Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9228 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2011, (ud. 10/03/2011, dep. 21/04/2011), n.9228

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PARMEGGIANI Carlo – Presidente –

Dott. CAPPABIANCA Aurelio – rel. Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso proposto da:

ASSOCIAZIONE PRODUTTORI ORTOFRUTTICOLI PARTENOPEA, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma,

via C. Monteversi n. 16, presso lo studio dell’avv. Petrone Giovanni,

rappresentata e difesa dall’avv. Barletta Alberto;

– ricorrente –

contro

AMMINISTRAZIONE DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE, in persona del

ministro pro tempore, e AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del

direttore pro tempore, elettivamente domiciliate in Roma, via dei

Portoghesi n. 12, presso l’Avvocatura Generale dello Stato, che le

rappresenta e difende;

– resistenti –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale della Campania, sez, 42^, n. 168 del 27 ottobre 2005;

Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10.3.2011 dal consigliere relatore dott. Aurelio Cappabianca;

udito, per l’associazione ricorrente, l’avv. Lucio Rossi;

udito, per le resistenti, l’avv. dello Stato Barbara Tidore;

udito il P.M., in persona del sostituto procuratore generale dott.

SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

L’associazione contribuente (A.P.O.PA.) propose ricorso avverso l’avviso di accertamento irpeg ed ilor, emesso dall’Ufficio, per l’anno 1994.

Per quanto ancora rileva, l’avviso si basava sulle risultanze di p.v.c. della G.d.F., elevato nei confronti dell’impresa individuale S.P., alla quale era stato contestato l’indebita utilizzazione in deduzione di costi risultanti da fatture per operazioni di cessione di prodotti ortofrutticoli, in realta’ mai eseguite, ma apparentemente eseguite da cooperative agricole, conferenti in A.P.O.PA., e da questa fatturate. L’Amministrazione reputava che il vantaggio fiscale conseguito dalla ditta individuale S.P., con l’indebita contabilizzazione dei costi fittizi, venisse ripartito in ragione del 50% con A.P.O.PA. A fondamento del ricorso, l’associazione contribuente deduceva l’assenza di ogni prova in merito alle contestate fittizie fatturazioni.

L’adita commissione tributaria respinse il ricorso, con decisione confermata, per la parte che ancora interessa, dalla commissione regionale.

Avverso la sentenza di appello, l’associazione contribuente ha proposto ricorso per cassazione in unico motivo.

L’Agenzia si e’ costituita senza nulla controdedurre.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con l’unico motivo di ricorso – deducendo “violazione, errata interpretazione del D.P.R. n. 600 del 1973, artt. 39 e 40, D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 6 e 95 (testo previgente) artt. 2697 e 2729 c.c., omessa, insufficiente motivazione della sentenza circa un fatto controverso e decisivo per il giudizio, in relazione all’art. 360 c.p.c., nn. 3 e 5” – l’associazione contribuente censura la decisione impugnata per aver confermato l’atto impositivo (per il profilo qui considerato), sul presupposto del reale conseguimento, quale reddito di impresa, di un maggior reddito in realta’ solo ipotetico, mancando ogni prova in merito alla circostanza decisiva costituita, non gia’ dal carattere fittizio delle fatture emesse ed utilizzate in deduzione dall’apparente cessionario, ma dalla percezione dell’importo accertato (L. 121.741.000), corrispondente alla “giusta meta’” del vantaggio fiscale (presuntivamente) conseguito dal cessionario, e da questi ripartito con il cedente.

Ancor prima che infondata, la censura si rivela inammissibile.

Essa introduce, invero, tema d’indagine implicante accertamento in fatto (idoneita’ della prova del conseguimento da parte di A.P.O.PA., emittente delle fatture, della meta’ del vantaggio fiscale conseguito dal cessionario con l’indebita contabilizzazione di fatture fittizie), ignorata dalla sentenza impugnata e che, alla luce di questa, appare non dedotta ne’ esaminata in sede di merito.

Cio’ posto, deve considerarsi che, nel ricorso per cassazione, l’associazione ricorrente (solo genericamente riferendo di aver prospettato la questione nel ricorso introduttivo) non fornisce specifiche indicazioni in merito alle modalita’ ed ai termini della deduzione della questione in primo grado e nulla riferisce sul se e come la questione sia stata riproposta in appello.

Ne consegue che deve ritenersi non assolto dall’associazione ricorrente l’onere di fornire alla Corte tutti gli elementi necessari a valutare ammissibilita’ e fondatezza della proposta doglianza gia’ sulla base delle risultanze del ricorso e di quelle della sentenza, con inevitabili negative ricadute sul piano della autosufficienza dell’impugnativa ex art. 366 c.p.c. (v. Cass. 12992/10, 20518/08, 25540/06, 13550/04, 10330/03).

A prescindere dall’esposta assorbente considerazione, deve, peraltro, osservarsi, che – a parte la previsione del D.P.R. 633 del 1972, art. 21, comma 7, (che, in materia di iva, esplicitamente prevede l’assoggettamento ad imposta degli importi indicati in fatture che si emettano per operazioni inesistenti) – la fatturazione fittizia ingenera comunque anche per l’emittente, almeno nella prospettiva di cui al D.P.R. n. 600 del 1973, art. 39, comma 1, lett. d, una presunzione di corrispondente indebito vantaggio economico che e’ onere del contribuente superare (cfr. Cass. 21953/07, 1727/07), sicche’, nemmeno prospettando l’assolvimento di tale onere, il motivo di ricorso dell’associazione contribuente si rivela, comunque, infondato.

Alla stregua delle considerazioni che precedono, s’impone il ricorso va respinto.

Per la soccombenza, l’associazione contribuente va condannata al pagamento delle spese di causa, liquidate come in dispositivo.

P.Q.M.

LA CORTE respinge il ricorso; condanna la contribuente al pagamento delle spese di causa, liquidate in complessive Euro 3.500,00, oltre spese prenotate a debito.

Cosi’ deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 10 marzo 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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