Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9218 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2011, (ud. 21/02/2011, dep. 21/04/2011), n.9218

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BERNARDI Sergio – Consigliere –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 31719/2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente-

contro

SANT’ANDREA SPA, in persona del Presidente del CdA e legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA VIA

GIACOMO PUCCINI 9 presso lo studio dell’avvocato PERRONE LEONARDO,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato TARDELLA

GIANMARCO, procura speciale Notaio Dott. EMANUELE CAROSELLI in Novara

REP. 35419 del 4/12/2006;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 21/2 0 06 della COMM.TRIB.REG. di TORINO,

depositata il 03/07/2006;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

21/02/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito per il resistente l’Avvocato TARDELLA GIANMARCO, che ha chiesto

il rigetto;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GAETA Pietro, che ha concluso per il rigetto.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Il 3 luglio 2006 la commissione tributaria regionale di Torino ha rigettato l’appello proposto dall’agenzia delle entrate nei confronti della soc. Sant’Andrea, confermando l’annullamento dall’avviso di accertamento per maggior reddito ai fini IRPEG e IRAP nell’anno 1998.

Ha motivato la decisione ritenendo che: a) era corretta la deduzione operata per le modeste spese di manutenzione sostenute per l’immobile locato; b) era legittima la perdita su credito registrata nell’esercizio 1998, e non in quello 1992, atteso il ragionevole convincimento di poter recuperare il credito medesimo nelle more. Ha proposto ricorso per cassazione, affidato a due motivi, l’amministrazione; la soc. contribuente si è costituita con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

01. Con il primo motivo, la ricorrente denuncia la violazione e falsa applicazione del D.P.R. 917 del 1986, art. 66. Sostiene che i giudici d’appello – nell’affermare che “è all’imprenditore che, sulla base di motivazioni obiettivamente valide a legittimare la componente negativa di reddito derivante dall’eliminazione di poste attive, spetta di decidere quando sussistano i presupposti per la deducibilità della perdita stessa” – enuncia un principio di diritto non corretto, dovendo la deduzione essere operata con riferimento all’anno di competenza coincidente con l’esercizio in cui si siano concretizzati certi e precisi elementi circa la irrecuparebilità del credito. Aggiunge che – essendosi irrevocabilmente accertato in sede penale nel 1992 che nulla doveva il debitore apparente, raggirato da ignoto al pari della soc. contribuente – in quell’esercizio andava dedotta la perdita, e non nel 1998 allorquando la soc. creditrice aveva abbandonato ogni ricerca. Pertanto formula il seguente quesito di diritto: “Vero che – D.P.R. n. 917 del 1986, ex art. 66, – la perdita su crediti va portata in detrazione nell’esercizio in cui si verificano elementi certi e precisi che palesano l’irrecuperabilità del credito, a nulla rilevando in contrario l’intenzione dell’imprenditore di procedere ad ulteriori iniziative pel recupero del credito, ed il fatto che le assuma e non ritenga di desistere dal recupero del credito stesso?”.

02. Con il secondo motivo, la ricorrente sottopone a critica il medesimo operato del giudici d’appello anche sotto il profilo, questa volta in punto di fatto, della “motivazione assente o quanto meno insufficiente su punto decisivo della controversia”.

03. Il primo motivo è fondato; il secondo è assorbito.

04. Questa Sezione ha ripetutamente affermato: “In tema di imposte sui redditi d’impresa, il D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, art. 66, comma 3, che prevede la deduzione delle perdite su crediti, quali componenti negative del reddito d’impresa, se risultano da elementi certi e precisi e, in ogni caso, se il debitore è assoggettato a procedure concorsuali, va interpretato nel senso che l’anno di competenza per operare la deduzione deve coincidere con quello in cui si acquista certezza che il credito non può più essere soddisfatto, perchè in quel momento si materializzano gli elementi “certi e precisi” della sua irrecuperabilità. Diversamente opinando si rimetterebbe all’arbitrio del contribuente la scelta del periodo d’imposta più vantaggioso per operare la deduzione, snaturando la regola espressa dal principio di competenza, che rappresenta invece criterio inderogabile ed oggettivo per determinare il reddito d’impresa. La prova della sussistenza degli elementi suddetti non impone nè la dimostrazione che il creditore si sia attivato per esigere il suo credito, nè che sia intervenuta sentenza di fallimento del debitore” (Sez. 5, Sentenze n. 22135 del 29/10/2010 e n. 16330 del 03/08/2005).

05. Nella specie è pacifico, per averlo ammesso la stessa controricorrente, che il Pretore di Roma nel 1992 aveva irrevocabilmente accertato in sede penale che la ditta Termoidraulica Vittorio Feroce era del tutto estranea alla fornitura di caldaie fatturata dalla società contribuente per oltre 400 milioni di lire e che, raggirate sia la ditta debitrice apparente sia la società creditrice, il responsabile della frode era rimasto ignoto. La medesima contribuente adduce di non essersi rassegnata e di aver intrapreso ricerche varie, documentate dal carteggio epistolare con l’agente di zona e con i propri legali (1992, 1994, 1995).

06. Orbene, indiscusso in giurisprudenza il criterio dell’imputazione delle perdite su crediti secondo competenza, è smentito l’assunto dei giudici d’appello secondo cui “è all’imprenditore che… spetta di decidere quando sussistano i presupposti per la deducibilità della perdita stessa”.

07. Indi, va accertato quando si verificano le condizioni di certezza dell’esistenza e determinabilità obiettiva dell’ammontare delle perdite su crediti.

08. Il riferimento non può che essere alla regola valida per il bilancio civilistico, per il quale i crediti devono essere iscritti secondo il valore di presumibile realizzazione, a mente dell’art. 2425, n. 6 (ora art. 2426 c.c., n. 8).

09. Si è chiarito, nella giurisprudenza della Corte, che l’art. 2425 c.c., n. 6, (nella vecchia formulazione), disponendo che, ai fini dell’iscrizione nell’attivo del bilancio di società per azioni, i crediti “devono essere valutati secondo il presumibile valore di realizzazione”, non attribuisce agli amministratori una discrezionalità assoluta, ma implica una valutazione fondata sulla situazione concreta, secondo principi di razionalità (Sez. 1, Sentenza n. 17033 del 23/06/2008). Il che, in altri termini, implica che in bilancio non possano essere iscritti i crediti semplicemente sperati; al contrario persino i crediti pur certi, liquidi ed esigibili, qualora siano di dubbia o difficile esazione, non devono essere iscritti nel loro intero ammontare, bensì nella minore misura che – secondo un prudente apprezzamento – si presuma di poter realizzare (Sez. 1, Sentenza n. 6431 del 27/11/1982).

10. Orbene, se ciò vale in via generale, altrettanto vale nel peculiare caso in esame nel quale, assodata giudizialmente la completa estraneità del debitore apparente, il credito si è trasformato in una posta puramente figurativa non essendovi un debitore nè identificato, nè identificabile. Ne deriva che si trattava di un credito puramente sperato, il cui il presumibile valore di realizzazione era nullo in assenza di un debitore noto.

11. Dunque, sul piano civilistico, già nel 1992 l’appostamento del recupero di tale credito non era fondato su alcun serio riscontro circa l’effettiva esperibilità di un’azione legale verso chicchessia.

12. Ne deriva il riflesso fiscale secondo cui l’anno di competenza per operare la deduzione non può che coincidere con quello – il 1992 – in cui il presumibile valore di realizzazione si è azzerato essendo emersi elementi “certi e precisi” della sua irrecuperabilità, per essere addirittura ignota la parte debitrice.

13. A nulla rilevano le infruttuose ricerche attivate dalla società creditrice e di cui vi è traccia nel carteggio del periodo 1994/5 con il proprio agente e il nuovo legale; e meno ancora rileva la lettera postuma (2001) con cui lo stesso legale attesta d’aver consigliato nel 1998 di passare la pratica a perdita, visto il fallimento di ogni indagine.

14. Invero, come risulta dallo stesso controricorso e dalla sentenza di prime cure, sin dal 2 novembre 1992, il primo difensore della società, nel richiedere il saldo della sua parcella, aveva comunicato di ritenere sostanzialmente accantonata la pratica di recupero del consistente credito sulla base della situazione esistente a quella data, giudicata al momento pregiudicata e (“per ora”) non modificabile.

15. I criteri civilistici e fiscali non consentono appostamenti di crediti puramente sperati in attesa di identificarne il soggetto debitore e dunque la convergente portata l’art. 2425 c.c., n. 6, e del D.P.R. n. 917 del 1986, art. 66, (entrambi nelle vecchie formulazioni), in relazione all’esercizio di competenza, fanno escludere che la perdita su credito verificatasi nel 1992 potesse essere riposizionata nell’esercizio 1998, ad arbitrio della soc. contribuente.

16. La sentenza di secondo grado va dunque cassata sul punto e l’assenza di ulteriori verifiche necessarie, consente di rigettare “in parte qua” il ricorso introduttivo, ai sensi dell’art. 384 c.p.c..

17. In relazione al particolare carattere delle questioni prospettate e alle incertezze interpretative esistenti al riguardo, si ravvisano giusti motivi per compensare le spese di ogni fase.

P.Q.M.

La Corte accoglie il primo motivo di ricorso e, assorbito il secondo, cassa la sentenza impugnata in relazione al motivo accolto; decidendo nel merito, rigetta “in parte qua” il ricorso della società contribuente; compensa le spese di tutti i gradi tra le parti.

Così deciso in Roma, il 21 febbraio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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