Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9219 del 06/04/2021

Cassazione civile sez. VI, 06/04/2021, (ud. 27/01/2021, dep. 06/04/2021), n.9219

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE T

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. LUCIOTTI Lucio – Presidente –

Dott. CATALDI Michele – rel. Consigliere –

Dott. CROLLA Cosmo – Consigliere –

Dott. LO SARDO Giuseppe – Consigliere –

Dott. DELLI PRISCOLI Lorenzo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 37186-2019 proposto da:

CISET SRL – Costruzioni Impianti Studio Ecologia Trasporti, (C.F.

(OMISSIS)), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, PIAZZA CAVOUR presso la

CANCELLERIA della CORTE di CASSAZIONE, rappresentata e difesa

dall’avvocato STEFANO FIORENTINO;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE, (C.F. (OMISSIS)), in persona del Direttore pro

tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che la rappresenta e

difende ope legis;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 7734/8/2018 della COMMISSIONE TRIBUTARIA

REGIONALE della CAMPANIA, depositata il 13/09/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 27/01/2021 dal Consigliere Relatore Dott. MICHELE

CATALDI.

 

Fatto

RILEVATO

che:

1. Risulta dalla sentenza impugnata che la società contribuente C.I.S.E.T. s.r.l. ha impugnato un avviso di accertamento, relativo all’anno d’imposta 2007, con il quale, rilevata, a seguito di processo verbale di constatazione, l’omessa presentazione delle dichiarazioni dei redditi ed Iva e l’omesso deposito dei bilanci, veniva ricostruito il reddito, D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, ex art. 41, previa deduzione dei costi, con recupero a tassazione di Ires, Iva ed Irap.

La CTP di Napoli ha rigettato il ricorso e la Commissione tributaria regionale della Campania, con la sentenza n. 7734/08/2018, depositata il 13 settembre 2018, ha rigettato l’appello della contribuente.

Ha ritenuto il giudice a quo, per quanto rileva in questa sede, di confermare la sentenza di primo grado, le cui motivazioni sono state ampiamente riportate nella sentenza d’appello, valorizzando la consulenza tecnica d’ufficio espletata nel corso del giudizio di primo grado, secondo la quale non è stato possibile conferire certezza alle deduzioni di parte contribuente, stante la mancanza di bilanci depositati e di contabilità attendibile, e non essendo la documentazione prodotta dalla società contribuente in ordine ai costi idonea a rappresentare la sussistenza dei requisiti di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 109.

Propone ricorso per cassazione la società contribuente affidato a tre motivi; resiste con controricorso l’Ufficio.

La proposta del relatore è stata comunicata, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza camerale, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c.

La contribuente ha depositato memoria.

Diritto

CONSIDERATO

che:

1. Con il primo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. 31 dicembre 1992, n. 546, art. 36, nonchè dell’art. 112 c.p.c., dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per non essersi la CTR pronunciata sui recuperi concernenti: la deduzione dall’ammontare dei ricavi di voci risultanti da alcune fatture dell’anno 2007 (nn. 35, 43, 44, 81, 13), relative alla vendita di beni strumentali quali minusvalenze; ricavi che sarebbero di competenza di esercizi precedenti quello oggetto di accertamento; cauzioni di fitti attivi, che non concorrerebbero quali ricavi al risultato economico dell’esercizio in oggetto.

Assume il ricorrente di avere proposto le questioni in primo grado e di averle riproposte in appello.

Aggiunge, inoltre, come risulti ultroneo, rispetto all’accertamento e al giudizio in oggetto il riferimento, nella sentenza impugnata, alla plusvalenza derivante da un immobile in Ischia.

2. Con il secondo motivo si deduce, in primo luogo, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, la violazione degli artt. 97,23 e 53 Cost., della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 12, comma 7, nonchè dei principi affermati da Corte di Giustizia UE, 3 luglio 2014, Kamino, C-129/13, per avere il giudice a quo confermato, con riferimento all’accertamento in materia d’Iva, la sentenza di primo grado, che aveva espressamente qualificato tale imposta come “tributo non armonizzato”, traendone la conseguenza che il relativo atto impositivo non dovesse essere preceduto dal contraddittorio endo-procedimentale.

In secondo luogo, ed in subordine, con lo stesso secondo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., perchè, qualora la CTR avesse ritenuto invece che, ai fini Iva, fosse necessario il contraddittorio preventivo ed avesse considerato come non fornita la prova di resistenza da parte della contribuente, avrebbe allora reso una motivazione meramente apparente sul punto.

3. Con il terzo motivo si deduce, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, la violazione del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2; dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4 e dell’art. 118 disp. att. c.p.c., per essersi la CTR limitata ad aderire alla motivazione della sentenza di primo grado, in ordine ai vizi di legittimità dell’avviso di accertamento, senza esplicitare le ragioni di condivisione della predetta decisione.

4. Appare preliminare la trattazione del terzo motivo di ricorso, attinente la natura apparente dell’intera motivazione della sentenza impugnata, in quanto potenzialmente assorbente gli altri motivi.

Il terzo motivo è ammissibile, ma infondato.

Infatti, è vero che la motivazione della sentenza d’appello impugnata riproduce, nella parte iniziale, ampi stralci di quella di primo grado appellata, in gran parte citandoli direttamente nel virgolettato, a volte parafrasandone il contenuto, ma sempre evidenziandone inequivocabilmente la provenienza.

Di per sè sola, tale tecnica di redazione non determina necessariamente l’apparenza della motivazione della sentenza d’appello che sia resa per relationem alla motivazione della decisione appellata, ritenuta ammissibile da questa Corte, che con orientamento consolidato ha affermato che ” La sentenza d’appello può essere motivata “per relationem”, purchè il giudice del gravame dia conto, sia pur sinteticamente, delle ragioni della conferma in relazione ai motivi di impugnazione ovvero della identità delle questioni prospettate in appello rispetto a quelle già esaminate in primo grado, sicchè dalla lettura della parte motiva di entrambe le sentenze possa ricavarsi un percorso argomentativo esaustivo e coerente, mentre va cassata la decisione con cui la corte territoriale si sia limitata ad aderire alla pronunzia di primo grado in modo acritico senza alcuna valutazione di infondatezza dei motivi di gravame.” (Cass. Sez. 1 -, Ordinanza n. 20883 del 05/08/2019, ex plurimis).

Nello stesso senso, questa Corte ha già avuto occasione di chiarire che ” Ricorre il vizio di omessa o apparente motivazione della sentenza allorquando il giudice di appello abbia sostanzialmente riprodotto la decisione di primo grado, senza illustrare – neppure sinteticamente – le ragioni per cui ha inteso disattendere tutti i motivi di gravame, limitandosi a manifestare la sua condivisione della decisione di prime cure.” (Cass., Sez. 1 -, Ordinanza n. 16057 del 18/06/2018).

Ed è stato ribadito che “In tema di ricorso per cassazione, è nulla, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4, per violazione dell’art. 132 c.p.c., comma 2, n. 4, la motivazione solo apparente, che non costituisce espressione di un autonomo processo deliberativo, quale la sentenza di appello motivata “per relationem” alla sentenza di primo grado, attraverso una generica condivisione della ricostruzione in fatto e delle argomentazioni svolte dal primo giudice, senza alcun esame critico delle stesse in base ai motivi di gravame.” (Cass., Sez. L -, Sentenza n. 27112 del 25/10/2018; conforme Cass., Sez. 1 -, Ordinanza n. 20883 del 05/08/2019, ex plurimis).

Nel caso di specie, alla predetta ampia riproduzione delle argomentazioni esposte dal giudice di primo grado, la CTR ha fatto seguire una propria condivisione critica che, per quanto più sintetica della parte precedente, sulle medesime questioni controverse, investite dall’appello, ha anche ripercorso le argomentazioni poste a fondamento delle soluzioni elaborate dalla CTP, all’esito confermandole.

Non è quindi mancata, nel caso di specie, quella rivalutazione critica, alla luce delle censure della parte appellante, della decisione di primo grado richiamata e non apoditticamente confermata, per cui non sussiste il censurato vizio della sentenza qui impugnata.

5.E’ preliminare altresì la trattazione del secondo motivo di ricorso, anch’esso potenzialmente assorbente, sia pur limitatamente all’accertamento in materia di Iva, che ne è oggetto.

Il motivo non è inammissibile per le ragioni di cui alla proposta del precedente relatore, ovvero per non essere stata censurata in appello la relativa questione.

Infatti, come risulta del resto dalla trascrizione nel ricorso (a pag. 14 s., nota 7) dell’appello della contribuente in parte qua, l’appellante aveva censurato già in secondo grado l’erroneità in diritto dell’esplicita affermazione della CTP secondo la quale l’Iva sarebbe un tributo “non armonizzato”.

Sul punto la CTR, conformandosi espressamente alla decisione di primo grado anche “in punto di rispetto del contraddittorio” (pag. 6 della sentenza d’appello), ha quindi, in parte qua, condiviso anche tale affermazione, tuttavia errata in diritto.

Infatti, l’Iva è un tributo armonizzato, per effetto della VI Dir. 77/388/CEE del Consiglio, del 17 maggio 1977, “in materia di armonizzazione delle legislazioni degli Stati Membri relative alle imposte sulla cifra di affari – Sistema comune di imposta sul valore aggiunto: base imponibile uniforme”. Pertanto, come questa Corte ha già avuto modo di precisare ” In tema di diritti e garanzie del contribuente sottoposto a verifiche fiscali, l’amministrazione finanziaria è tenuta a rispettare, anche nell’ambito delle indagini cd. “a tavolino”, il contraddittorio endoprocedimentale ove l’accertamento attenga a tributi “armonizzati”: la violazione di tale obbligo comporta l’invalidità dell’atto purchè il contribuente abbia assolto all’onere di enunciare in concreto le ragioni che avrebbe potuto far valere e non abbia proposto un’opposizione meramente pretestuosa. (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 20036 del 27/07/2018; conforme, ex plurimis, Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 27420 del 29/10/2018).

Pertanto, nel caso di specie (ed avuto riguardo esclusivamente alla parte dell’accertamento in materia d’Iva, sulla quale soltanto si concentra il motivo in decisione), la natura del tributo rendeva necessario il contraddittorio preventivo con il contribuente, a prescindere dalla natura della verifica eseguita prima dell’accertamento.

Quanto poi alla necessità, o meno, che, nel caso concreto sub iudice, la pretesa violazione del contraddittorio, al fine di dichiarare l’illegittimità dell’atto impositivo, sia sottoposta alla necessità della c.d. “prova di resistenza”, questa Corte non può che prendere atto che in tal senso conclude specificamente, e ripetutamente, la stessa ricorrente (pagg. 10 e s.; pag. 6 della memoria del ricorso), chiedendo espressamente che, previa cassazione della sentenza impugnata, la causa venga rimessa al giudice a quo, perchè valuti se la contribuente abbia o meno fornito tale prova.

Tanto premesso, il motivo è tuttavia comunque inammissibile per genericità e difetto di autosufficienza. Infatti la ricorrente, nel corpo del secondo motivo, non ha indicato in concreto quali siano quelle ragioni specifiche che avrebbe potuto far valere nella fase del contraddittorio che assume omessa e che, se prese in considerazione in quella sede, avrebbero potuto escludere l’emissione dell’atto o ne avrebbero determinato un contenuto diverso, più favorevole alla contribuente.

La mancata puntuale e specifica individuazione, nel corpo del motivo, di tali concrete ragioni, e la mancata illustrazione della loro funzione decisiva rispetto all’accertamento ed al suo contenuto, si traducono pertanto nella violazione degli obblighi di forma-contenuto di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, nn. 3, 4 e 6, e comunque rendono il ricorso non autosufficiente, non consentendo di verificare quali siano le singole ragioni che ne sono oggetto; e pertanto neppure di accertare se le medesime siano state già proposte e riproposte nei giudizi di merito; nè di individuare quali siano quelle ragioni che dovrebbero essere oggetto degli ulteriori accertamenti, nell’eventuale giudizio di rinvio, al fine di effettuare la c.d. “prova di resistenza”.

6.Venendo infine al primo motivo, questa Corte ritiene, discostandosi parzialmente sul punto dalla proposta del precedente relatore (come è consentito: Cass. Sez. U, Ordinanza n. 8999 del 16/04/2009; Cass. Sez. 6 – 2, Ordinanza n. 7605 del 23/03/2017), che esso sia parzialmente fondato.

Infatti, va respinta l’eccezione di inammissibilità del motivo formulata dalla controricorrente, avendo la ricorrente riprodotto in parte il ricorso introduttivo in cui la medesima questione è stata introdotta (con l’indicazione della produzione, in allegato allo stesso atto, della documentazione prodotta dalla contribuente a supporto); nonchè trascritto a pagg. 6 – 7 del ricorso, l’atto di appello, nel quale è stata riproposta.

Tanto premesso, la ricorrente lamenta, specificamente, l’omessa pronuncia della CTR in ordine alla questione, riproposta in appello, della qualificazione, come ricavi rilevanti ai fini del relativo imponibile, anche della vendita di beni strumentali della società e di cauzioni di fitti attivi, oltre che di ricavi di competenza di esercizi precedenti.

Con riferimento ai ricavi di competenza di esercizi precedenti, non si rinviene nè l’omessa pronuncia denunciata, nè la motivazione apparente dedotta.

Infatti, secondo una costante giurisprudenza della Corte, il sindacato di legittimità sulla motivazione resta circoscritto alla sola verifica della violazione del minimo costituzionale richiesto dall’art. 111 Cost., comma 6, individuabile nelle ipotesi di mancanza della motivazione quale requisito essenziale del provvedimento giurisdizionale, di motivazione apparente, di manifesta ed irriducibile contraddittorietà e di motivazione perplessa od incomprensibile (Cass., Sez. III, 12 ottobre 2017, n. 23940), ove la motivazione risulti del tutto inidonea ad assolvere alla funzione specifica di esplicitare le ragioni della decisione (Cass., VI, 25 settembre 2018, n. 22598).

Nel caso di specie, la motivazione resa dalla CTR, sia pur con la tecnica per relationem già illustrata e ritenuta legittima trattando del terzo motivo, non appare inferiore al minimo costituzionale.

Del resto, al fine di assolvere l’onere di adeguatezza della motivazione, il giudice di appello non è tenuto ad esaminare tutte le allegazioni delle parti, essendo necessario e sufficiente che egli esponga concisamente le ragioni della decisione così da doversi ritenere implicitamente rigettate tutte le argomentazioni logicamente incompatibili con esse (Cass., Sez. VI, 2 dicembre 2014, n. 25509; Cass., Sez. III, 20 novembre 2009, n. 24542), senza che sia necessaria l’analitica confutazione delle tesi non accolte o la disamina degli elementi di giudizio non ritenuti significativi (Cass., Sez. V, 2 aprile 2020, n. 7662; Cass., Sez. V, 30 gennaio 2020, n. 2153).

Nel caso di specie il giudice di appello ha basato la propria decisione sull’esame della consulenza tecnica d’ufficio espletata in prime cure “che consentiva di andare a verificare ogni passaggio relativo alla tenuta documentale ed alla possibile determinazione del reddito di impresa”. La CTR ha, quindi, ritenuto che in assenza di dichiarazioni dei redditi, di bilanci depositati nel periodo 1999 – 2008 “in cui la società appellante risultava essere evasore totale”, nonchè di “scritture contabili obbligatorie tenute secondo norme di legge”, “non si profilava alcuna possibilità di individuare un valore reddituale alternativo a quello induttivamente argomentato dall’A.F. posto che gli unici dati oggettivi derivavano da fatture acquisti e vendite”. La CTR ha, inoltre, ritenuto di non valorizzare la documentazione prodotta, “oggetto di contabilità interna, non stampata e tenuta su files variabili” sulla base del giudizio dato dal consulente tecnico d’ufficio, che ha escluso – tra gli altri – il requisito della “competenza” delle fatture di vendita e di acquisto, stante l’assenza di documentazione extracontabile quali “contratti, documenti, contenziosi, ecc.”.

Deve pertanto ritenersi che, con riferimento alla questione delle asserita imputazione all’anno d’imposta accertato di ricavi che la contribuente intende invece riferibili al periodo d’imposta precedente, la CTR si sia pronunciata, formulando un espresso giudizio in ordine all’insussistenza di documentazione atta a ricostruire, in base al principio della competenza, diversamente l’imponibile.

La circostanza che, nel contesto della motivazione, si faccia riferimento ad una plusvalenza derivante dalla vendita di un immobile che, secondo la ricorrente, non sarebbe oggetto dei rilievi di cui all’accertamento controverso, non è comunque, di per sè sola, idonea a viziare irreparabilmente l’intero apparato argomentativo, atteso che non si tratta di un’argomentazione esposta come unico supporto dell’intera ratio decidendi e, nel contesto dell’intero apparato motivazionale, non interferisce con le plurime ulteriori ragioni della decisione, valutate ed apprezzate a prescindere da quest’ultima.

Diversamente, per quanto attiene alla riconducibilità all’imponibile, quali ricavi, anche dei proventi della vendita di beni strumentali della società e di cauzioni di fitti attivi, rispetto ai quali la contribuente poneva anche una questione di qualificazione giuridica e non solo fattuale, la sentenza impugnata non risulta aver adottato una decisione, neppure attraverso un puntuale rinvio critico per relationem alla decisione di primo grado. Nè, peraltro, la decisione omessa potrebbe ritenersi implicita in quella adottata, posto che non vi è una relazione di imprescindibile correlazione logica con il rigetto degli altri specifici motivi d’appello. Peraltro, ove pure fosse ipotizzabile un rigetto implicito, esso non sarebbe allora assistito da alcuna motivazione, poichè quella rassegnata non tratta la questione. In parte qua, pertanto, la sentenza impugnata sarebbe allora affetta da quel vizio di assenza di motivazione, o di motivazione meramente apparente, contestualmente censurato nel motivo.

Discostandosi dalla proposta del relatore, il primo motivo va quindi accolto, nei limiti esposti, con rinvio al giudice a quo per i necessari accertamenti.

P.Q.M.

Dichiara inammissibile il secondo motivo, rigetta il terzo ed accoglie, nei termini di cui in motivazione, il primo;

cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto e rinvia alla Commissione tributaria regionale della Campania, cui demanda di provvedere anche sulle spese del giudizio di legittimità.

Così deciso in Roma, il 27 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 6 aprile 2021

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