Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9209 del 16/04/2013


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Civile Sent. Sez. 6 Num. 9209 Anno 2013
Presidente: GOLDONI UMBERTO
Relatore: CARRATO ALDO

del processo ai sensi
della legge n. 89 del
2001 — impugnazione
relativa al capo sulle
spese

SENTENZA
sul ricorso proposto da:

CAPPUCCI GIOVANNI (C.F.:CPP GNN 56E29 H926C), rappresentato e difeso, in
forza di procura speciale in calce al ricorso, dall’Avv. Vincenzo D’Isidoro ed
elettivamente domiciliato presso il suo studio in Roma, via Cardinal de Luca, n. 22;
– ricorrente –

contro
MINISTERO DELLA GIUSTIZIA, in persona del Ministro pro tempore;
– intimato –

avverso il decreto della Corte d’appello di Lecce reso nel proc. R.G.V.G. 421/2010 e
depositato in data 22 marzo 2012 (non notificato).
Udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 12 marzo 2013

dal Consigliere relatore Dott. Aldo Carrato;
udito l’Avv. Vincenzo D’Isidoro per il ricorrente;

Data pubblicazione: 16/04/2013

udito il Pubblico Ministero, in persona del Sostituto Procuratore Generale dott.
Lucio Capasso, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Ritenuto in fatto
Il sig. Cappucci Giovanni chiedeva alla Corte d’appello di Lecce, con ricorso

della legge 24 marzo 2001, n. 89, per la irragionevole durata di un giudizio svoltosi
dinanzi al Tribunale di Foggia (iniziato nel maggio 2005 e definito con il deposito
della sentenza in primo grado il 20 febbraio 2010), invocando la condanna del
Ministero della Giustizia al risarcimento del danno non patrimoniale da quantificarsi
nella misura di euro 4.000,00, oltre interessi legali e rivalutazione monetaria.
Nella costituzione del resistente Ministero della Giustizia, la Corte di appello adita,
con decreto depositato il 22 marzo 2012, accoglieva, per quanto di ragione, il ricorso
proposto e, per l’effetto, condannava il predetto Ministero al pagamento in favore del
ricorrente, per il titolo dedotto in giudizio, della somma di euro 1.500,00, oltre
interessi legali dalla domanda al saldo, compensando per intero tra le parti le spese
del procedimento.
Avverso il menzionato decreto (non notificato) ha proposto ricorso per cassazione il
Cappuccio Giovanni con atto notificato il 4 giugno 2012, sulla base di due motivi.
Il Ministero della Giustizia non ha svolto attività difensiva in questa sede.

Considerato in diritto
1. – Con il primo motivo dedotto il ricorrente ha denunciato (ai sensi dell’art. 360, n. 3,
c.p.c.) la violazione e falsa applicazione degli arti. 24, 38 e 111 Cost, nonché degli
artt. 91, 92, comma 2, e 93 c.p.c., congiuntamente al vizio di omessa, insufficiente e
contraddittoria motivazione, con riferimento alla supposta illegittimità della statuizione
di integrale compensazione delle spese giudiziali contenuta nel decreto impugnato

– 2 –

depositato in data 12 aprile 2010, il riconoscimento dell’equa riparazione, ai sensi

riferita al presupposto del ridimensionamento della domanda come originariamente
proposta ed al comportamento processuale del Ministero della Giustizia, che, in
effetti, non si era opposto all’accoglimento della domanda in relazione
all’applicazione dei criteri elaborati dalla giurisprudenza interna ed internazionale ai

2. — Con il secondo motivo il ricorrente ha censurato il decreto impugnato per
assunta violazione degli artt. 91 e 92 c.p.c. (in relazione all’art. 360, n. 3, c.p.c.),
sempre con riferimento alla disposta compensazione totale delle spese, non
sussistendo, nella specie, le ragioni gravi ed eccezionali tali da legittimare la
dichiarata compensazione integrale delle spese, non essendosi configurato il
presupposto della soccombenza reciproca e non essendo risultato il processo in
questione caratterizzato, in maniera peculiare, dalla necessità dell’esame di questioni
di estrema difficoltà.
3. — Ritiene il collegio che entrambi i motivi possono essere esaminati
congiuntamente, in quanto strettamente connessi (involgendo la medesima
questione processuale, sotto i profili della violazione di legge e del vizio
motivazionale).
Essi sono fondati e devono, pertanto, essere accolti nei termini che seguono.
In linea preliminare si osserva che — secondo la consolidata giurisprudenza di questa
Corte (cfr. Cass. n. 23789 del 2004; Cass. n. 21371 del 2009 e Cass. n. 1101 del
2010) – i giudizi di equa riparazione per violazione della durata ragionevole del
processo, proposti ai sensi della legge 24 marzo 2001, n. 89, non si sottraggono
all’applicazione delle regole poste, in tema di spese processuali, dagli artt. 91 e SS.
c.p.c., trattandosi di giudizi (aventi natura contenziosa) destinati a svolgersi dinanzi al

fini del computo del dedotto danno non patrimoniale.

giudice italiano, secondo le disposizioni processuali dettate dal codice di rito (anche
in virtù del richiamo operato dall’art. 3, comma quarto, della stessa n. 89 del 2001).
E’ stato, altresì, precisato (v. Cass. n. 16542 del 2009) che tale principio non è in
contrasto con l’art. 34 della Convenzione europea per i diritti dell’uomo, come

esercizio del diritto non postula che la parte, la cui pretesa si sia rivelata priva di
fondamento, debba essere sottratta alla statuizione sulle spese giudiziali, con la
conseguenza che, anche nel caso di accoglimento parziale della domanda o quando
sussistano giusti e gravi motivi, l’autonomia della normativa nazionale comporta
l’applicabilità della regola dettata dell’art. 92 c.p.c. .
Ciò posto, la Corte leccese, nel caso di specie, ponendo riferimento agli elementi del
ridimensionamento della domanda ed al comportamento processuale
sostanzialmente non oppositivo del Ministero della Giustizia, ai fini della
giustificazione dell’integrale compensazione delle spese giudiziali, ha offerto una
motivazione non completamente accettabile sul piano logico-giuridico. Ed invero, al
riguardo, occorre considerare che, in realtà, nulla avrebbe impedito
all’Amministrazione resistente di adempiere spontaneamente all’obbligo di
indennizzo (nella misura conforme ai parametri fissati dalla giurisprudenza europea e
nazionale) sulla stessa gravante per l’eccessiva durata del processo, ragion per cui,
non essendosi adoperata in tal senso ed essendo lo Stato italiano responsabile la
l’irragionevole durata del processo, la mancata opposizione alla domanda non
avrebbe potuto costituire una valida ragione di compensazione delle spese.
In tal senso la Corte pugliese non si è conformata all’orientamento giurisprudenziale,
ormai pressoché consolidato, di questa Corte, alla stregua del quale, ai fini della
compensazione totale delle spese processuali non è sufficiente né la mancata

– 4 –

modificata dal protocollo n. 11, atteso che l’impegno a non ostacolare l’effettivo

opposizione alla domanda da parte del convenuto né la mera riduzione della
domanda operata dal giudice in sede decisoria, permanendo comunque la
sostanziale soccombenza della controparte che deve essere adeguatamente
riconosciuta sotto il profilo della suddivisione del carico delle spese (cfr. Cass.

Pertanto, in virtù dell’adesione ai richiamati principi ed essendo irragionevole la
disposta compensazione totale delle spese nel giudizio in questione, l’impugnato
decreto deve essere cassato in punto spese, per quanto di ragione. Non essendo
necessari ulteriori accertamenti in fatto e ritenuto che l’apprezzabile scarto tra
l’importo richiesto a titolo di equo indennizzo e quello effettivamente riconosciuto con
il decreto della Corte territoriale giustifichi la compensazione per la metà del giudizio
svoltosi dinanzi alla stessa Corte di merito, l’Amministrazione resistente deve essere,
conseguentemente, condannata al pagamento della residua metà, che si liquida nei
sensi di cui in dispositivo, con attribuzione al difensore del ricorrente per dichiarato
anticipo.
L’accoglimento soltanto parziale del ricorso giustifica la compensazione per la metà
delle spese della presente fase di legittimità, con la condanna dell’intimato Ministero
alla rifusione della residua metà (liquidata secondo i criteri di cui in dispositivo) in
favore della parte ricorrente e con il riconoscimento della relativa attribuzione in
favore del suo difensore antistatario.

PER QUESTI MOTIVI
La Corte accoglie il ricorso nei sensi dì cui in motivazione; cassa il decreto impugnato
in ordine al solo capo relativo alle spese e, decidendo nel merito, condanna il
Ministero della Giustizia al pagamento della metà delle spese del giudizio di merito,
liquidate, per l’intero, in complessivi euro 775,00, di cui euro 280,00 per diritti, euro

– 5 –

n. 5598 del 2010, ord.; Cass. n. 30534 del 2011 e Cass. n. 901 del 2012).

445,00 per onorari ed euro 50,00 per esborsi, oltre spese generali ed accessori come
per legge, con attribuzione al difensore antistatario del ricorrente, dichiarando
compensata tra le parti la residua metà.
Condanna, altresì, lo stesso Ministero della Giustizia al pagamento della metà delle

complessivi euro 556,25, di cui euro 506,25 per compensi ed euro 50,00 per esborsi,
oltre accessori nella misura e sulle voci come per legge, dichiarando compensata tra
le parti la restante metà e con attribuzione della pertinente quota liquidata in favore
del ricorrente al suo difensore, per dichiarato anticipo.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sesta Sezione Civile della Corte
suprema di Cassazione, in data 12 marzo 2013.

spese della presente fase di legittimità, che liquida, nel loro globale ammontare, in

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