Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9205 del 19/04/2010

Cassazione civile sez. III, 19/04/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 19/04/2010), n.9205

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE in persona del Ministro pro-

tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEI PORTOGHESI 12,

presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e

difende, ope legis;

– ricorrente –

contro

O.M., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PALESTRO

41, presso lo studio dell’avvocato MANCUSO UMBERTO, che la

rappresenta e difende, giusta procura speciale in calce al

controricorso;

– controricorrente –

e contro

BANCA D’ITALIA (succursale di Salerno – Servizio di Tesoreria

Provinciale);

– intimata –

avverso la sentenza n. 1649/2008 del TRIBUNALE di SALERNO del 3.6.08,

depositata il 25/06/2008;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Quanto segue:

p. 1. L’Avvocato O.M., con atto di pignoramento presso terzi del settembre 2005, pignorava in danno del Ministero dell’economia e delle Finanze presso il terzo Banca d’Italia s.p.a.

somme affluite nella contabilità speciale di girotondi n. 1019 intestata al detto ministero.

Con ricorso in opposizione ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2, il Ministero proponeva opposizione dinanzi al Tribunale di Salerno, giudice dell’esecuzione, sostenendo l’impignorabilità delle somme, per non esserne esso opponente proprietario, bensì soltanto affidatario in custodia, per averle ricevute da soggetti terzi (autorità giudiziarie e amministrative), obbligati in virtù di disposizioni di legge e regolamentari ad affidarle in deposito al Ministero e, prima della sua trasformazione in s.p.a., alla Cassa Depositi e Prestiti.

Allo svolgimento della fase sommaria, nella quale veniva accolta l’istanza di sospensione dell’esecuzione forzata, seguiva la fase a cognizione piena per effetto di iscrizione a ruolo della controversia da parte del Ministero.

Il Tribunale, nella resistenza della parte opposta e nella contumacia del terzo Banca d’Italia, rigettava l’opposizione con sentenza del 25 giugno 2008.

p. 1.1. Avverso la sentenza il Ministero ha proposto ricorso per Cassazione affidato a due motivi contro la creditrice procedente e nei confronti della Banca d’Italia. Ha resistito con controricorso soltanto la O..

p. 2. Il ricorso è soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di Cassazione, disposte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioè dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. (art. 27, comma 2 di tale D.Lgs.).

3. Ricorrendo le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c., è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Quanto segue:

p. 1 Nella relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., si è osservato quanto segue:

” (…) 3. – Con il primo motivo si deduce “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 1782 c.c., nonchè del D.M. 5 dicembre 2003, art. 2, comma 1, e art. 4, attuativo della L. 24 novembre 2003, n. 326 e del D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284, art. 1, comma 1, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si lamenta che il Tribunale avrebbe considerato il Ministero proprietario delle somme oggetto del pignoramento, facendo derivare tale asserto dalla natura per definizione fungibile del danaro dato a deposito, in tal modo trascurando la nuova disciplina normativa introdotta dal citato D.M. riguardo alla trasformazione della Cassa Depositi e Prestiti in società per azioni. Per supportare l’assunto si riproduce fra virgolette (con alcuni omissis individuati con puntini sospensivi fra due parentesi tonde) quello che sarebbe stato un passo della motivazione della sentenza impugnata ed avrebbe avuto il seguente tenore: “Il D.Lgs. n. 284 del 1999, sopra citato relativo al riordino della Cassa DD.PP., prevedeva espressamente (art. 2) che quest’ultima per l’esercizio delle proprie funzioni si servisse (lett. A) dei fondi provenienti dai depositi di cui all’art. 1, comma 1, lett. a), poi trasferiti al Ministero. Tale dato, ad avviso dello scrivente, esclude che le somme depositate presso la Cassa depositi e prestiti (…) potessero considerarsi oggetto di un vincolo di indisponibilità, costituendo piuttosto somme depositate con facoltà del depositario di servirsene, e con conseguente acquisto della disponibilità tipica della relazione proprietaria (cfr. art. 1782 c.c.) da parte della Cassa stessa. Mutatis mutandis, analogo discorso va fatto in relazione al Ministero, il quale va considerato (…) non mero custode delle somme stesse, ma soggetto che nell’esercizio delle sue funzioni può comunque servirsi delle somme depositate, salvo l’obbligo restitutorio, attesa la tangibilità per definizione del denaro”.

L’illustrazione del motivo è svolta criticando tale (pretesa) motivazione e precisamente attraverso i seguenti passaggi:

a) erroneamente il Tribunale avrebbe fatto conseguire dalla circostanza della fungibilità del danaro la facoltà di servirsene del Ministero e, quindi, l’applicazione della norma dell’art. 1782 c.c., sul cd. deposito irregolare (in punto di previsione dell’acquisto della proprietà della cosa fungibile da parte del depositario se egli abbia la facoltà di servirsene): detta facoltà, invece, dipenderebbe dalle “modalità negoziali nelle quali il deposito si inserisce e dallo scopo che il depositante intendeva perseguire, nella piena consapevolezza ed adesione del depositario”;

b) se anche fosse esatto l’assunto del Tribunale sull’esegesi dell’art. 1782 c.c., nella fattispecie esso sarebbe stato in contrasto con la disciplina del D.M. 5 dicembre 2003, il quale escluderebbe “in maniera evidente ed ineludibile” l’esistenza della facoltà del Ministero di servirsi e disporre delle somme, posto che con detta fonte sarebbero state scisse le attività unitariamente facenti capo alla vecchia Cassa Depositi e Prestiti, con attribuzione al Ministero del servizio di deposito ed alla nuova s.p.a. Cassa Depositi e Prestiti, società di mano pubblica, del compito di provvedere alla concessione dei finanziamenti ed alla gestione dei fondi per conto delle Pubbliche Amministrazioni (evidentemente depositanti), onde da tanto discenderebbe l’impossibilità di “esportare al settore dei depositi definitivi trasferiti al Ministero argomentazioni e schemi giuridici validi esclusivamente in relazione al precedente assetto organizzativo funzionale e gestionale”;

c) l’attribuzione del servizio di gestione dei fondi, individuato dal D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 1, comma 1, lett. c), alla s.p.a., costituirebbe “certamente il complesso delle attività economiche ed amministrative sottese all’impiego del denaro per il conseguimento degli obiettivi propri dell’Ente e postula, dunque, il necessario potere di disporne”, mentre il Tribunale, nel riferirsi all’art. 2 del citato D.Lgs. a sostegno della tesi della libera disponibilità delle somme date a deposito da parte del Ministero, si sarebbe riferito al passato assetto unitario delle attività della Cassa;

d) le somme affidate al Ministero a titolo di deposito costituirebbero nel nuovo regime “una gestione separata, non realizzandosi il trasferimento in proprietà dei beni dati a deposito e quindi la confusione con il patrimonio dell’ente debitore, circostanza che non le rende aggredibili dai creditori dell’Amministrazione finanziaria”, onde si sarebbe in presenza di “un regolare contratto di deposito ex lege, in forza del quale il depositario Ministero delle Finanze vanta una mera relazione custodiale con il bene, di cui risulta a tal titolo unicamente detentore.

A conferma di questa prospettazione si riproduce, quindi, un ampio passo della motivazione di una decisione dello stesso Tribunale di Salerno (in persona dello stesso Magistrato che ha pronunciato la sentenza qui impugnata), la quale l’avrebbe fatta propria asserendo che l’esclusione della qualificazione come deposito irregolare della relazione fra il Ministero e le somme depositate discenderebbe dall’art. 4 del citato D.M., là dove, attribuendo alla s.p.a. – sia pure con soggezione alla separazione organizzativa e contabile – la funzione di gestione dei rapporti trasferiti al Ministero delle Finanze e, quindi, fra questi il servizio dei depositi definitivi, comporterebbe che il Ministro non possa impiegare i fondi depositati, che sarebbero collocati in una contabilità speciale con un vincolo di destinazione finalizzato alla restituzione ai soggetti depositanti ovvero agli enti cauzionati e, quindi, costituirebbe una gestione separata.

L’illustrazione del motivo è conclusa dal seguente quesito di diritto: “se possa il Ministero dell’Economia e delle Finanze ritenersi proprietario di somme (già di competenza della Cassa Depositi e Prestiti) ricevute in deposito, posto che in forza del combinato disposto del D.Lgs. n. 284 del 1999, art. 1, comma 1, lett. c) e del D.M. 5 dicembre 2003, art. 2, comma 1, alla Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. spetta ora il servizio di “gestione dei fondi” provenienti dalle Pubbliche Amministrazioni”.

3.1. Con il secondo motivo si deduce “violazione e/o falsa applicazione dell’art. 75 c.p.c., commi 1 e 2, nonchè del D.M. 5 dicembre 2003, art. 4, comma 2, lett. c), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3” e si “eccepisce la carenza di legittimazione processuale passiva in capo al Ministero dell’Economia e delle Finanze conseguente al difetto di titolarità delle somme oggetto del pignoramento”.

Si sostiene che, avendo il Ministero la posizione di custode delle somme pignorate, non potrebbe avere legittimazione processuale a “resistere nella controversia in esame” disgiunta dalla “attribuzione sostanziale dei poteri sostanziali sul bene”. Essa spetterebbe alla s.p.a. Cassa Depositi e Prestiti, cui sarebbe “astrattamente riferibile la titolarità sostanziale delle somme interessate dall’aggressione esecutiva e tutte le facoltà e i poteri processuali che ne costituiscono il riflesso”.

Il motivo si conclude con il seguente quesito di diritto: “se, nell’ambito di un procedimento per espropriazione forzata avente per oggetto somme affluenti alla contabilità speciale di girofondi n. 1019 e rappresentanti i depositi definitivi, già di competenza della Cassa Depositi e Prestiti, sia legittimato a stare in giudizio in qualità di esecutato il Ministero dell’Economia e delle Finanze, apparato del tutto privo della titolarità delle somme oggetto di pignoramento, giacchè mero custode delle stesse”.

4. – Il ricorso appare gradatamente inammissibile per plurime ragioni e comunque manifestamente infondato.

La prima ragione di inammissibilità è che nessuno dei due motivi prospettati critica specificamente le rationes decidendi sulle quali il Tribunale ha fondato la sua decisione.

Essa è basata su tre alternative rationes, che il Tribunale prospetta l’una di seguito all’altra secondo il loro ordine logico.

4.1. – La prima è che il Ministero, che si dice avere prospettato come ragione di opposizione l’esistenza sulla somma pignorate soltanto di un rapporto custodiate quale motivo della dedotta impignorabilità, non avrebbe dato alcuna prova dell’affermazione, contenuta nel ricorso in opposizione, secondo cui le somme giacenti sulla contabilità speciale n. 1019 ad esso intestata presso il terzo pignorato, cioè la Banca d’Italia, Tesoreria Provinciale dello Stato- Sezione di Salerno, costituivano oggetto del “depositi definitivi” già di competenza della Cassa Depositi e Prestiti, la cui gestione compete al Ministero. Non si sarebbe data, cioè, la prova della riferibilità delle somme al preteso rapporto custodiale.

Riguardo a tale ratio decidendi, che da sola sarebbe sufficiente a giustificare la reiezione dell’opposizione e che afferisce alla dimostrazione dell’allegazione circa la relazione custodiale, il ricorso non svolge alcuna considerazione e, pertanto, essa, non essendo stata impugnata, è passata in cosa giudicata, con la conseguenza che, se pure fossero pertinenti alla residua alternativa motivazione i due motivi prospettati, il ricorso sarebbe inammissibile.

4.2. – La seconda ratio decidendi, enunciata chiaramente per absurdum per il caso che non fosse valida la prima (come rivela l’inciso “Ciò senza considerare l’intima contraddizione …”), è rappresentata dall’asserto che, se pure fosse stata dimostrata la tesi del rapporto meramente custodiale e non proprietario sulle somme, ne sarebbe seguita la conseguenza che il rimedio esperibile per far valere l’altrui proprietà delle somme sarebbe spettato alla Cassa Depositi e Prestiti s.p.a. ai sensi dell’art. 619 c.p.c., quale terzo rotolare della proprietà sui beni pignorati e non al Ministero quale debitore esecutato con il rimedio ai sensi dell’art. 615 c.p.c., comma 2.

Anche tale ragione di decisione, valida subordinatamente alla rilevata mancanza di prova dell’allegazione, ma da sola sufficiente a giustificare il rigetto dell’opposizione (evidentemente per insussistenza di una contestazione sul diritto di procedere all’esecuzione in ragione della non assoggettabilità del bene pignorato, ancorchè di proprietà dell’esecutato) non è attinta in alcun modo dal ricorso.

4.3. – In fine, la terza ulteriormente subordinata motivazione che trovasi enunciata dalla sentenza impugnata è nel senso della inconfigurabilità comunque di un vincolo di impignorabilità sulle somme. Si tratta di motivazione che viene enunciata evocando il principio di diritto di cui a Cass. n. 15601 del 2005 ed evidenziando (anche con richiami di altre ipotesi in cui invece è stato così disposto) che non sussiste alcuna disposizione di legge impositiva del vincolo di impignorabilità delle somme staggite a carico del Ministero esecutato.

Anche di tale motivazione i due motivi non si fanno carico in alcun modo.

4.4. Va notato che la pretesa motivazione richiamata nell’esposizione del primo motivo di ricorso non si rinviene in alcun modo nella sentenza impugnata ed è, all’evidenza, un passo motivazionale di un’altra sentenza (in ipotesi) dello stesso Tribunale.

4.5. Dalla circostanza che i due motivi non si fanno carico della effettiva pluriarticolata motivazione della sentenza impugnata, deriva l’inammissibilità del ricorso alla stregua del principio di diritto secondo cui “Il motivo d’impugnazione è rappresentato dall’enunciazione, secondo lo schema normativo con cui il mezzo è regolato dal legislatore, della o delle ragioni per le quali, secondo chi esercita il diritto d’impugnazione, la decisione è erronea, con la conseguenza che, in quanto per denunciare un errore bisogna identificarlo e, quindi, fornirne la rappresentazione, l’esercizio del diritto d’impugnazione di una decisione giudiziale può considerarsi avvenuto in modo idoneo soltanto qualora i motivi con i quali è esplicato si concretino in una critica della decisione impugnata e, quindi, nell’esplicita e specifica indicazione delle ragioni per cui essa è errata, le quali, per essere enunciate come tali, debbono concretamente considerare le ragioni che la sorreggono e da esse non possono prescindere, dovendosi, dunque, il motivo che non rispetti tale requisito considerarsi nullo per inidoneità al raggiungimento dello scopo. In riferimento al ricorso per Cassazione tale nullità, risolvendosi nella proposizione di un “non motivo”, è espressamente sanzionata con l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 cod. proc. civ., n. 4″ (Cass. n. 359 del 2005, seguita da numerose conformi).

5. – Va chiarito che l’inammissibilità del ricorso non verrebbe meno se, con notevole sforzo di immaginazione si reputasse che la seconda ratio decidendi – quella sull’essere stato esperito il rimedio di cui all’art. 615 c.p.c., mentre invece il rimedio sarebbe stato quello di cui all’art. 619 c.p.c. e legittimato ad esperirlo sarebbe stata la s.p.a. Cassa Depositi e Prestiti – e la terza ratio decidendi sarebbero state “sostanzialmente ed implicitamente” impugnate, rispettivamente con il secondo motivo e con le deduzioni del primo motivo, con argomenti che, anche senza farsi espressamente carico della motivazione della sentenza impugnata sono idonei ad incrinarne la validità, in quanto prospettano questioni di diritto che sono logicamente preliminari a quelle esaminate dalla motivazione stessa e che, non richiedendo accertamenti di fatto, sarebbero state legittimante introdotte in sede di legittimità.

Se anche si ammettesse quanto appena ipotizzato, resterebbe, infatti, ferma la mancata impugnazione della prima ratio, con la conseguenza che sarebbe applicabile il principio di diritto, secondo cui “Allorquando la sentenza assoggettata ad impugnazione sia fondata su due diverse “rationes decidendi”, idonee entrambe a giustificarne autonomamente le statuizioni, la circostanza che l’impugnazione sia rivolta soltanto contro una di esse, e non attinga l’altra, determina una situazione nella quale il giudice dell’impugnazione (ove naturalmente non sussistano altre ragioni di rito ostative all’esame nel merito dell’impugnazione) deve prendere atto che la sentenza, in quanto fondata sulla “ratio decidendi” non criticata dall’impugnazione, è passata in cosa giudicata e desumere, pertanto, che l’impugnazione non è ammissibile per l’esistenza del giudicato, piuttosto che per carenza di interesse” (Cass. n. 14740 del 2005; in alternativa, secondo altro orientamento, avallato da Cass. sez. un. n, 16602 del 2005, ma senza farsi carico degli argomenti dell’altro, verrebbe in rilievo proprio la carenza di interesse).

Il ricorso resterebbe, dunque, inammissibile.

6. – Per ragioni di completezza ed in considerazione del carattere seriale della tipologia di controversia in esame, il Collegio, se lo crederà opportuno, potrà, inoltre e comunque rilevare l’infondatezza dei due motivi.

6.1. In ordine al secondo motivo, che è logicamente preliminare, si dovrebbe rilevare che è infondato, perchè, là dove, nella prospettiva che le somme pignorate siano di pertinenza della s.p.a.

Cassa Depositi e Prestiti ed il Ministero sia solo custode, sostiene che la legittimazione processuale ai sensi dell’art. 75 c.p.c., a “resistere nella controversia” sarebbe stata della detta Cassa, in disparte l’improprietà del riferimento a quella legittimazione, piuttosto che alla legittimazione in senso sostanziale, che è il concetto nella sostanza evocato, trascura di considerare innanzitutto che il ricorrente non “resiste” nel giudizio di cognizione avente ad oggetto l’opposizione all’esecuzione, ma è Esso stesso ad averlo introdotto esercitando la relativa azione e, dunque, se l’ha fatto pur non essendo titolare del diritto azionato, che è quello all’accertamento della non pignorabilità delle somme in quanto non di propria pertinenza, la sua azione andava respinta nel merito, come l’ha respinta con la seconda ratio decidendi il Tribunale.

In proposito si rileva che è stato già statuito il principio di diritto, secondo cui, sia nella procedura esecutiva mobiliare presso il debitore (artt. 513 e ss. c.p.c.), sia nella procedura di pignoramento mobiliare eseguito nelle forme dell’espropriazione presso terzi (artt. 543 ss. cod. proc. civ.), se, da parte del debitore, si sostenga, una volta avvenuto il pignoramento nel primo caso e dopo la positiva dichiarazione del terzo nel secondo, il difetto di titolarità del bene pignorato, invocando una declaratoria di ineseguibilità del medesimo, deve ritenersi proposta, per l’effetto, una vera e propria opposizione all’esecuzione, sulla quale diviene obbligatoria una pronuncia la quale, peraltro, non potrà che dichiarare inammissibile detta opposizione, attesa la carenza di legittimazione, ex latere debitoris, ad eccepire che la cosa pignorata presso di sè o il terzo non gli appartiene, per competere tale interesse esclusivamente a quest’ultimo (cui è attribuito, ex art. 619 cod. proc. civ., uno specifico rimedio per tutelarlo), nonchè per effetto dell’intervenuto completamento del procedimento di individuazione della cosa assoggettata ad espropriazione all’esito della dichiarazione resa dal terzo medesimo, che consente al processo esecutivo di poter proseguire, escludendo la possibilità di un parallelo giudizio di accertamento promosso dal debitore (così in motivazione – in modo impreciso trasfusa nella massima del C.E.D. – Cass. n. 7059 del 1997).

E’ appena il caso di rilevare che nella fattispecie la prospettazione del Ministero -sempre intesa, al di là del riferimento formale alla legittimazione processuale, come evocativa della legittimazione sostanziale – non è nel senso che l’ostacolo alla sua soggezione all’esecuzione quale soggetto passivo della pretesa esecutiva sia implicazione della pretesa situazione di custodia delle somme pignorate, in quanto essa stessa legittimo ostacolo all’attuazione della pretesa esecutiva sulle somme (per un caso in cui, invece, a fondamento dell’opposizione all’esecuzione era stata dedotto proprio il vincolo nascente da una situazione di custodia, si veda Cass. n. 20634 del 2006), bensì nel senso che l’ostacolo all’esecuzione sia l’inesistenza della sua proprietà delle somme e la riferibilità ad altro soggetto (cioè la Cassa Depositi e Prestiti s.p.a., sulla cui natura di soggetto avente personalità giuridica e, quindi, “altro” rispetto al Ministero, si veda Cons. Stato, sez. 6^, 12 febbraio 2007, n. 550, secondo la quale: “Va riconosciuta la natura pubblicistica alla cassa depositi e prestiti spa, atteso che essa possiede i tre requisiti, cui la normativa nazionale, ricalcando quella comunitaria, subordina l’attribuzione della qualifica di organismo di diritto pubblico, in quanto: a) il requisito della personalità giuridica è soddisfatto dalla veste di spa; b) la sottoposizione ad una influenza pubblica non è in contestazione, trattandosi di spa inizialmente a totale partecipazione pubblica; c) la gestione di parte della sua attività è servizio pubblico teso al soddisfacimento di bisogni della collettività non aventi carattere industriale o commerciale (tenuto conto che il soddisfacimento di tali bisogni non presuppone necessariamente la non imprenditorialità della gestione, ma la funzionalizzazione della stessa al loro specifico soddisfacimento)”). Si tratta, quindi, della deduzione proprio della situazione astratta legittimante l’opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c., cioè la titolarità della proprietà del bene esecutato da parte di altro soggetto, terzo rispetto al debitore esecutato. Il Ministero, cioè, non ha fatto valere la sua pretesa situazione di custode di un bene altrui come ostacolo all’attuazione del diritto da realizzare esecutivamente nei suoi confronti, ma ha fatto valere direttamente la situazione di proprietà in capo alla s.p.a. Cassa depositi e Prestiti delle somme come ostacolo all’esecuzione.

6.2. Si rileva ancora che l’infondatezza del motivo non verrebbe meno se la prospettazione del secondo motivo, in quanto formalmente riferita ad un difetto di legittimazione processuale, si scrutinasse – al di là della mancanza dei riferimenti normativi – come evocativa della disciplina stabilità dal citato D.M. esso stabilisce, art. 4, comma 2, lett. c), fra l’altro, che “Per l’esercizio della funzione inerente alla gestione dei rapporti trasferiti al Ministero dell’economia e delle finanze e alle attività di cui all’art. 2, comma 2, la CDP S.p.a. provvede tra l’altro a: (….) c) rappresentare a tutti gli effetti, anche in giudizio, il Ministero dell’economia e delle finanze”. Si potrebbe intendere il motivo come volto a prospettare un difetto di legittimazione processuale del Ministero, nel senso che esso avrebbe dovuto stare in giudizio tramite la Cassa depositi e Prestiti.

Senonchè, così inteso il motivo, la conseguenza sarebbe che il ricorso dovrebbe essere inammissibile, in quanto esso sarebbe stato proposto dal Ministero direttamene e non dal soggetto che per la cennata disposizione normativa (avente carattere non regolamentare e, quindi, di fonte operante allo stesso livello di quelle primarie per volontà di legge: D.L. n. 269 del 2003, art. 5, comma 3, convertito con modificazioni nella L. n. 326 del 2003) doveva rappresentarlo in giudizio.

Nè, d’altro canto, sarebbe ipotizzabile un’applicazione in sede di legittimità dell’art. 182 c.p.c., comma 1.

D’altro canto, il diritto azionato dal Ministero è quello di accertamento negativo del diritto di procedere all’esecuzione verso di esso sulle somme e, quindi, è stato prospettato come diritto inerente l’azione di accertamento negativo della possibilità che abbia luogo l’attuazione della pretesa esecutiva in quanto riferibile passivamente al Ministero come tale e non come gerente per conto altrui le somme depositate. Se il Ministero fosse stato esecutato come gerente avrebbe dovuto, infatti, assumere la posizione di terzo debitor debitoria e si sarebbe dovuto trattare di esecuzione a carico del soggetto asseritamente titolare delle somme. Il diritto oggetto di accertamento negativo, dunque, nulla ha a che fare con la detta gestione, perchè è un diritto riferibile al soggetto giuridico rappresentato dal Ministero in quanto soggetto passivo della pretesa esecutiva (che ha pacificamente titolo in una vicenda che nulla ha a che fare con la gestione).

In sostanza, non essendosi il Ministero presentato come terzo attinto in concreto dall’esecuzione in quanto gerente le somme depositate, ma avendo agito come soggetto esecutato, bene Esso avrebbe agito direttamente e non tramite la rappresentanza della Cassa.

L’opposizione avrebbe dovuto essere svolta con la rappresentanza della cassa solo se volta a prospettare una situazione di terzietà della titolarità delle somme e, quindi, un’opposizione ai sensi dell’art. 619 c.p.c..

7. In riferimento al primo motivo, si deve rilevare che la questione da esso prospettata, cioè quella del difetto di titolarità del credito relativo alle somme di cui trattasi in quanto allocate presso la tesoreria provinciale della sezione della Banca d’Italia (id est presso il soggetto che nella specie riveste la qualità di terzo pignorato), per avere il Ministero – è questo il senso della prospettazione – soltanto la qualificazione di soggetto gerente le stesse ai sensi del D.L. n. 269 del 2003, art. 5, commi 1 e 3, convertito nella L. n. 326 del 2003 (secondo cui “La titolarità del servizio depositi di cui al D.Lgs. 30 luglio 1999, n. 284, art. 1, comma 1, lett. a), è trasferita al Ministero dell’economia e delle finanze”) esclusivamente sotto il profilo del loro ricevimento sull’apposito conto presso i servizi di tesoreria e senza ulteriori possibilità di utilizzo, non avrebbe potuto essere esaminata, perchè si sarebbe trattato di una questione non deducibile con l’opposizione all’esecuzione ai sensi dell’art. 615 c.p.c. dal Ministero esecutato, bensì dal soggetto assunto come titolare delle somme, cioè la Cassa Depositi e Prestiti ai sensi dell’art. 619 c.p.c..

Invero, poichè si è già veduto che il debitore esecutato non può dedurre come motivo di opposizione all’esecuzione il fatto che il bene esecutato non sia nella sua titolarità, all’esame del motivo si sarebbe potuto procedere solo se (a parte la prima ratio decidendi imperniata sull’assenza di dimostrazione della pertinenza delle somme, o meglio del credito) non fosse sussistita nella decisione impugnata la seconda, basata proprio sull’inammissibilità per quella ragione del rimedio dell’art. 615 c.p.c..

Peraltro, la Corte di cassazione, in mancanza del rilievo d’ufficio della improponibilità del rimedio dell’art. 615 c.p.c., da parte del giudice di merito, avrebbe dovuto certamente rilevare d’ufficio tale inammissibilità, sotto il profilo che si sarebbe trattato di un’ipotesi in cui la causa non avrebbe potuto essere proposta con quella qualificazione (art. 382 c.p.c., comma 3)”.

p. 2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione in ordine ai plurimi profili di inammissibilità del ricorso. Inammissibilità che va, pertanto, senz’altro dichiarata.

p. 3. Le spese del giudizio di Cassazione seguono la soccombenza e si liquidano in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna il ricorrente alla rifusione alla resistente delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in Euro mille, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2010

 

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