanto non ha effettivamente versato. In secondo luogo, la corte di appello respinge la tesi secondo cui la nullità della pattuizione degli interessi moratori si estende anche a quelli corrispettivi, e motiva questa conclusione traendo argomento dalla diversità di funzione dei due tipi di interesse.

1.- Con il primo motivo la società ricorrente contesta questa ultima tesi deducendo violazione dell’art. 1815 c.c., comma 2.

Secondo la ricorrente, essendo unica la pattuizione degli interessi, nonostante la duplicità dei medesimi, la nullità di quelli moratori affetta l’intero, e ciò in quanto non si può parlare di clausole distinte al punto da essere soggette ad una nullità parziale, che attenga solo ad un tipo di interesse e non all’altro.

Il motivo è infondato.

Invero è regola che anche per gli interessi moratori vale il limite del tasso soglia di cui della L. n. 108 del 1996, art. 2 (Corte Cost. 29/2002; Cass. 27442/2018; Cass. 23192/2017; Cass. n. 5598/2017), ed è anche vero che questa regola non pare messa in discussione nel giudizio di merito.

La stessa Banca Popolare ha ammesso che gli interessi convenzionali moratori superano il tasso soglia, e la corte di appello non contraddice la regola suddetta, ed infatti applica il limite di cui alla L. n. 108 del 1996, anche agli interessi di mora.

Si discute piuttosto se il superamento del limite comporti nullità della sola clausola che contempla gli interessi moratori, oppure se riguardi l’intera pattuizione degli interessi, compresi quelli corrispettivi.

Ma prima di affrontare questa questione occorre tenere conto di una ulteriore ratio, anche essa oggetto di censura, che ha indotto la corte di appello a rigettare l’impugnazione, e che è strumentale alla questione degli ambiti della nullità.

La corte di merito, infatti, ritiene che gli interessi moratori convenzionali non sono stati di fatto corrisposti, con conseguente carenza di interesse a far valere la questione della loro illegalità.

Ma è un assunto infondato.

In realtà, è noto che il momento determinante, per la valutazione del superamento della soglia consentita, è proprio la pattuizione, a prescindere dalla effettiva corresponsione degli interessi; questi ultimi devono ritenersi in misura illegittima se sono pattuiti in quella misura, a prescindere dalla circostanza che il creditore li abbia effettivamente riscossi (art. 644 c.p.). Del resto le Sezioni Unite di questa Corte hanno chiarito che l’usura si determina al momento della pattuizione e che, ove questa sia nei limiti, ed il tasso diventi superiore (e dunque usuraio) per effetto di circostanze sopravvenute (c.d usura sopravvenuta), non può ritenersi la nullità (Cass. 24675/2017), segno che quest’ultima si valuta al momento della convenzione, senza riguardo alla effettiva riscossione.

Ciò posto, la nullità della convenzione riguardante gli interessi di mora non si estende anche al patto che riguarda gli interessi corrispettivi.

Si può anche convenire sul fatto che tra i due tipi di interesse (moratori e corrispettivi) non vi sia una diversità netta di funzione, risarcitoria per gli uni e remuneratoria per gli altri, e che anche gli interessi convenzionali moratori hanno una loro funzione di remunerazione, in quanto dovuti per il godimento prolungato (ossia oltre il termine di scadenza per la restituzione) del denaro da parte dell’accipiens.

Tuttavia, questa analogia di funzione, pur messa in luce di recente da questa Corte (Cass. 27442/ 2018), non comporta necessariamente che la nullità degli uni si estenda, per ciò stesso, agli altri.

In sostanza, l’analogia di funzione non è necessariamente un argomento per dedurne l’analogia di regime; e viceversa, la tesi opposta secondo cui i due tipi di interesse avrebbero funzioni nettamente diverse tra loro, non può portare di per sè alla conclusione che abbiano un regime a sua volta nettamente diverso. Non sempre il parallelismo di funzioni è altresì parallelismo di conseguenze sul piano delle sanzioni. Che i due interessi abbiano funzioni diverse (e non è scontato) non importa affatto che anche la sanzione sia diversa quando essi violano la medesima regola (ossia la soglia di usura).

Anzi, è piuttosto predicabile il contrario: la diversità di sanzione è parallela alla diversità di violazione, non il contrario; se due diversi patti sugli interessi (moratori e convenzionali) contraddicono un medesimo divieto, ossia entrambi violano il divieto di superare un determinato tasso, è da ritenere che debba essere unica la sanzione, anzichè che no.

Piuttosto conta un diverso criterio.

I due interessi infatti non coesistono nell’attuazione del rapporto, ma si succedono, o meglio, gli uni si sostituiscono agli atri, e le rispettive poste mantengono una ideale autonomia, anche in caso di inadempimento e di operatività dei moratori. Fino a che l’accipiens è in termini per restituire la somma, ne gode entro la scadenza, egli è tenuto a corrispondere gli interessi corrispettivi, che sono per l’appunto richiesti per il godimento del denaro; una volta che il termine per la restituzione sia scaduto è invece tenuto a corrispondere quelli moratori, convenuti invece per il godimento prolungato oltre la scadenza. Come è agevole intuire, questi ultimi non si sommano, ma succedono ai corrispettivi. Il che comporta altresì che pur potendo avere la medesima funzione in comune (quella di remunerare chi ha prestato il denaro) i due tipi di interesse mantengono autonomo rilievo quanto allo scopo concreto della corrispettività. Nel caso degli interessi corrispettivi questo scopo ha causa nel godimento del denaro da parte dell’accipiens e nella privazione momentanea di chi lo ha prestato; nel caso dei moratori lo scopo è di ripagare il mutuante della prolungata indisponibilità del denaro e delle perdite che eventualmente essa comporta per non avere avuto la restituzione nei tempi convenuti. Questa funzione di corrispettività che risulta analoga in entrambi i casi (differendo le ragioni della corrispettività) è svolta dai due tipi di interesse non contemporaneamente, ma in sostituzione gli uni agli altri: i moratori sono dovuti solo dopo la scadenza del termine di restituzione, mentre quelli corrispettivi prima di tale scadenza.

Nè può obiettarsi che, un volta scaduta la rata, la base di calcolo su cui applicare il tasso sarà la rata inadempiuta, tanto nella quota idealmente riferita al capitale quanto in quella determinata nella misura del saggio degli interessi corrispettivi, con il risultato che, per una parte, gli interessi (di mora) si produrranno su interessi (corrispettivi) scaduti.

L’obiezione non convince proprio in quanto l’inadempimento non cancella la funzione di corrispettivo che è assolto da un parte della somma oggetto della rata non pagata.

In sostanza, è lo stesso istituito dell’anatocismo che impone di considerare come (idealmente) autonomi gli interessi, moratori da un lato, corrispettivi, dall’altro, anche in caso di inadempimento.

Questa configurazione impedisce di considerare come cumulabili i due tipi di interessi ai fini del calcolo del loro ammontare (ossia del superamento della soglia) ma impedisce altresì di dire che se sono nulli i moratori, per superamento della soglia, la nullità si estende anche ai corrispettivi. I due interessi non si cumulano, come sovente si ripete, proprio perchè operano l’uno l’uno in sostituzione dell’altro. Cosi che la nullità dei soli interessi moratori segue alla circostanza che solo questi ultimi violano il divieto, come è pacifico nel caso concreto.

Se si accerta che la pattuizione sugli interessi corrispettivi è valida, ossia non viola il divieto, la sua nullità non può “derivare” da quella che affligge altra e diversa pattuizione, a prescindere dalla stessa ammissibilità, nel diritto sostanziale, di un nullità che possa dirsi derivata.

2.- Con il secondo motivo la ricorrente fa valere una violazione della Delib. CIRC 9 febbraio 2000, art. 6.

In sostanza il ragionamento è il seguente. Il tasso annuale pattuito in contratto era del 3,0472% per un contratto e del 3,069% per l’altro, ma di fatto è stato corrisposto un tasso rispettivamente del 3,520% e del 3,581%. Ossia è stato di fatto corrisposto un tasso superiore (sia pure di poco) a quello indicato in contratto.

Ciò comporta violazione di legge, secondo al ricorrente, sotto due aspetti. In primo luogo in quanto questo sistema di ammortamento (pagamento degli interessi con cadenza infrannuale) comporterebbe anatocismo.

Questo argomento però è inammissibile (o comunque infondato) nella misura in cui presuppone un accertamento di fatto che non può essere demandato alla Corte di cassazione e che avrebbe dovuto farsi nel giudizio di merito. Ed è la stessa ricorrente (p. 9) che si duole della mancata ammissione di CTU sul punto.

In secondo luogo, si assume violazione della Delib. Circ 9 febbraio 2000, nella misura in cui è stata disattesa, nei fatti,attraverso il meccanismo della riscossione infrannuale, la previsione contrattuale che indicava un tasso diverso da quello effettivo (sia pure di pochissimo).

Anche qui vale l’obiezione precedente: una simile censura presuppone una dimostrazione in fatto che il tasso effettivamente praticato è superiore a quello pattuito, accertamento che non appare effettuato nei giudizi di merito pur se l’aspetto sembra essere non contestato.

E comunque, risulta dalla sentenza impugnata (p. 6) che, con accertamento effettuato nei giudizi di merito, e qui ovviamente non sindacabile, si è appurato che, in concreto, il sistema di ammortamento effettivamente applicato nella fattispecie non ha dato luogo ad anatocismo, in quanto gli interessi venivano calcolati sul residuo e non sull’intero.

Il ricorso va respinto.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Condanna la ricorrente al pagamento della somma di 5600,00 Euro, oltre 200,00 Euro di spese generali, dando atto della sussistenza dei presupposti per il versamento del doppio del contributo unificato.

Così deciso in Roma, il 12 settembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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