Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9229 del 20/05/2020

Cassazione civile sez. II, 20/05/2020, (ud. 15/01/2020, dep. 20/05/2020), n.9229

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANNA Felice – Presidente –

Dott. PICARONI Elisa – Consigliere –

Dott. CASADONTE Annamaria – Consigliere –

Dott. DONGIACOMO Giuseppe – Consigliere –

Dott. OLIVA Stefano – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 19956/2019 proposto da:

A.A., rappresentato e difeso dall’avvocato ALESSANDRO BRANDONI

e domiciliato presso la cancelleria della Corte di Cassazione;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO;

– intimato –

avverso la sentenza n. 2951/2018 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 12/12/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

15/01/2020 dal Consigliere Dott. STEFANO OLIVA.

Fatto

FATTI DI CAUSA

A.A., cittadino (OMISSIS) originario della città di (OMISSIS), impugnava il provvedimento della Commissione territoriale per il riconoscimento della protezione internazionale di Ancona con il quale era stata rigettata la sua richiesta volta ad ottenere, in via principale, lo status di rifugiato, in subordine la protezione sussidiaria ed in ulteriore subordine il rilascio di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. A sostegno dell’istanza il ricorrente deduceva di essere fuggito dal Pakistan per aver deciso di sposarsi contro il volere della famiglia della moglie; secondo la tradizione pashtun, si era tenuta una jirga (riunione dei capi tribù o capi famiglia) a seguito della quale il ricorrente era stato ferito; aveva denunciato l’aggressione alla polizia, che però aveva deciso di non procedere; aveva poi ricevuto altre minacce di morte e si era trasferito con la moglie a (OMISSIS), ove era stato nuovamente raggiunto dai familiari della moglie, ferito e ricoverato in ospedale; dopo la dimissione, aveva deciso di fuggire, prima in Libia e poi in Italia.

Si costituiva il Ministero resistendo al ricorso ed invocandone il rigetto.

Con ordinanza del 16.1.2018 il Tribunale di Ancona rigettava il ricorso ritenendo insussistenti i requisiti previsti per il riconoscimento di una delle forme di tutela invocate.

Interponeva appello l’ A. e si costituiva in seconde cure il Ministero per resistere al gravame.

Con la sentenza oggi impugnata, n. 2951/2018, la Corte di Appello di Ancona rigettava l’impugnazione.

Propone ricorso per la cassazione della decisione di rigetto A.A. affidandosi ad un solo motivo.

Il Ministero dell’Interno, intimato, non ha svolto attività difensiva nel presente giudizio di legittimità.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo il ricorrente lamenta la violazione del D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 e del D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3, 4 e 5, perchè la Corte di Appello non avrebbe attivato i poteri istruttori ufficiosi per verificare la situazione esistente in Pakistan.

La censura è fondata.

La Corte di Appello ha infatti escluso la ricorrenza dei presupposti per il riconoscimento di una qualsiasi forma di protezione internazionale alla luce del fatto che la storia narrata dall’ A., oltre ad essere generica, era relativa a “… vicende di vita privata che non hanno alcuna attinenza con i requisiti richiesti dalla normativa per la concessione della protezione internazionale. Nè d’altronde l’atto di impugnazione aggiunge alcun ulteriore elemento di valutazione sulla storia del ricorrente limitandosi a richiamare la situazione di insicurezza in Pakistan. Ma il generico riferimento alla situazione esistente in Pakistan non è sufficiente di certo a fondare l’accoglimento della domanda, non potendo l’esistenza delle condizioni per il riconoscimento della invocata protezione desumersi da riferimenti indeterminati a situazioni generali relative al luogo di provenienza, non accompagnati da elementi di maggior dettaglio e da riscontri individualizzati in modo da consentire un ragionevole loro collegamento con un effettivo contesto di vita di chi siffatta protezione invoca. Le medesime argomentazioni sono idonee a legittimare, oltre che il mancato riconoscimento dello status di rifugiato, anche quello della protezione sussidiaria” (cfr. pag. 4 della sentenza impugnata). Del pari, la Corte territoriale ha escluso la sussistenza dei requisiti per la concessione dei permesso di soggiorno per motivi umanitari, in quanto “… non risultano riscontrabili nel caso in esame specifiche situazioni soggettive legate ad una condizione di particolare vulnerabilità del ricorrente nè sono ravvisabili lesioni dei diritti umani di particolare entità” (cfr. pag. 6 della sentenza di secondo grado).

Con tali affermazioni la Corte territoriale è incorsa in un duplice errore: da un lato, ha omesso di considerare che la storia riferita dall’ A. era – in astratto – idonea ad integrare gli estremi previsti per il riconoscimento della protezione sussidiaria o umanitaria e non ha attivato il dovere di cooperazione istruttoria di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e art. 35-bis, comma 9; dall’altro lato, ha confuso tra le varie forme di protezione sussidiaria previste dal D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, non distinguendo quelle di cui alle lettere a) e b) di tale norma – che presuppongono la sussistenza di condizioni individuali di esposizione al rischio di condanna a morte, di esecuzione della pena di morte, di tortura o altra pena o trattamento inumano o degradante – rispetto a quella prevista dalla lett. c), che invece presuppone soltanto l’esistenza di una “minaccia grave e individuale alla vita o alla persona di un civile derivante dalla violenza indiscriminata in situazioni di conflitto armato interno o internazionale”.

Sotto il primo profilo, il giudice di appello avrebbe dovuto considerare che il ricorrente aveva allegato di esser stato esposto a violenza e a pericolo per la sua incolumità in conseguenza della scelta di sposare una donna: poichè la scelta di contrarre matrimonio con una determinata persona costituisce una delle principali modalità di realizzazione della personalità umana, la Corte anconetana avrebbe dovuto approfondire la vicenda, attivando il proprio potere-dovere di cooperazione istruttoria e svolgendo accertamenti ufficiosi (in primo luogo mediante ulteriore audizione del richiedente), al fine di verificare l’effettiva sussistenza, in concreto, di una condizione di pericolo per l’incolumità personale, o comunque di vulnerabilità, del ricorrente in conseguenza del suo rientro nel Paese di origine. In tale apprezzamento il giudice di merito avrebbe dovuto valorizzare il contesto locale in cui il richiedente la protezione aveva collocato la vicenda, apprezzandone la concreta idoneità a comprimere i diritti fondamentali dell’individuo.

Sotto il secondo profilo, invece, la Corte marchigiana avrebbe comunque dovuto verificare la sussistenza, in Pakistan, di una condizione di violenza generalizzata idonea ad integrare gli estremi di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), accedendo alle cd. fonti qualificate di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3 e dando conto, nella motivazione della sentenza, sia delle fonti consultate che delle specifiche informazioni da esse tratte, in modo da consentire alle parti la verifica della pertinenza e della specificità dell’informazione predetta rispetto alla situazione concreta del Paese di provenienza del richiedente la protezione (sul punto, Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13897 del 22/05/2019, Rv. 654174; Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 13449 del 17/05/2019, Rv.653887; conformi, Cass. Sez. 1, ordinanze n. 13450, n. 13451 e n. 13452, tutte del 17/05/2019 e Cass. Sez. 1, Ordinanza n. 11312 del 26.4.2019, non massimate). Nel caso di specie, la decisione impugnata non soddisfa i suindicati requisiti, posto che essa non indica le fonti in concreto utilizzare dal giudice di merito nè il contenuto delle notizie sulla condizione del Paese tratte da dette fonti, non consentendo in tal modo alla parte la duplice verifica della provenienza e della pertinenza dell’informazione.

Da quanto precede deriva l’accoglimento del ricorso, la cassazione della decisione impugnata ed il rinvio della causa alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione, anche per le spese del presente giudizio di legittimità.

P.Q.M.

la Corte accoglie il ricorso, cassa la sentenza impugnata e rinvia la causa, anche per le spese del presente giudizio di legittimità, alla Corte di Appello di Ancona, in diversa composizione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 15 gennaio 2020.

Depositato in Cancelleria il 20 maggio 2020

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