Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9222 del 16/04/2013


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9222 Anno 2013
Presidente: LA TERZA MAURA
Relatore: TRICOMI IRENE

ORDINANZA
sul ricorso 16639-2011 proposto da:
INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA
SOCIALE 80078750587 in persona del Presidente e legale
rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA
DELLA FREZZA 17, presso l’AVVOCATURA CENTRALE
DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati CORETTI
ANTONIETTA, DE ROSE EMANUELE, STUMPO VINCENZO,
TRIOLO VINCENZO, giusta procura in calce al ricorso;
– ricorrente contro
GALANO ADDOLORATA;
– intimata avverso la sentenza n. 4496/2010 della CORTE D’APPELLO di
BARI del 20.9.2010, depositata il 04/10/2010;

Data pubblicazione: 16/04/2013

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del
14/03/2013 dal Consigliere Relatore Dott. IRENE TRICOMI;
udito per il ricorrente l’Avvocato Antonietta Coretti che si riporta agli
scritti.
E’ presente il Procuratore Generale in persona del Dott. ENNIO

ATTILIO SEPE che si riporta alla relazione scritta.

Ric. 2011 n. 16639 sez. ML – ud. 14-03-2013
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Ric. 2011 n. 16639 sez. ML – ud. 14-03-2013
-3-

FATTO E DIRITTO
È stata depositata relazione ai sensi dell’ art. 380 bis c.p.c., avente il
seguente contenuto:
Il consigliere relatore osserva quanto segue.
1. Galano Addolorata, operaia agricola a tempo determinato, si
rivolse al giudice del lavoro di Bari per ottenere il ricalcolo
dell’indennità di disoccupazione agricola corrisposta in relazione alle
giornate di lavoro effettuate nell’anno 2000, ai sensi dell’art. 4 del
d.lgs. 16.4.97 n. 146, in relazione alla retribuzione fissata dalla
contrattazione integrativa collettiva della provincia, anziché in base
al salario medio convenzionale rilevato nell’anno 1995 e non più
incrementato.
appello
Rigettata la domanda e proposto
2.
dall’assicurata, la Corte d’appello di Bari (sentenza n. 4496 del
2010), ritenuto che non dovesse trovare applicazione la decadenza
annuale, essendo sottoposta la pretesa soltanto al limite dell’ordinaria
prescrizione decennale, accoglieva l’impugnazione, con la condanna
dell’INPS a riliquidare l’indennità di disoccupazione corrisposta
all’appellante per l’anno di riferimento, ponendo a base del calcolo il
salario fissato pro tempore dalla contrattazione collettiva provinciale,
compresa la c.d. quota di trattamento di fine rapporto, oltre accessori.
Propone ricorso per cassazione l’INPS, prospettando
3.
tre motivi di ricorso. L’intimata non ha svolto difese.
Con il primo motivo l’INPS prospetta la violazione e
4.
falsa applicazione dell’art. 47, comma 3, del dPR 30 aprile 1970, n.
639 e succ. mod. (art, 360, n. 3, cpc). Deduce il ricorrente che, pur
nella consapevolezza dei principi affermati da Cass. n. 12720/2009,
prendeva atto della rimessione alle Sezioni Unite della questione
dell’applicabilità della decadenza di cui alla normativa richiamata.
Assumeva, quindi, che a proprio avviso doveva farsi applicazione
della decadenza annuale prevista per la proposizione dell’azione
giudiziale.
Il motivo appare manifestamente infondato (cfr. Cass.,
5.
n. 7245 del 2012).
Va premesso che l’originario testo dell’art. 47 del D.P.R.
6.
30 aprile 1970 n. 639 stabiliva quanto segue: “Esauriti i ricorsi in via
amministrativa, può essere proposta l’azione dinanzi all ‘autorità
giudiziaria, ai sensi degli artt. 459 e ss. cod. proc. civ. L’azione
giudiziaria può essere proposta entro il termine di dieci anni dalla data
di comunicazione della decisione definitiva del ricorso pronunziata dai
competenti organi dell ‘istituto o dalla data di scadenza del termine
stabilito per la pronunzia della decisione medesima, se trattasi di
controversie in materia di trattamenti pensionistici. L’azione giudiziaria
può essere proposta entro il termine di cinque anni dalle date di cui al
precedente comma se trattasi di controversie in materia di prestazioni a
carico dell ‘assicurazione contro la tubercolosi e dell ‘assicurazione
contro la disoccupazione involontaria “.
Come è noto, i termini stabiliti dall’articolo di legge citato
7.

Ríc. 2011 n. 16639 sez. ML – ud. 14-03-2013
-4-

erano stati ritenuti dalle Sezioni Unite di questa Corte (Cass. S.U. 21
giugno 1990 n. 6245) di decadenza, di tipo peraltro procedimentale, vale
a dire finalizzata unicamente a delimitare l’efficacia temporale della
condizione di procedibilità della domanda giudiziaria, rappresentata
dall’attivazione e dall’esaurimento del procedimento amministrativo.
8.
Col successivo art. 6 del D.L. 29 marzo 1991 n. 103,
convertito con modificazioni nella legge 1 ° giugno 1991 n. 166, ritenuto
da Corte Cost., con la sent. n. 246 del 1992, di interpretazione autentica
dell’art. 47 D.P.R. n.639/70, venne poi stabilito: “1 – I termini previsti
dall ‘art. 47, commi secondo e terzo del D.P.R. 30 aprile 1970 n. 639 sono
posti a pena di decadenza per l ‘esercizio del diritto alla prestazione
previdenziale . la decadenza determina l’estinzione del diritto ai ratei
pregressi delle prestazioni previdenziali e l’inammissibilità della relativa
domanda giudiziale. In caso di mancata proposizione del ricorso amministrativo, i termini decorrono dall ‘insorgenza del diritto ai singoli ratei. 2
– Le disposizioni di cui al comma precedente hanno efficacia retroattiva,
ma non si applicano ai processi che sono in corso alla data di entrata in
vigore del presente decreto “.
9.
Con l’art. 4 del D.L. 19 settembre 1992 n. 384, i commi
secondo e terzo del citato art. 47 sono stati successivamente sostituiti dai
seguenti: “Per le controversie in materia di trattamenti pensionistici,
l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di decadenza, entro il
termine di tre anni dalla data di comunicazione della decisione del
ricorso pronunziata dai competenti organi dell’istituto o dalla data di
scadenza del termine stabilito per la pronunzia della predetta decisione
ovvero dalla data di scadenza dei termini prescritti per l’esaurimento del
procedimento amministrativo, computati a decorrere dalla data di
presentazione della richiesta di prestazione. Per le controversie in
materia di prestazioni della gestione di cui all ‘art. 24 della legge 9
marzo 1989 n. 88, l’azione giudiziaria può essere proposta, a pena di
decadenza, entro il termine di un anno dalle date di cui al precedente
comma”.
L’ultimo comma dell’art. 4 ha poi stabilito che le
10.
disposizioni indicate “non si applicano ai procedimenti istaurati
anteriormente alla data di entrata i n vigore del presente decreto ancora
in corso alla medesima data “.
Infine, recentemente, l’art. 38, primo comma, lett. d), del
11.
D.L. 6 luglio 2011 n. 98, convertito in legge n. 111 del medesimo anno,
ha aggiunto al citato art. 47 un ultimo comma, del seguente tenore: “Le
decadenze previste dai commi che precedono si applicano anche alle
azioni giudiziarie aventi ad oggetto l’adempimento di prestazioni
riconosciute solo in parte o il pagamento di accessori del credito. In tal
caso il termine di decadenza decorre dal riconoscimento parziale della
prestazione ovvero dal pagamento della sorte”, precisando al quarto
comma che “Le disposizioni di cui al comma 1, lett. c) e d) si applicano
anche ai giudizi pendenti in primo grado alla data di entrata in vi-gore
del presente decreto “.
Questo essendo il quadro di riferimento normativo, la
12.
giurisprudenza consolidata, pur tra frequenti contrasti, di questa Corte (da

ultimo, sulla base di Cass. S.U. 29 maggio 2009 n. 12720 – che ribadisce
le tesi della precedente Cass. S.U. 18 luglio 1996 n. 6491-, cfr., ad es.,
Cass. 20 gennaio 2010 n. 948 e 26 gennaio 2010 n. 1580) era, per quanto
qui interessa e fino alla citata recente novella del 2011, nel senso della
inapplicabilità della decadenza alle domande di adeguamento di
prestazioni previdenziali già riconosciute e liquidate solo parzialmente
dall’ente previdenziale.
13.
Infatti le sezioni unite di questa Corte, con la sentenza n.
12720 del 29 maggio 2009, componendo un contrasto di giurisprudenza
insorto nell’ambito della sezione lavoro, avevano affermato che “La
decadenza di cui al D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, art. 47 – come
interpretato dal D.L. 29 marzo 1991, n. 103, art. 6, convertito, con
modificazioni, nella L. 1 giugno 1991, n. 166 – non può trovare
applicazione in tutti quei casi in cui la domanda giudiziale sia rivolta ad
ottenere non già il riconoscimento del diritto alla prestazione previdenziale in sé considerata, ma solo l’adeguamento di detta prestazione
già riconosciuta in un importo inferiore a quello dovuto, come avviene
nei casi in cui l’Istituto previdenziale sia incorso in errori di calcolo o in
errate interpretazioni della normativa legale o ne abbia disconosciuto
una componente, nei quali casi la pretesa non soggiace ad altro limite
che non sia quello della ordinaria prescrizione decennale”.
Recentemente, peraltro, la questione era stata nuovamente rimessa da un
collegio della sezione lavoro, con ordinanza interlocutoria depositata il 18
gennaio 2011, n. 1071, alle sezioni unite di questa Corte, sulla base del
rilievo che l’interpretazione prevalente non apparirebbe giustificata dal
tenore lettera-le e dalla considerazione delle finalità della norma, la quale
riguarderebbe viceversa ogni tipo di azione in materia di prestazioni
previdenziali. Intervenuta, tra l’ordinanza interlocutoria di rimessione alle
sezioni uni-te della Corte e la data dell’udienza avanti a queste ultime, la
citata novella di cui all’art. 38, primo comma, lett. d) del recente D.L. 6
luglio 2011 n. 98, convertito in legge n. 1111’11, è stata quindi disposta la
restituzione degli atti alla sezione lavoro, sulla base della considerazione
della necessità di valutare la persistenza del proposito di investire della
questione le sezioni unite, alla luce della valutazione della eventuale
incidenza delle norme di legge citate sulla interpretazione del l’art. 47,
vigente prima di essa.
Ciò premesso, non può non rilevarsi che la nuova
14.
disciplina, esprimendo il proposito del legislatore di modificare in
materia, con una limitata efficacia retroattiva, la regola preesistente, quale
consolidatasi per effetto delle recente pronuncia delle sezioni unite del
2009, conferma indirettamente la corrispondenza di quest’ultima
all’originario contenuto dell’art. 47, nel testo vigente fino alla novella del
2011.
L’autorità del precedente arresto interpretativo delle
15.
sezioni unite della Corte e l’indiretta conferma della sua correttezza
proveniente dallo stesso legislatore convincono in definitiva il collegio
della inapplicabilità dell’art. 47 del D.P.R. 30 aprile 1970, n. 639, prima
delle integrazioni apportate dell’art. 38 del D.L. n. 98 del 2011, al caso di
richiesta di riliquidazione di prestazioni previdenziali solo parzialmente
Ric. 2011 n. 16639 sez. ML – ud. 14-03-2013
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Ric. 2011 n. 16639 sez. ML – ud. 14-03-2013
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riconosciute e liquidate dall’ente previdenziale.
16.
Con il secondo motivo l’Istituto assume la violazione
e falsa applicazione dell’art. 18, comma 18 del d.l. n. 98 del 2011
conv. dalla legge n. 111 del 2011 (art. 360, n. 3, cpc). Ed infatti alla
luce della suddetta disposizione non poteva considerarsi il tfr come
componente della retribuzione.
17.
Con il terzo motivo di impugnazione, l’INPS deduce
violazione e falsa applicazione degli artt. 44, 49, e 53 del CCNL
operai agricoli e florovivaisti del 10.7.98, in relazione all’art. 6, c. 4,
lett. a) del d.lgs. 2.9.97 n. 314 ed agli artt. 1362 segg. e 2120 c.c.,
nonché 4, c. 10 e 11, della 1. 29.5.82 n. 297; contesta la tesi della
Corte d’appello che l’emolumento denominato trattamento di fine
rapporto (t.f.r.) corrisposto agli operai agricoli a tempo determinato
costituisca una componente della retribuzione, come tale idonea a
determinare la indennità di disoccupazione, e non salario differito,
escluso ai sensi del detto art. 6, c. 4, lettera a), sia dalla base
imponibile dei contributi previdenziali, sia dalla retribuzione utile per
il calcolo delle prestazioni temporanee in agricoltura.
18.
I suddetti due
motivi di ricorso devono essere
esaminati congiuntamente. Gli stessi appaiono manifestamente
fondati
19.
Confermando quanto già ritenuto con la sentenza
9.5.07 n. 10546, secondo cui ai fini della liquidazione delle
prestazioni temporanee in agricoltura, la nozione di retribuzione definita dalla contrattazione collettiva provinciale, da porre a
confronto con il salario medio convenzionale ex art. 4 d.lgs. 16.4.97
n. 146 – non è comprensiva del trattamento di fine rapporto, questa
Corte ha ulteriormente affermato che “sulla base del suddetto
principio, la voce denominata quota di t.f.r. dai contratti collettivi
vigenti a partire da quello del 27.11.1991, va esclusa dal computo
della indennità di disoccupazione, in considerazione della volontà
espressa dalle parti stipulanti, che è vietato disattendere in forza della
disposizione di cui al d.l. 14.6.96 n. 318, art. 3, conv. dalla 1.
29.7.96, n. 402, a norma del quale, agli effetti previdenziali, [la
retribuzione dovuta in base agli accordi collettivi, non può essere
individuata in difformità rispetto a quanto definito negli accordi
stessi. Dovendo escludersi che detta voce abbia natura diversa
rispetto a quella indicata dalle parti stipulanti, non è ravvisabile
alcuna illegittima alterazione degli istituti legali da parte
dell’autonomia collettiva” (v. Cass. 5.1.11 n. 202, ord. n. 18516 del
2011 e numerose altre conformi).
giurisprudenziale
è
stato
orientamento
20.
Tale
confermato dal legislatore, il quale con norma interpretativa
contenuta nell’art. 18, comma 18, del d.l. 6.07.11 n. 98, convertito
dalla legge n. 111 del 2011, prevede che “1 art. 4 del decreto
legislativo 16 aprile 1997 n. 146, e l’articolo 01, comma 5, del
decreto- legge 10 gennaio 2006 n. 2, convertito, con modificazioni,
dalla legge 11 marzo 2006 n. 81, si interpretano nel senso che la
retribuzione, utile per il calcolo delle prestazioni temporanee in

Roma, 14 marzo 2013

favore degli operai agricoli a tempo determinato, non è comprensiva
della voce del trattamento di fine rapporto comunque denominato
dalla contrattazione collettiva” (citata Cass., ord. n. 18516 del 2011).
21.
H ricorso è, dunque, manifestamente infondato con
riguardo al primo motivo, mentre è manifestamente fondato, con
riguardo al secondo ed al terzo motivo, e deve essere accolto in
ordine agli stessi. Non essendo necessari ulteriori accertamenti di
fatto, ai sensi dell’art. 384, c. 1, cpc può provvedersi nel merito e
rigettarsi la domanda”.
22.
Il Collegio condivide e fa proprie le considerazioni che
precedono (cfr. Cass. n. 200 del 5 gennaio 2011, id n. 11152 del 20
maggio 2011, n. 17832 del 30 agosto 2011, n. 7118 del 10 maggio 2012 e
numerose altre conformi), considerato, altresì, che, come dedotto nella
relazione, recentemente il significato della norma di cui all’art. 4 del d.
lgs. n. 146 del 1997, individuato dalla giurisprudenza sopra citata, è stato
esplicitato anche dal legislatore. Pertanto, il ricorso dell’I.N.P.S. va
accolto e la sentenza della Corte di appello di Bari va cassata nella parte
impugnata. Non essendo necessari ulteriori accertamenti in fatto, la causa
può essere decisa nel merito, col rigetto della domanda iniziale con
riferimento alla inclusione del T.F.R. nella base di calcolo dell’indennità
di disoccupazione. L’esito complessivo della lite e la considerazione
relativa alla sopravvenienza della norma di legge interpretativa citata
consigliano l’integrale compensazione tra le parti delle spese dell’intero
processo.
P.Q.M.
La Corte rigetta il primo motivo di ricorso. Accoglie il secondo ed il terzo
motivo di ricorso. Cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi
accolti e, decidendo nel merito, rigetta la domanda quanto alla inclusione
del T.F.R. nella base di calcolo dell’indennità di disoccupazione agricola;
spese dell’intero giudizio compensate.

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