Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9231 del 19/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 19/04/2010, (ud. 19/01/2010, dep. 19/04/2010), n.9231

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE lavoro

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – President – –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consiglie – –

Dott. AMOROSO Giovanni – Consiglie – –

Dott. DI CERBO Vincenzo – rel. Consiglie – –

Dott. MORCAVALLO Ulpiano – Consiglie – –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 22958-2006 proposto da:

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA N. 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati TRIOLO VINCENZO,

FABIANI GIUSEPPE, giusta mandato in calce al ricorso;

– ricorrente –

Contro

C.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G.

ANTONELLI 47, presso lo studio dell’avvocato D’AGOSTINO NICOLA,

rappresentata e difesa dall’avvocato RUBERTO MICHELE, giusta delega

in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 2436/2005 della CORTE D’APPELLO di BARI,

depositata il 06/10/2005 R.G.N. 5540/04;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

19/01/2010 dal Consigliere Dott. VINCENZO DI CERBO;

udito l’Avvocato TRIOLO VINCENZO;

udito l’Avvocato RUBERTO MICHELE;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA MARCELLO che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

La Corte d’appello di Bari confermava la sentenza di prime cure che aveva condannato l’INPS, quale gestore del Fondo di garanzia, al pagamento, in favore di C.A., della somma di Euro 7.384,30 a titolo di trattamento di fine rapporto (TFR), oltre agli accessori di legge. Osservava che in sede di verificazione dello stato passivo, relativo al fallimento della s.r.l. Bari Uno, pendente presso il Tribunale di Roma, era risultato che il credito vantato dalla C. nei confronti della ex datrice di lavoro a titolo di TFR ammontava appunto a Euro 7384,30. L’ammissione allo stato passivo di tale credito non era stata oggetto di opposizione o di impugnazione. Non vi erano pertanto dubbi sulla certezza del credito e sull’ammontare dello stesso. Riteneva irrilevante per la sussistenza del diritto della C. nei confronti dell’INPS la circostanza dell’omessa compilazione di alcuni moduli da parte della curatrice fallimentare.

Per la cassazione di tale sentenza propone ricorso l’INPS affidato ad un unico motivo. C.A. resiste con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo l’Istituto ricorrente denunzia violazione della l.

n. 297 del 1982, art. 2, comma 7, del D.P.R. n. 600 del 1973, art. 23, della L. n. 482 del 1985, art. 3, del D.P.R. n. 597 del 1973, art. 14, come modificato dalla L. n. 482 del 1985, art. 2 e dell’art. 2697 cod. civ. oltre a vizio di motivazione.

Deduce l’erroneita’ della sentenza impugnata nella parte in cui, pur avendo dato atto dell’omessa compilazione e sottoscrizione, da parte del curatore fallimentare del datore di lavoro insolvente, del modello TFR 3 bis, che la C. avrebbe poi dovuto consegnare al Fondo di garanzia per consentire a quest’ultimo la liquidazione del trattamento di fine rapporto, ha ritenuto fondata la pretesa della lavoratrice per essere stati provati sia l’an che il quantum debeatur (in virtu’ dell’incontestata ammissione del credito della lavoratrice nello stato passivo della procedura concorsuale) nonostante le suddette deficienze formali. Con tale decisione la Corte territoriale ha negato la rilevanza del potere di autorganizzazione e regolamentazione dell’INPS, riconosciuto da disposizioni legislative e dai principi generali che regolano l’azione della Pubblica Amministrazione (in particolare, con riferimento al TFR, dall’art. 26, lett. b), della L. n. 88 del 1989.

Sottolinea, in particolare, che la legge pone a carico dell’INPS, quale sostituto d’imposta, l’obbligo di liquidare e trattenere l’imposta sul TFR in base ad una serie complessa di elementi che sono deducibili unicamente dal modello TFR 3 bis per cui e’ evidente che, nel caso di mancata consegna di tale modello all’INPS da parte della lavoratrice, sia pure a causa della condotta colposamente omissiva del curatore fallimentare, e’ stato oggettivamente impossibile per l’Istituto la trattazione della pratica e, quindi, l’accoglimento della richiesta di liquidazione del TFR. Il ricorso e’ infondato.

Il Fondo di garanzia, istituito presso l’INPS, si sostituisce al datore di lavoro in caso di insolvenza del medesimo nel pagamento del TFR di cui all’art. 2120 cod. civ. spettante al dipendente; questo, al fine di ottenere la prestazione da parte del Fondo, deve presentare apposita domanda amministrativa, la quale, a sua volta, presuppone – per l’ipotesi che rileva in questa sede – l’avvenuta verifica dell’esistenza e della misura del credito in sede di ammissione al passivo fallimentare.

La disciplina dell’istituto, prevista dalla L. 29 maggio 1982, n. 297, art. 2, commi da 1 a 7, e’ stata costantemente interpretata da questa Corte di legittimita’ (cfr, da ultimo, Cass. 24 aprile 2008 n. 10713, in motivazione), nel senso che il diritto del lavoratore alla prestazione da parte del Fondo – diritto che non nasce direttamente dal rapporto di lavoro, ma dal distinto rapporto assicurativo – sussiste ove concorrano (sempre con riferimento alla fattispecie in esame) i seguenti presupposti: a) l’insolvenza del datore di lavoro;

b) l’accertamento del credito nell’ambito della procedura concorsuale, secondo le regole specifiche di quest’ultima. Ha aggiunto la sentenza sopra citata che le previsioni di cui alla L. n. 297 del 1982, citato art. 2 da un lato escludono che il Fondo debba intervenire prima della dichiarazione di insolvenza e di ammissione al passivo del credito fatto valere; dall’altro non dettano alcuna disposizione affinche’ l’INPS venga informato degli elementi necessari per l’accertamento del diritto e della misura della prestazione, essendo sufficiente a sorreggere la pretesa di pagamento del lavoratore nei confronti del Fondo di garanzia la dimostrazione che il credito sia stato immesso al passivo. Tale conclusione, che deve essere in questa sede pienamente ribadita, appare in primo luogo coerente con i principi comunitari che hanno imposto agli Stati membri l’introduzione di istituti idonei a garantire al lavoratore l’adempimento di determinati crediti retributivi; in secondo luogo con la disciplina nazionale la cui ratio e’, coerentemente con i principi comunitari, quella di garantire al lavoratore, in particolare, il trattamento di fine rapporto che sia rimasto insoddisfatto per l’insolvenza del datore di lavoro.

La decisione impugnata si e’ sostanzialmente conformata ai suddetti principi avendo osservato che dal verbale di verificazione dello stato passivo relativo al fallimento della s.r.l. Bari Uno, era risultata la sussistenza del credito vantato dalla C., derivante dal precorso rapporto di lavoro subordinato con la societa’ fallita, la natura dello stesso (TFR) ed il relativo ammontare. La Corte di merito ha sottolineato inoltre che non vi era stata opposizione ne’ impugnazione dei crediti come inseriti nello stato passivo.

Tale conclusione resiste agevolmente alla contestazione dell’INPS basata sulla circostanza, da ritenersi pacifica fra le parti, dell’omessa compilazione e sottoscrizione, da parte del curatore del fallimento de quo, del modello TFR 3 bis che, secondo le norme regolamentari dell’INPS, doveva essere consegnato dalla lavoratrice interessata al Fondo di garanzia al fine di consentire la liquidazione, in suo favore, del TFR. Il potere di organizzazione e regolamentazione riconosciuto all’INPS da disposizioni di legge ordinaria deve essere esercitato a pena di illegittimita’, anche con riferimento alla determinazione della documentazione da allegare alla domanda del lavoratore, nell’ambito dei confini imposti dalle disposizioni legislative che disciplinano la materia e secondo un criterio di ragionevolezza, in modo tale, cioe’, da non vanificare l’esercizio dei diritti riconosciuti al lavoratore.

Nel caso di specie l’omessa produzione della documentazione citata dall’INPS (il modello TFR 3 bis) e’ pacificamente derivata da una circostanza (omessa compilazione del modello da parte del curatore fallimentare) che non era nella disponibilita’ della lavoratrice.

Essa non puo’ pertanto incidere sul diritto della stessa alla prestazione atteso che essa ha fornito, come correttamente rilevato dalla Corte territoriale, la prova della ricorrenza di tutti i presupposti previsti dalla legge per la sussistenza del diritto alla corresponsione del TFR da parte del Fondo di garanzia. La diversa interpretazione proposta dall’Istituto ricorrente sarebbe sicuramente contra legem in quanto fa derivare dall’omessa produzione del documento il venir meno del diritto del lavoratore alla prestazione pur in presenza della prova della ricorrenza dei requisiti previsti dalla legge per la sussistenza del diritto stesso.

Deve per completezza osservarsi che non e’ in contrasto con le suddette conclusioni la (peraltro risalente) giurisprudenza invocata dall’Istituto previdenziale (Cass. 12 luglio 1999 n. 7355) secondo cui, in caso di insolvenza del datore di lavoro, al fine di ottenere dall’INPS il pagamento del trattamento di fine rapporto posto a carico dell’apposito Fondo di garanzia, il lavoratore e’ tenuto a corredare la relativa istanza con la documentazione necessaria, che, sulla base del criterio dell’onere della prova nonche’ dell’esercizio dei poteri di autoregolamentazione da parte della pubblica amministrazione, sia richiesta dall’ente previdenziale, cui non incombe l’obbligo di provvedere d’ufficio all’acquisizione dei dati necessari per la liquidazione del dovuto.

Tale giurisprudenza fa infatti riferimento ad una fattispecie diversa da quella in esame, nella quale non erano stati forniti elementi di valutazione essenziali per la determinazione dell’ammontare dovuto dal Fondo ai singoli dipendenti dell’azienda fallita.

Per analoghe ragioni deve considerarsi priva di pregio l’ulteriore argomento proposto dall’INPS basato sulla circostanza che l’Istituto, in quanto sostituto di imposta, in sede di corresponsione del TFR deve liquidare l’imposta che grava su tale somma. Si e’ osservato, infatti, che la lavoratrice ha provato tutti gli elementi necessari ai fini della corresponsione del TFR e tale diritto, riconosciuto dalla legge, non puo’ subire limitazioni in relazione all’esigenza dell’INPS di acquisire ulteriori elementi di valutazione ai fini dell’adempimento dei suoi obblighi quale sostituto di imposta.

Il ricorso deve essere in definitiva rigettato.

In applicazione del principio della soccombenza l’INPS deve essere condannato al pagamento delle spese processuali liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; condanna l’INPS al pagamento delle spese processuali liquidate in Euro 14,00, oltre Euro 2500 per onorari e oltre spese generali, IVA e CPA. Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 19 gennaio 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2010

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