Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9236 del 24/04/2014


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9236 Anno 2014
Presidente: IACOBELLIS MARCELLO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 16221-2012 proposto da:
2000 PUBBLICITA’ SRL in persona del legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA UMBRIA 7, presso
lo studio dell’avvocato ROSAUER GIULIO, rappresentata e difesa
dall’avvocato FORTE MARIO, giusta procura speciale a margine del
ricorso;
– ricorrente contro
ELPIS SRL;
– intimata avverso la sentenza n. 115/39/2011 della Commissione Tributaria
Regionale di NAPOLI del 4.5.2011; depositata 1’11/05/2011;

2 8 09.

Data pubblicazione: 24/04/2014

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
20/03/2014 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

CARACCIOLO.

Ric. 2012 n. 16221 sez. MT – ud. 20-03-2014
-2-

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in
cancelleria la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,
letti gli atti depositati

La CTR di Napoli ha accolto l’appello della ELPIS srl-concessionaria del servizio di
accertamento e riscossione del canone installazione mezzi pubblicitari del comune di
Napoli contro la sentenza n.166/32/2009 della CTP di Napoli che aveva accolto il
ricorso del predetto contribuente ad impugnazione di quattro avvisi di accertamento
adottati dalla medesima Elpis srl (con contestuale formulazione di ingiunzione di
pagamento per la complessiva somma di € 85.569,35) a titolo di canone comunale per
la pubblicità relativo all’anno 2002 correlato a diversi impianti pubblicitari.
La predetta CTR ha motivato la decisione nel senso che: a) la concessionaria non era
tenuta a notificare l’appello anche nei confronti dell’Amministrazione comunale (che
era stata evocata in giudizio nel primo grado del processo), essendone rappresentante
a pieno titolo; b) doveva considerarsi tardiva la riproposizione in appello dei motivi
non accolti in primo grado; (che avrebbero dovuto essere riproposti a mezzo di
appello incidentale); c) l’annullamento da parte del TAR della delibera del Consiglio
Comunale contenente la trasformazione in euro del canone precedentemente espresso
in lire comportava l’applicazione della normativa precedentemente in vigore e non
l’azzeramento di quanto dovuto, sicchè l’importo richiesto (non contestato nel suo
ammontare) doveva essere considerato “corrispondente alla normativa
precedentemente applicabile”.
La società contribuente ha interposto ricorso per cassazione affidato a undici motivi.
La società concessionaria non si è difesa.
Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore- può essere
definito ai sensi dell’art.375 cpc.

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Osserva:

Infatti, con il primo ed il secondo motivo di impugnazione (l’uno improntato alla
violazione dell’art.53 del D.Lgs. 546 del 1992, l’altro improntato alla violazione della
medesima norma nonché dell’art.75 cpc) la parte ricorrente si duole -in sostanzadell’omessa adozione da parte del giudicante, in controversia caratterizzata da
litisconsorzio necessario tra Concessionaria per la riscossione e l’Amministrazione

che essa medesima contribuente l’aveva evocata in giudizio.
Entrambi i motivi di impugnazione (da esaminare congiuntamente per la loro stretta
connessione) appaiono infondati.
Ed invero è indirizzo interpretativo costante della Suprema Corte quello secondo
cui:”In tema di contenzioso tributario, la disposizione di cui all’art. 53, comma
secondo, del d.lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, secondo cui l’appello dev’essere
proposto nei confronti di tutte le parti che hanno partecipato al giudizio di primo
grado, non fa venir meno la distinzione tra cause inscindibili e cause scindibili:
pertanto, ove la controversia abbia ad oggetto l’esistenza dell’obbligazione tributaria,
la mancata proposizione dell’appello anche nei confronti del concessionario del
servizio di riscossione, convenuto in primo grado unitamente all’Amministrazione
finanziaria, non comporta l’obbligo di disporre la notificazione del ricorso in suo
favore, quando sia ormai decorso il termine per l’impugnazione, essendo egli estraneo
al rapporto sostanziale dedotto in giudizio, con la conseguente scindibilità della causa
nei suoi confronti, anche nel caso in cui non sia stato eccepito o rilevato il suo difetto
di legittimazione” (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 10580 del 09/05/2007).
D’altronde, con specifico riferimento alla posizione peculiare che è assunta dalla
concessionaria (cui compete anche il potere di accertamento) della tassa sulla
pubblicità, la giurisprudenza del Supremo Collegio ha avuto anche modo di precisare
in numerose occasioni che:”In tema di imposta comunale sulla pubblicità, qualora il
Comune affidi il servizio di accertamento e di riscossione ad uno dei soggetti iscritti
nell’apposito albo nazionale, il concessionario, subentrando in tutti i diritti e gli
obblighi inerenti alla relativa gestione, e quindi anche nelle contestazioni riguardanti

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comunale, siccome quest’ultima era stata parte del primo grado del processo, atteso

gli accertamenti da esso operati, è legittimato a resistere in giudizio, ai sensi degli
artt. 25, 32 e 52 del d.lgs. n. 507 del 1993 ed in deroga all’art. 10 del d.lgs. n. 546 del
1992, non solo se l’impugnazione concerne vizi propri della cartella o del
procedimento esecutivo, ma anche quando i motivi di ricorso attengono alla debenza
del tributo. Tale legittimazione, per i ricorsi proposti in data anteriore al 31 dicembre

dell’art. 53, ultimo comma, del d.lgs. n. 446 del 1997, in quanto l’art. 64 di tale d.lgs.
prevede la proroga dei contratti di gestione fino alla predetta data, a meno che i
Comuni non si avvalgano della facoltà di escludere l’applicazione dell’imposta sulla
pubblicità (Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23382 del 04/11/2009; cfr anche Cass. Sez. 5,
Sentenza n. 18250 del 28/11/2003, per la nitida affermazione dell’inesistenza di un
litisconsorzio necessario in fattispecie del tutto identica a quella qui in esame).
Con l’undicesimo motivo di impugnazione (improntato all’insufficiente e
contraddittoria motivazione e da esaminare preliminarmente rispetto a quelli che
precedono, per ragioni di priorità logica) la parte ricorrente —premesse le ragioni per
le quali la CTP aveva ritenuto di annullare gli avvisi impugnati- lamenta che la CTR
ha “contradditoriamente ed insufficientemente motivato la sentenza di accoglimento
dell’appello su un elemento controverso e decisivo per il giudizio”.
Un siffatto modo di argomentare si risolve, in realtà, in una affermazione apodittica
conchiusa nel contrapporre alle argomentazioni della sentenza impugnata quelle
diverse prescelte dalla sentenza di primo grado, senza però evidenziare con
riferimento a quale specifico fatto controverso e decisivo l’esame del giudice di
appello si sia palesato incoerente o insufficiente.
Non resta che concludere che il motivo è inammissibilmente formulato, nell’ottica
dello specifico archetipo di vizio prescelto.
Venendo infine ai motivi dal terzo al settimo (centrati, rispettivamente, sulla
violazione degli art.23 e 25 del D.Lgs.546/1992; sulla violazione degli art.23 e 54
stesso D.Lgs.; sulla insufficiente e contraddittoria motivazione della sentenza; sulla
violazione dell’art.56 del D.Lgs.546/1992; ed infine omissione di pronuncia in ordine

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2000, non è esclusa neppure dall’intervenuta abrogazione dell’art. 25 cit. ad opera

alle domande di cui appresso si dirà), con essi la parte ricorrente si duole del fatto che
il giudice del merito ha ritenuto tardivamente riproposte (rispetto al termine di legge
per la proposizione dell’appello incidentale) le questioni sulle quali il giudice di
primo grado non si era pronunciato, avendole ritenute assorbite dall’accertamento di
nullità degli avvisi per effetto dell’avvenuto annullamento da parte del TAR della

I motivi in questione (da esaminarsi congiuntamente per la loro stretta connessione)
appaiono fondati e da accogliersi.
Ed invero, è principio generale ribadito numerose volte nella giurisprudenza del S.C.
quello secondo cui:” L’art. 56 del D.Lgs. n. 546 del 1992, occupandosi delle
deduzioni dell’appellato e dell’appellante incidentale, non pone deroghe al canone
generale in base al quale anche l’impugnazione in generale postula una situazione di
soccombenza, di modo che tale impugnazione incidentale non deve (e non può)
essere avanzata dalla parte integralmente vittoriosa, quando intenda riproporre
questioni assorbite dal giudice “a quo”, all’uopo richiedendosi solo la chiara
manifestazione della volontà di reinserire le questioni medesime nel dibattito
processuale riaperto dall’impugnazione dell’avversario” (per tutte, Cass. Sez. 5,
Sentenza n. 14196 del 27/10/2000).
Del tutto erroneamente, perciò, il giudice di appello ha dichiarato che la parte
appellata era decaduta dal potere di riproporre in appello i motivi “non accolti” (recte:
assorbiti), nel mentre invece detta parte altro onere non doveva avere se non quello di
riproporre detti motivi nella comparsa di costituzione in appello, del tutto
tempestivamente depositata (per quanto risulta).
Si tratta delle ragioni di censura che la parte qui ricorrente ha riproposto con i motivi
di censura dal n.9 al n.10 e che, siccome assorbiti in questa sede, verranno riproposti
avanti al giudice del rinvio, a cui la causa andrà rimessa ai fini di un nuovo esame di
quanto è stato prospettato in appello e non è stato delibato.
Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per
inammissibilità e manifesta fondatezza.

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delibera comunale con la quale erano state rimodulate le tariffe.

Roma, 15 settembre 2013.

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata comunicata al pubblico ministero e notificata agli avvocati
delle parti;

che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione limitatamente alla proposta dei
reiezione, nel mentre non condivide gli argomenti poti a fondamento della proposta di
parziale accoglimento: ed invero, il giudicante di secondo grado (con apprezzamento
di fatto che non è stato oggetto di specifico motivo di impugnazione da parte della
ricorrente) ha ritenuto che fosse “tardiva” la costituzione in appello della odierna
ricorrente ed ha perciò considerato inammissibile la riproposizione in appello da parte
della contribuente dei motivi non accolti in primo grado. Ciò consente di
prescidendere dalle considerazioni formulate nella relazione a proposito della
possibilità di mera riproposizione —da parte del non soccombente- delle questioni
rimaste assorbite, atteso che le questioni medesime devono comunque essere
tempestivamente riproposte con l’atto di costituzione in appello (in termini si veda
Cass. sez.5 sentenza n.17950 del 19.10.2012), e consente di ritenere infondati i
motivi di impugnazione proposti dalla parte ricorrente sub n.3 e 4 a proposito della
sanzione di inammissibilità della tardiva riproposizione in appello delle predette
questioni (con conseguente assorbimento dei motivi 5, 6, 7, 8 e 9 che sono tutti
logicamente conseguenti a quelli dianzi esaminati e disattesi);
che pertanto il ricorso va ritenuto integralmente infondato e da rigettarsi;
che le spese di lite non abbisognano di regolazione perché la parte vittoriosa non si
è costituita.

P.Q.M.
La Corte rigetta il ricorso. Nulla sulle spese.
Così deciso in Roma il 20 marzo 2014

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che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;

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