Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9206 del 02/04/2021

Cassazione civile sez. III, 02/04/2021, (ud. 20/11/2020, dep. 02/04/2021), n.9206

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele Gaetano Antonio – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. FIECCONI Francesca – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 22447/2017 proposto da:

GESIONE LIQUIDATORIA EX ASL (OMISSIS) VENOSA, elettivamente

domiciliata in ROMA, VIA SILVIO PELLICO 2, presso lo studio

dell’avvocato FILOMENA ORLANDO, che la rappresenta e difende;

– ricorrente –

contro

ISTITUTO DI RICOVERO E CURA A CARATTERE SCIENTIFICO (OMISSIS),

elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA CAVOUR 19, presso lo

studio dell’avvocato MICHELE ROMA, che lo rappresenta e difende

unitamente all’avvocato MAURO F. FINIGUERRA;

– controricorrente –

e contro

C.A., C.M., CO.MA.CA., e

P.R., quali eredi di CA.AL., rappresentati e difesi

dall’avvocato ALFONSO SALVATORE, ed elettivamente domiciliati in

ROMA, VIA FREGENE 13, presso l’avvocato GIUSEPPINA D’ANGELO;

– controricorrenti –

REGIONE BASIFICATA, e AZIENDA SANITARIA LOCALE DI POTENZA;

– intimati –

avverso la sentenza n. 308/2017 della CORTE D’APPELLO di POTENZA,

depositata il 13/06/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

20/11/2020 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO Alberto;

uditi il difensore della ricorrente e quello del controricorrente

(OMISSIS).

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Ca.Al. convenne in giudizio l’Ospedale (OMISSIS) e l’Azienda Sanitaria ASL n. (OMISSIS) di Venosa chiedendo il risarcimento dei danni conseguiti all’epatite di tipo C che assumeva di aver contratto a seguito di un’emotrasfusione che gli era stata praticata presso il (OMISSIS) (ove era stato sottoposto a resezione gastrica, per carcinoma).

I convenuti resistettero alla pretesa.

Il Tribunale di Potenza rigettò la domanda, ritenendo che non fosse risultato accertato il nesso eziologico fra le trasfusioni e l’infezione, e compensò le spese di lite.

Provvedendo sul gravame proposto dal Ca. (e notificato anche alla Gestione Liquidatoria dell’ex ASL n. (OMISSIS) di Venosa, all’Azienda Locale di Potenza e alla Regione Basilicata, tutti quali successori della disciolta ASL (OMISSIS) di Venosa), la Corte di Appello di Potenza ha pronunciato sentenza non definitiva con cui ha affermato la legittimazione passiva esclusiva della Gestione Liquidatoria della ex ASL (OMISSIS) di Venosa e ha dichiarato quest’ultima “responsabile del danno patito da Ca.Al. in conseguenza dell’emotrasfusione praticata in occasione dell’intervento chirurgico”; con separata ordinanza, ha disposto l’ulteriore corso del giudizio per la quantificazione del danno.

Ha proposto ricorso per cassazione la Gestione Liquidatoria della ex ASL n. (OMISSIS) di Venosa, affidandosi ad un unico motivo; hanno resistito sia l’Istituto di Ricovero e Cura a Carattere Scientifico (OMISSIS) che quali eredi di Ca.Al., C.A., C.M., Co.Ma.Ca. e P.R.; tutte le parti hanno depositato memoria.

Il ricorso, già fissato in adunanza camerale ai sensi dell’art. 380 bis.1. c.p.c. e rimesso alla trattazione in pubblica udienza con ordinanza interlocutoria del 6.8.19, giunge all’odierna udienza a seguito di rinvio disposto il 6.3.20.

Il P.M. ha depositato conclusioni scritte.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Deve preliminarmente darsi atto che nessuna contestazione risulta svolta dalla ricorrente in merito alla legittimazione a resistere degli eredi del Ca., che hanno notificato il controricorso dando atto del decesso del proprio congiunto.

2. Con l’unico motivo, la ricorrente ha dedotto “violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5” ed “erronea valutazione delle risultanze istruttorie ed illogicità della motivazione”, contestando l’accertamento della riferibilità causale dell’infezione alla trasfusione effettuata in occasione del ricovero ospedaliero; premesso che il Ca. era stato sottoposto anche ad intervento di confezione di una tasca sottocutanea con inserimento di un catetere nella giugulare destra, la Gestione lamenta innanzi tutto che il giudice di appello “ha del tutto sottovalutato la concreta possibilità che il contagio si possa essere verificato nel corso dei due interventi cui è stato sottoposto il paziente presso il (OMISSIS) per l’utilizzo di strumentazione o di materiali (…) non sterili”.

Inoltre, la ricorrente assume, in termini generali, che “la sentenza impugnata contiene evidenti vizi di motivazione poichè non tiene conto, nella valutazione complessiva degli elementi di prova acquisiti nel processo, delle circostanze decisive a mettere in rilievo quanto necessario per chiarire e sorreggere adeguatamente la ratio decidendi e si limita a far proprie le deduzioni dell’appellante”, rilevando che, diversamente da quanto ritenuto dalla Corte di Appello, “la disamina della documentazione medica ex adverso allegata e la storia clinica del Ca. portano ad escludere la riconducibilità della malattia alle trasfusioni di sangue cui questi fu sottoposto”.

Più specificamente, la ricorrente evidenzia la “compatibilità temporale” fra effettuazione dei due interventi chirurgici, periodo di incubazione ed epoca di manifestazione della malattia; si duole della mancata valutazione delle risultanze della c.t.u. effettuata nel giudizio di primo grado (che aveva escluso che l’infezione fosse conseguenza della trasfusione); lamenta che il documento fornito dalla Gestione Liquidatoria (ossia la certificazione a firma del Dott. B.M., responsabile del Centro Trasfusionale di (OMISSIS), attestante che le sacche di sangue erano state controllate in applicazione della normativa vigente) non sia stato valutato come “prova privilegiata” o, comunque, come elemento indiziario idoneo a formare il convincimento del giudice in unione ad altri elementi; aggiunge che la dichiarazione del Dott. B. si basava sui registri conservati presso il centro trasfusionale che, essendo “coperti da privacy” avrebbero potuto essere acquisiti solo dall’Autorità Giudiziaria, e lamenta che, nonostante le richieste formulate in corso di causa, la Corte di Appello non ne avesse disposto l’acquisizione, così ponendo l’Azienda “nella impossibilità di produrre la documentazione”.

3. Il motivo è, sotto tutti i profili, inammissibile.

Deve considerarsi, infatti, che:

la violazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., non risulta dedotta in conformità ai parametri individuati da Cass., S.U. n. 16598/2016 e da Cass. n. 11892/2016: infatti, un’eventuale erronea valutazione del materiale istruttorio non determina, di per sè, la violazione o falsa applicazione degli artt. 115 e 116 c.p.c., che ricorre solo allorchè si deduca che il giudice di merito abbia posto alla base della decisione prove non dedotte dalle parti o disposte d’ufficio al di fuori dei limiti legali, ovvero abbia disatteso (valutandole secondo il suo prudente apprezzamento) delle prove legali oppure abbia considerato come facenti piena prova, recependoli senza apprezzamento critico, elementi di prova soggetti invece a valutazione (cfr. Cass. n. 27000/2016);

quanto poi, alla dedotta erronea valutazione della nota a firma del Dott. B., le censure sono inammissibili, in quanto:

non risulta osservato l’onere di trascrivere il contenuto della nota e di indicarne la sede di reperimento (ex art. 366 c.p.c., n. 6):

non risulta adeguatamente censurata – anche in riferimento al rilievo che la certificazione non poteva costituire piena prova a favore dell’amministrazione da cui proveniva – l’affermazione della Corte sulla necessità che la Gestione Liquidatoria producesse in giudizio “tutti i dati relativi alla registrazione ed archiviazione dei dati in modo tale da ricostruire il percorso di ogni unità di sangue e la documentazione prevista dal D.M. Sanità 26 gennaio 2001, n. 78, art. 16″;

la deduzione circa la necessità che l’acquisizione della documentazione venisse disposta dall’Autorità Giudiziaria e circa il mancato accoglimento delle richieste in tal senso che l’odierna ricorrente avrebbe formulato in corso di causa non risulta suffragata da indicazioni specifiche e circostanziate sul se, come e quando tali richieste siano state formulate;

le censure afferenti all'”erronea valutazione delle risultanze istruttorie” e alla “illogicità della motivazione” risultano volte a contestare la mancata valorizzazione di cause alternative di contagio e quindi – in definitiva – a censurare l’apprezzamento di merito compiuto dalla Corte territoriale circa la prevalenza dell’ipotesi che l’infezione sia stata provocata dalla trasfusione, in tal modo sollecitando una non consentita diversa valutazione di merito, del tutto al di fuori dai limiti in cui Cass., S.U. n. 8053 e n. 8054 del 2014 consentono il sindacato di legittimità sulla motivazione;

nè la circostanza che la Corte territoriale abbia ritenuto di disattendere le conclusioni della c.t.u. espletata in primo grado vale ad integrare un vizio della motivazione, tanto più che il giudice di appello ha dato conto della scarsa indicatività e della non esaustività degli elementi tratti da tale c.t.u., evidenziando le omissioni in cui era incorso il Tribunale accedendo alle conclusioni dei propri consulenti.

4. Il ricorso va pertanto dichiarato inammissibile, con conseguente condanna della ricorrente al pagamento delle spese di lite.

5. Sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

PQM

La Corte dichiara l’inammissibilità del ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese di lite, liquidate, per ciascuna parte controricorrente, in Euro 6.000,00 per compensi, oltre alle spese forfettarie nella misura del 15%, al rimborso degli esborsi (liquidati in Euro 200,00) e agli accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis, se dovuto.

Dispone che, in caso di diffusione della presente sentenza in qualsiasi forma, per finalità di informazione giuridica su riviste giuridiche, supporti elettronici o mediante reti di comunicazione elettronica, sia omessa l’indicazione delle generalità e degli altri dati identificativi degli interessati riportati in sentenza.

Così deciso in Roma, il 20 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2021

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