Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9204 del 19/04/2010

Cassazione civile sez. III, 19/04/2010, (ud. 11/03/2010, dep. 19/04/2010), n.9204

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FINOCCHIARO Mario – Presidente –

Dott. MASSERA Maurizio – Consigliere –

Dott. SEGRETO Antonio – Consigliere –

Dott. VIVALDI Roberta – Consigliere –

Dott. FRASCA Raffaele – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ordinanza

sul ricorso proposto da:

R.C., elettivamente domiciliato in ROMA, presso la

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avv. CAMERO ROBERTO,

giusta procura speciale a margine; del ricorso;

– ricorrente –

contro

ORDINE PROVINCIALE DI FIRENZE DEI MEDICI CHIRURGHI E DEGLI

ODONTOIATRI in persona del legale rappresentante pro-tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DARDANELLI 13, presso lo

studio dell’avvocato TANGARI SALVATORE, che lo rappresenta e difende,

giusta procura speciale in calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

COMMISSIONE CENTRALE PER GLI ESERCENTI LE PROFESSIONI SANITARIE,

PROCURA DELLA REPUBBLICA DI FIRENZE, MINISTERO DEL LAVORO DELLA

SALUTE E DELLE POLITICHE SOCIALI;

– intimati –

avverso la decisione n. 68/2008 della COMMISSIONE CENTRALE PER GLI

ESERCENTI LE PROFESSIONI SANITARIE di ROMA del 27.10.08, depositata

il 04/03/2009;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio

dell’11/03/2010 dal Consigliere Relatore Dott. RAFFAELE FRASCA;

udito per il controricorrente l’Avvocato Salvatore Tangari che si

riporta agli scritti, chiedendo la condanna alle spese.

E’ presente il P.G. in persona del Dott. PIERFELICE PRATIS che si

riporta alla relazione scritta.

 

Fatto

RITENUTO IN FATTO

Quanto segue:

p. 1. Il Dottor R.C. ha proposto ricorso per Cassazione avverso la decisione n. 68 del 4 marzo 2009, con la quale la Commissione Centrale per gli Esercenti le Professioni Sanitarie ha respinto il ricorso da lui proposto avverso la Delib. 20 febbraio 2006, con cui l’Ordine dei Medici Chirurghi e degli Odontoiatri della Provincia di Firenze gli aveva irrogato la sanzione disciplinare dell’avvertimento.

Al ricorso – che è stato notificato al predetto Ordine, al Ministero del Lavoro, della Salute e delle Politiche Sociali, al Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Firenze ed alla stessa Commissione Centrale – ha resistito con controricorso soltanto l’Ordine.

p. 2. Il ricorso è soggetto alla disciplina delle modifiche al processo di Cassazione, disposte dal D.Lgs. n. 40 del 2006, che si applicano ai ricorsi proposti contro le sentenze ed i provvedimenti pubblicati a decorrere dal 2 marzo 2006 compreso, cioè dalla data di entrata in vigore del D.Lgs. (art. 27, comma 2 di tale D.Lgs.).

p. 3. Ricorrendo le condizioni per la decisione con il procedimento di cui all’art. 380 bis c.p.c. è stata redatta relazione ai sensi di tale norma, che è stata notificata agli avvocati delle parti e comunicata al Pubblico Ministero presso la Corte.

Diritto

CONSIDERATO IN DIRITTO

Quanto segue:

p. 1. Nella relazione redatta ai sensi dell’art. 380 bis c.p.c., si è osservato quanto segue:

“(…) 3. – Il ricorso sembra inammissibile per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, cioè dell’esposizione del fatto.

Invero, a tale funzione dovrebbero adempiere le pagine dalla prima alla terza del ricorso, espressamente dedicate al “fatto”. Senonchè, in esse si tace completamente in ordine ai fatti posti a fondamento della contestazione disciplinare, che viene genericamente individuata esclusivamente nel paradigma deontologico asseritamente violato secondo la Commissione Disciplinare per gli iscritti all’Albo dei Medici Chirurghi della Provincia di Firenze, cioè con le seguenti espressioni: “di avere tenuto comportamenti contrari ai doveri di rispetto della dignità”.

In tal modo, risulta totalmente mancante l’identificazione dei fati storici oggetto della contestazione, i quali, del resto, non vengono nemmeno individuati nella successiva esposizione dei motivi.

L’esposizione del fatto risulta, pertanto, anche a volerla ricostruire sulla base della esposizione dei motivi, come pure è ammissibile, del tutto insufficiente (si vedano, fra le tante, Cass. n. 7825 del 2006, n. 4403 del 2006 e – quanto al principio, secondo cui, ai fini della sanzione di inammissibilità per inosservanza del requisito di cui all’art. 366 c.p.c., n. 3, non è possibile distinguere fra esposizione del tutto omessa ed esposizione insufficiente, Cass. n. 1959 del 2004).

Ne consegue l’impossibilità di scrutinare i motivi.

4. – In ogni caso, sembrerebbero sussistere altre ragioni di inammissibilità o di infondatezza manifesta del ricorso, riferite ai singoli motivi.

4.1. – In riferimento al primo motivo, si rileva che con esso si deduce “omessa, insufficiente contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5). Omessa valutazione e ammissione di istanza istruttoria esenziale ai fini del decidere”.

Si tratta di motivo che è articolato senza il rispetto dell’art. 366 c.p.c., n. 6: a) sia sotto il profilo dell’omessa indicazione della sede in cui sarebbe esaminabile, se prodotto, il ricorso alla Commissione centrale nel quale si dice articolata l’istanza istruttoria (al riguardo non si dice se esso sia stato prodotto con il “fascicolo di parte procedimento C.C.PP.SS.”, che figura indicato tra le produzioni in calce al ricorso, nè si fa riferimento alla sua eventuale presenza nel fascicolo d’ufficio); b) sia sotto il profilo dell’omessa esposizione del contenuto dell’istanza che sarebbe stata formulata nel detto ricorro, il che determina violazione del principio di autosufficienza, del quale l’art. 366 c.p.c., n. 6, costituisce il precipitato normativo (con riferimento alla indicazione specifica degli atti processuali, si veda, fra le tante, Cass. (ord.) n. 26266 del 2008).

4.2. Riguardo al secondo motivo – con cui si deduce “violazione/falsa applicazione dell’art. 51 c.p.c., D.P.R. n. 221 del 1950, art. 64, art. 111 Cost., comma 2, (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3) – si osserva che la mera lettura del quesito di diritto che ne conclude l’illustrazione palesa la sua manifesta infondatezza, sotto il profilo che la situazione descritta come “interesse diretto” che avrebbe dovuto giustificare l’obbligatorietà dell’astensione, la cui mancanza avrebbe determinato la nullità della deliberazione di irrogazione della sanzione, appare assolutamente inesistente per come descritta e, semmai, avrebbe dovuto essere posta a base di una istanza di ricusazione, sulla cui decisione di eventuale rigetto si sarebbe potuta incentrare ogni doglianza alla Commissione Centrale.

Il quesito di diritto allude infatti come situazione che, in base alle norme evocate avrebbe dovuto giustificare l’obbligatoria astensione di alcuni membri della Commissione di disciplina irrogatrice della sanzione, la circostanza del “ruolo dirigenziale in seno all’ASL (OMISSIS), cioè nell’ente che aveva il rapporto di convenzione con il ricorrente e che, in riferimento ad esso aveva nel contempo irrogato una sanzione riguardo a detto rapporto lavorativo (oggetto di contestazione giudiziale) e segnalato all’Ordine la vicenda ai fini delle valutazioni deontologiche di sua competenza.

Ebbene, siffatto ruolo dirigenziale, a parte la genericità della sua indicazione, non individua in astratto l’interesse cui allude l’art. 51 c.p.c., n. 1, il quale è stato proprio a proposito del giudizio disciplinare medico, così definito: “L’interesse che legittima all’astensione ed alla ricusazione ai sensi dell’art. 51 cod. proc. civ., n. 1, cui fa rinvio l’art. 64 del regolamento approvato con D.P.R. 5 aprile 1950, n. 221, non è l’interesse che legittimerebbe il giudice ad essere parte dello stesso giudizio o di altro giudizio avente il medesimo contenuto, ma è l’interesse ad una certa soluzione della lite, anzichè ad un’altra. In applicazione di tale principio rientra nell’ambito della previsione legislativa il caso in cui si giudichi intorno alla valutazione ed alla configurazione giuridica di una certa situazione giuridica ed il giudice si presenti come possibile titolare di pretese che si fondino sulla stessa situazione e sopra una certa qualificazione, anzichè un’altra, della situazione medesima” (Cass. sez. un. n. 3024 del 1968; più di recente, Cass. n. 742 del 2002). Alla stregua di tale nozione la mera posizione dirigenziale di alcuni dei detti membri avrebbe potuto integrare interesse personale e diretto solo ove essi fossero stati i dirigenti che avevano adottato il provvedimento sanzionatolo disciplinare relativo all’ambito del rapporto collaborativo di lavoro. In quel caso e solo in qual caso, dovendo giudicare come membri del collegio disciplinare proprio del fatto storico riguardo al quale avevano esercitato le loro funzioni e riguardo al quale l’ASL avrebbe potuto chiedere conto del loro operato, si sarebbe potuto configurare l’interesse diretto.

La situazione descritta nel quesito avrebbe potuto comportare solo un’istanza di ricusazione. Sicchè, viene in rilievo il seguente principio di diritto: “La sentenza pronunciata da un giudice che abbia violato l’obbligo di astenersi, di cui all’art. 51 cod. proc. civ., n. 1, è nulla soltanto se quel giudice aveva un interesse proprio e diretto nella causa, tale da porlo nella qualità di parte del giudizio. Negli altri casi la violazione dell’obbligo di astensione può costituire solo motivo di ricusazione, con la conseguenza che quella violazione resta ininfluente se la relativa istanza non è tempestivamente proposta” (Cass. n. 12263 del 2009).

Si tratta di un principio che deve trovare a maggior ragione applicazione in riferimento alla Commissione di disciplina, che, com’è noto, è un organo amministrativo (Cass. n. 4657 del 2006).

Se la stessa considerazione del quesito non palesasse l’infondatezza manifesta del motivo e si scendesse alla lettura di quest’ultimo, andrebbe confermata la stessa valutazione, con l’unica conseguenza che la motivazione della sentenza impugnata andrebbe corretta nei sensi indicati (in sostanza la Commissione centrale avrebbe dovuto considerare insussistente la nullità della deliberazione della Commissione di disciplina perchè la situazione lamentata avrebbe dovuto essere dedotta con istanza di ricusazione).

p. 4.3. Il terzo motivo (indicato come 2) denuncia un vizio ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, ma non si conclude con e non contiene un momento di sintesi espressivo della c.d. “chiara indicazione”, di cui all’art. 366 bis c.p.c.. E’ da avvertire che se nelle intenzioni del ricorrente essa dovesse identificarsi nelle parti in neretto alla pagina tredici del ricorso, in quanto tali espressioni non sono idonee ad identificare il fatto controverso e le ragioni di decisività del vizio motivazionale, cui la censura si dovrebbe riferire. Esse, infatti, contengono riferimento ad un atto presupposto e ad un atto consequenziale senza alcuna specificazione idonea ad individuare la relazione da cui emergerebbero tali due qualificazioni. Sicchè il requisito della “chiarezza” sarebbe completamente insussistente.

Inoltre, la censura espressa da questo motivo si fonda sul tenore del ricorso rivolto alla Commissione Centrale, al quale si fa generico rinvio: viene ancora in rilievo l’art. 366 c.p.c., n. 6.

p. 4.4. Il quarto motivo (indicato come 3^) denuncia ancora “motivazione illogica, insufficiente, travisamento dei fatti (sub 3.

dell’atto di ricorso dinanzi alla C.E.PP.SS.). Omessa, insufficiente, contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia (ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5)”.

Anche questo motivo non contiene e non si conclude con il momento di sintesi di cui all’art. 366 bis c.p.c., ed anche in questo caso si rileva che, se nelle intenzioni del ricorrente esso si dovesse identificare nelle espressioni neretto nelle pagine ventisette e ventotto, si dovrebbe rilevare che esse sono all’uopo inidonee, atteso che si sviluppano sulla base di un riferimento del tutto generico ad una serie di entità del tutto astratte e generiche (dichiarazioni di parte non meglio specificate, atti posti a base del convincimento del primo giudice anch’essi non meglio specificati, “casi dimostrati di apprezzamento” anch’essi non individuati).

D’altro canto, se si superasse l’inammissibilità ai sensi dell’art. 366 bis c.p.c., la lettura dell’illustrazione del motivo paleserebbe l’inosservanza del principio di autosufficienza, giacchè in essa si riproduce per otto pagine il contenuto letterale del ricorso alla Commissione centrale, che, però, evoca una serie di emergenze degli atti, di cui si suppone che Essa avrebbe dovuto prendere visione nell’esercizio dei suoi poteri di giudice del merito. In questa sede di legittimità il principio di autosufficienza avrebbe richiesto, invece, la riproduzione ed indicazione della sede in cui sarebbero stati esaminabili da parte della Corte.

Il motivo, pertanto, apparirebbe comunque inammissibile ai sensi dell’art. 366 c.p.c., n. 6.

Conclusivamente il ricorso sembra dover essere gradatamente dichiarato inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, ovvero rigettato per manifesta infondatezza (tenuto conto che uno dei motivi non appare inammissibile ma appunto infondato)”.

p. 2. Il Collegio condivide le argomentazioni e le conclusioni della relazione, alle quali nulla è necessario aggiungere, tenuto conto che non sono stati mossi ad esse rilievi.

p. 3. Il ricorso è, pertanto, dichiarato inammissibile per violazione dell’art. 366 c.p.c., n. 3, atteso che la mancanza del requisito previsto da tale norma sussiste e determina l’assorbimento delle altre valutazioni indicate nelle relazione.

Le spese del giudizio di Cassazione seguono la soccombenza nel rapporto fra ricorrente e resistente. Se ne fa liquidazione nel dispositivo.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso. Condanna parte ricorrente alla rifusione al resistente delle spese del giudizio di Cassazione, liquidate in euro milleduecento, di cui duecento per esborsi, oltre spese generali ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile, il 11 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 19 aprile 2010

 

 

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