Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9236 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2011, (ud. 01/03/2011, dep. 21/04/2011), n.9236

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli ll.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MIANI CANEVARI Fabrizio – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. FILABOZZI Antonio – rel. Consigliere –

Dott. TRIA Lucia – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE MAZZINI 134, presso

lo studio dell’avvocato DE MARINIS NICOLA, che la rappresenta e

difende giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

B.N., B.B.T., M.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 308/2006 della CORTE D’APPELLO di REGGIO

CALABRIA, depositata il 21/04/2006 R.G.N. 998/2002;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/03/2011 dal Consigliere Dott. ANTONIO FILABOZZI;

udito l’Avvocato BUTTAFOCO ANNA per delega DE MARINIS NICOLA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21.4.2006 la Corte di Appello di Reggio Calabria ha confermato la sentenza emessa dal Tribunale di Reggio Calabria, con la quale e’ stata dichiarata l’illegittimita’ del trasferimento da Reggio Calabria a Gioia Tauro di B.N., dipendente della societa’ Poste Italiane collocato nella graduatoria del personale in esubero appartenente alla 4^, 5^ e 6^ categoria, ritenendo che nell’ambito della suddetta graduatoria non potesse darsi la prevalenza, come aveva invece sostenuto la societa’ Poste, a scelte dipendenti dalla professionalita’ acquisita dai dipendenti, rispetto al criterio fondato sulla posizione occupata dagli stessi dipendenti nella suddetta graduatoria.

Avverso tale sentenza ricorre per cassazione la societa’ Poste Italiane affidandosi ad un unico motivo di ricorso. Gli intimati non hanno svolto attivita’ difensiva. La societa’ ha depositato memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1.- Con l’unico motivo di ricorso si denuncia violazione e falsa applicazione degli artt. 1362, 1363, 1365, 1366, 1175, 1375 c.c., nonche’ omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione in ordine ad un fatto decisivo della controversia “costituito dalle previsioni collettive”, formulando il seguente quesito di diritto: “In virtu’ del principio di correttezza e buona fede nella conclusione ed esecuzione del contratto e nella interpretazione dello stesso, le disposizioni di cui agli accordi collettivi stipulati tra il datore di lavoro e le organizzazioni sindacali dei lavoratori, che disciplinano e limitano i poteri datoriali, nella specie quello di trasferire dipendenti in costanza di ragioni tecnico organizzative, devono essere interpretate in modo da escludere che la loro attuazione comporti la violazione di diritti soggettivi dei singoli lavoratori?”. La ricorrente denuncia, in sostanza, l’errata interpretazione, da parte del giudice d’appello, dell’accordo collettivo in base al quale sarebbero stati fissati i criteri di selezione del personale destinatario di una procedura di mobilita’ collettiva e di formazione di una graduatoria tra i dipendenti interessati alla stessa procedura.

2.- Il ricorso deve ritenersi inammissibile per mancanza dei requisiti prescritti dall’art. 366 bis c.p.c., applicabile ratione temporis alla fattispecie in esame.

3.- Ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., applicabile ai ricorsi per cassazione proposti avverso le sentenze e gli altri provvedimenti pubblicati a decorrere dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. n. 40 del 2006, e quindi anche al ricorso in esame, nei casi previsti dall’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 1), 2), 3) e 4), l’illustrazione di ciascun motivo si deve concludere, a pena d’inammissibilita’, con la formulazione di un quesito di diritto, che deve essere idoneo a far comprendere alla S.C., dalla lettura del solo quesito, inteso come sintesi logico – giuridica della questione, l’errore di diritto asseritamente compiuto dal giudice di merito e quale sia, secondo la prospettazione del ricorrente, la regola da applicare (Cass. 8463/2009). Per la realizzazione di tale finalita’, il quesito deve contenere la riassuntiva esposizione degli elementi di fatto sottoposti al giudice di merito, la sintetica indicazione della regola di diritto applicata dal giudice a quo e la diversa regola di diritto che, ad avviso del ricorrente, si sarebbe dovuto applicare alla fattispecie. Nel suo contenuto, inoltre, il quesito deve essere caratterizzato da un sufficienza dell’esposizione riassuntiva degli elementi di fatto ad apprezzare la sua necessaria specificita’ e pertinenza e da una enunciazione in termini idonei a consentire che la risposta ad esso comporti univocamente l’accoglimento o il rigetto del motivo al quale attiene (Cass. 5779/2010, Cass. 5208/2010). Anche nel caso in cui venga dedotto un vizio di motivazione (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5), l’illustrazione del motivo deve contenere, a pena d’inammissibilita’, la “chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la rende inidonea a giustificare la decisione”. Cio’ comporta, in particolare, che la relativa censura deve contenere un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’. Al riguardo, inoltre, non e’ sufficiente che tale fatto sia esposto nel corpo del motivo o che possa comprendersi dalla lettura di questo, atteso che e’ indispensabile che sia indicato in una parte del motivo stesso, che si presenti a cio’ specificamente e riassuntivamente dedicata (cfr.

ex plurimis, Cass. 8555/2010, Cass. sez. unite 4908/2010, Cass. 16528/2008, Cass. 8897/2008, Cass. 16002/2007).

4.- Questa Corte ha piu’ volte ribadito che, nel vigore dell’art. 366 bis c.p.c., non puo’ ritenersi sufficiente – perche’ possa dirsi osservato il precetto di tale disposizione – la circostanza che il quesito di diritto possa implicitamente desumersi dall’esposizione del motivo di ricorso, ne’ che esso possa consistere o ricavarsi dalla formulazione del principio di diritto che il ricorrente ritiene corretto applicarsi alla specie. Una siffatta interpretazione della norma positiva si risolverebbe, infatti, nella abrogazione tacita dell’art. 366 bis, secondo cui e’ invece necessario che una parte specifica del ricorso sia destinata ad individuare in modo specifico e senza incertezze interpretative la questione di diritto che la S.C. e’ chiamata a risolvere nell’esplicazione della funzione nomofilattica che la modifica di cui al D.Lgs. n. 40 del 2006 ha inteso valorizzare (Cass. 5208/2010, Cass. 20409/2008). E’ stato altresi’ precisato che il quesito deve essere formulato in modo tale da consentire l’individuazione del principio di diritto censurato posto dal giudice a quo alla base del provvedimento impugnato e, correlativamente, del principio, diverso da quello, la cui auspicata applicazione da parte della S.C. possa condurre a una decisione di segno inverso; ove tale articolazione logico-giuridica mancasse, infatti, il quesito si risolverebbe in una astratta petizione di principio, inidonea sia a evidenziare il nesso tra la fattispecie e il principio di diritto che si chiede venga affermato, sia ad agevolare la successiva enunciazione di tale principio a opera della S.C. in funzione nomofilattica. Il quesito, pertanto, non puo’ consistere in una mera richiesta di accoglimento del motivo o nell’interpello alla S.C. in ordine alla fondatezza della censura, ma deve costituire la chiave di lettura delle ragioni esposte e porre la S.C. in condizione di rispondere a esso con la enunciazione di una regola iuris che sia, in quanto tale, suscettibile di ricevere applicazione in casi ulteriori rispetto a quello sottoposto all’esame del giudice che ha pronunciato la sentenza impugnata (Cass. sez. unite 27368/2009).

5.- Nella specie, il quesito formulato da parte ricorrente, e sopra riportato, non risulta in alcun modo adeguato a recepire l’iter argomentativo che supporta le singole censure per l’assoluta inidoneita’ del quesito a evidenziare il nesso tra la fattispecie concreta e il principio di diritto di cui si chiede l’enunciazione e per la totale carenza di qualsiasi elemento idoneo a consentire al giudice di legittimita’ l’immediata individuazione della questione sulla quale e’ chiamato in concreto a pronunciarsi e a esercitare la propria funzione nomofilattica; e tutto cio’ a prescindere dalla pur di per se’ assorbente considerazione che ne’ gli accordi collettivi ne’ la circolare cui si fa riferimento nel ricorso per cassazione, e che sono stati oggetto di esame da parte del giudice d’appello, risultano essere stati ritualmente allegati al ricorso per cassazione a norma dell’art. 369 c.p.c., comma 2, n. 4 (sull’onere di produzione del testo integrale dei contratti collettivi sui quali il ricorso si fonda, cfr. ex multis Cass. sez. unite 20075/2010, Cass. 4373/2010, Cass. 219/2010, Cass. 27876/2009, Cass. 16619/2009, Cass. 15495/2009, Cass. 2855/2009, Cass. 21080/2008, Cass. 6432/2008, cui adde Cass. 21366/2010 e Cass. 21358/2010).

6.- Anche le dedotte carenze motivazionali, del resto, non appaiono sufficientemente individuate e precisate con i singoli motivi di impugnazione nel senso che si e’ sopra indicato, ovvero mediante la necessaria indicazione del fatto controverso in una parte del motivo che costituisca un momento di sintesi del complesso degli argomenti critici sviluppati nell’illustrazione dello stesso motivo e delle ragioni per le quali tali carenze dovrebbero rendere la motivazione inidonea a giustificare la decisione; dovendo rimarcarsi, peraltro, che, come questa Corte ha costantemente ribadito, il controllo sulla motivazione non puo’ risolversi in una duplicazione del giudizio di merito e che alla cassazione della sentenza impugnata puo’ giungersi non per un semplice dissenso dalle conclusioni del giudice di merito – poiche’ in questo caso il motivo di ricorso si risolverebbe in un’inammissibile istanza di revisione delle valutazioni e del convincimento dello stesso giudice di merito, che tenderebbe all’ottenimento di una nuova pronuncia sul fatto, sicuramente estranea alla natura e alle finalita’ del giudizio di cassazione – ma solo in caso di motivazione contraddittoria o talmente lacunosa da non consentire l’identificazione del procedimento logico-giuridico posto alla base della decisione (cfr. ex plurimis Cass. 10657/2010, Cass. 9908/2010, Cass. 27162/2009, Cass. 13157/2009, Cass. 6694/2009, Cass. 18885/2008, Cass. 6064/2008).

7.- Il ricorso deve quindi essere dichiarato inammissibile.

8.- Stante la carenza di attivita’ difensiva da parte degli intimati, non vi e’ luogo a provvedere in ordine alle spese del giudizio di cassazione.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara inammissibile il ricorso; nulla sulle spese.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 1 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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