Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9235 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. lav., 21/04/2011, (ud. 12/01/2011, dep. 21/04/2011), n.9235

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. NOBILE Vittorio – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. BERRINO Umberto – rel. Consigliere –

Dott. TRICOMI Irene – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE EUROPA 175, presso

lo studio dell’avvocato URSINO ANNA MARIA ROSARIA,(DIREZIONE AFFARI

LEGALI DI ROMA DI POSTE ITALIANE), che la rappresenta e difende,

giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

M.M.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA L.

BISSOLATI 76, presso lo studio dell’avvocato DEGLI ESPOSTI ANDREINA,

che la rappresenta e difende unitamente all’avvocato VENOSTA

FRANCESCO, giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza della CORTE D’APPELLO di MILANO, N. 201/06,

depositata il 11/03/2006 r.g.n. 450/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2011 dal Consigliere Dott. UMBERTO BERRINO;

udito l’Avvocato MASTROSANTI ROBERTO per delega DEGLI ESPOSTI

ANDREINA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CESQUI Elisabetta, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 2/2/06, depositata l’11/3/06, la Corte d’Appello di Milano rigetto’ l’appello proposto dalle Poste Italiane s.p.a avverso la sentenza n. 33/04 del Tribunale di Sondrio, con la quale era stato dichiarato illegittimo il licenziamento intimato senza preavviso l’1/10/01 a M.M.G., alla quale era stato contestato di aver autorizzato, nella sua qualita’ di direttrice dell’ufficio postale di Sondrio – succursale n. (OMISSIS), la sottoposta P.O. ad accettare il versamento di un assegno circolare emesso dalla Banca di Credito Valtellinese e a contabilizzarlo come versamento effettuato in denaro contante sul conto corrente postale n. (OMISSIS) intestato a D.M.U.S., senza aver provveduto ad eseguire i previsti controlli al fine di evitare il danno alla societa’, e, per l’effetto, confermo’ la sentenza appellata e compenso’ tra le parti le spese del grado. La Corte milanese addivenne a tale decisione dopo aver rilevato che il comportamento dell’appellante, mai sottoposta in trenta anni di servizio a sanzioni disciplinari, pur censurabile, non era idoneo a far venir meno irrimediabilmente l’elemento fiduciario, dal momento che la situazione artificiosamente creata dal comportamento truffaldino del D.M., in cui la lavoratrice si era trovata ad agire, si era rivelata del tutto eccezionale ed imprevedibile, per cui appariva sproporzionata la sanzione irrogatale.

Per la cassazione della sentenza propongono ricorso le Poste Italiane s.p.a, affidando l’impugnazione ad un unico articolato motivo di censura suddiviso in quattro ragioni di doglianza. Resiste la M. con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Nel proporre il presente ricorso la societa’ Poste Italiane s.p.a lamenta il vizio di omessa, insufficiente e contraddittoria motivazione circa un fatto decisivo per il giudizio (art. 360 c.p.c., n. 5) ed articola il contenuto del motivo attraverso quattro distinte ragioni di doglianza che possono cosi’ riassumersi:

1) I giudici d’appello nulla avevano detto sul fatto che, in realta’, la fattispecie disciplinare era costituita non da uno ma da tredici episodi contestati nell’arco di poche settimane, trascurando, in tal modo, sia il dato oggettivo della reiterazione delle mancanze, sia quello soggettivo del comportamento tenuto dalla M. verso la sottoposta P.O., atteso che una volta messa a conoscenza da quest’ultima dell’anomalia delle richieste del cliente D.M., rivelatosi in seguito autore di episodi truffaldini in danno della societa’ postale, avrebbe dovuto insospettirsi ed allertarla, anziche’ limitarsi a tranquillizzarla.

2) Gli stessi giudici nulla avevano detto sulla posizione di rilievo occupata dalla lavoratrice nell’ambito della struttura organizzativa della societa’, salvo a riconoscere che la medesima aveva da molti anni la responsabilita’ diretta di uffici postali, la qual cosa non poteva non avere i suoi riflessi sulla proporzionalita’ della sanzione rispetto alla gravita’ dei fatti addebitati.

c) La Corte territoriale nulla aveva detto a proposito delle conseguenze patrimoniali rilevanti riconducibili al comportamento della lavoratrice, circostanza, questa, indubbiamente influente sulla valutazione della condotta censurata. d) Infine, la stessa Corte d’appello nulla aveva detto sul mancato accoglimento della domanda riconvenzionale diretta alla derubricazione del licenziamento per giusta causa in licenziamento per giustificato motivo soggettivo.

Osserva la Corte che il ricorso e’ inammissibile per una duplice ragione. Anzitutto, l’ultima doglianza, incentrata sulla lamentata omessa pronunzia sulla domanda riconvenzionale, inerisce ad una censura che integra una violazione dell’art. 112 c.p.c. e, quindi, una violazione della corrispondenza tra il chiesto ed il pronunciato, che deve essere fatta valere esclusivamente a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 4. (nullita’ della sentenza e del procedimento) e non, come nella fattispecie, come vizio motivazionale a norma dell’art. 360 c.p.c., n. 5, attenendo quest’ultimo esclusivamente all’accertamento e valutazione di fatti rilevanti ai fini della decisione della controversia (ex plurimis Cass. 9.4.1990, n. 2940;

Cass. 27.3.1993, n. 3665).

Infatti, il vizio di omessa pronunzia, quale vizio che si assume incidere sulla sentenza pronunziata dal giudice del gravame, e’ passibile di denunzia esclusivamente con ricorso per cassazione ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 4 (Cass. S.U. 14.1.1992, n. 369; Cass. 25.9.1996, n. 8468).

Da ultimo (Cass. Sez. 3, n. 1196 del 19/01/2007) e’ stato ribadito che “la pronuncia d’ufficio da parte del giudice del merito su una domanda o un’eccezione che puo’ essere fatta valere esclusivamente dalla parte interessata integra violazione dell’art. 112 cod. proc. civ., che deve essere fatta valere esclusivamente ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4). Conseguentemente, e’ inammissibile il motivo di ricorso con il quale siffatta censura sia proposta sotto il profilo della violazione di norme di diritto (riconducibile al citato art. 360 c.p.c., n. 3) ovvero come vizio della motivazione, incasellarle nello stesso art. 360 c.p.c., n. 5”.

Invece, per quel che concerne le prime tre censure, pur essendo le stesse rappresentative di una lamentata omessa valutazione di fatti (pluralita’ degli addebiti, posizione gerarchica della dipendente e conseguenze patrimoniali riconducibili al suo operato) che potevano incidere sulla valutazione della gravita’ del comportamento tenuto dalla lavoratrice ai fini della proporzionalita’ della sanzione inflittale, si rileva che manca un momento di sintesi omologo al quesito di diritto di cui all’art. 366-bis c.p.c. (applicabile “ratione temporis”, trattandosi di sentenza pubblicata l’11/3/06) atto a circoscrivere puntualmente i limiti del motivo dedotto, in maniera tale da non ingenerare incertezze in sede di valutazione di ammissibilita’ dello stesso.

Come insegnano, infatti, le Sezioni Unite di questa Corte (Cass. sez. un. n. 20603 dell’1/10/2007), “in tema di formulazione dei motivi del ricorso per cassazione avverso i provvedimenti pubblicati dopo l’entrata in vigore del D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40 ed impugnati per omessa, insufficiente o contraddittoria motivazione, poiche’ secondo l’art. 366 bis cod. proc. civ., introdotto dalla riforma, nel caso previsto dall’art. 360 c.p.c., n. 5, l’illustrazione di ciascun motivo deve contenere, a pena di inammissibilita’, la chiara indicazione del fatto controverso in relazione al quale la motivazione si assume omessa o contraddittoria, ovvero le ragioni per le quali la dedotta insufficienza della motivazione la renda inidonea a giustificare la decisione, la relativa censura deve contenere, un momento di sintesi (omologo del quesito di diritto) che ne circoscriva puntualmente i limiti, in maniera da non ingenerare incertezze in sede di formulazione del ricorso e di valutazione della sua ammissibilita’. (Nella specie, la S.C. ha ritenuto che il motivo non era stato correttamente formulato, in quanto la contraddittorieta’ imputata alla motivazione riguardava punti diversi della decisione, non sempre collegabili tra di loro e comunque non collegati dal ricorrente)”.

Invero, nella fattispecie il suddetto momento di sintesi era assolutamente indispensabile, posto che la prima delle summenzionate censure fa riferimento, ai fini della dedotta gravita’ del comportamento ascritto alla M., a ben tredici episodi contestati, dei quali i giudici d’appello avrebbero considerato solo uno, senza che sia spiegato specificatamente in cosa consistettero tali episodi, non potendosi ritenere a tal riguardo sufficiente il generico richiamo ad una molteplicita’ delle operazioni errate, tanto piu’ che la stessa ricorrente ribadisce per ben due volte che nella presente sede vengono posti in evidenza solo gli ulteriori elementi che la Corte territoriale omise di valutare.

Pertanto, in mancanza di una puntuale specificazione degli altri dodici episodi che, secondo la ricorrente, il giudice d’appello avrebbe omesso di valutare e che avrebbero inciso sulla gravita’ del comportamento ascritto all’incolpata ai fini della permanenza del vincolo fiduciario e della conseguente proporzionalita’ della sanzione inflittale, non e’ dato sapere se realmente gli stessi potessero aver avuto una loro effettiva relazione causale con l’entita’ dell’addebito formalmente contestatole ai fini del licenziamento oggetto del presente giudizio.

Il ricorso va, pertanto, dichiarato inammissibile.

Le spese del presente giudizio seguono la soccombenza della ricorrente e vanno poste a suo carico nella misura liquidata in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE dichiara il ricorso inammissibile e condanna la ricorrente alle spese del presente giudizio nella misura di Euro 2000,00 per onorario, oltre Euro 23,00 per esborsi, nonche’ spese generali, IVA e CPA ai sensi di legge.

Cosi’ deciso in Roma, il 12 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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