Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9204 del 02/04/2021

Cassazione civile sez. III, 02/04/2021, (ud. 25/11/2020, dep. 02/04/2021), n.9204

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GRAZIOSI Chiara – Presidente –

Dott. SCRIMA Antonietta – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GUIZZI Stefano Giaime – Consigliere –

Dott. GORGONI Marilena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 31531/2018 proposto da:

OPERA PIA ISTITUTO S LUCIA ISTITUZIONE PUBBLICA ASSISTENZA E

BENEFICIENZA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo

studio dell’avvocato TIZIANA MONTEROSSO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPINA MONTEROSSO;

– ricorrente –

contro

L.G.G., G.A., G.D.,

L.G.M.C.;

– intimati –

nonchè da:

L.G.G., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA FRATTINA,

119, presso lo studio dell’avvocato DANIELE VENTURI, rappresentata e

difesa dall’avvocato ANTONIO SANGIORGI;

– ricorrente incidentale –

contro

OPERA PIA ISTITUTO S LUCIA ISTITUZIONE PUBBLICA ASSISTENZA E

BENEFICIENZA, in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA GERMANICO 172, presso lo

studio dell’avvocato TIZIANA MONTEROSSO, rappresentata e difesa

dall’avvocato GIUSEPPINA MONTEROSSO;

– controricorrente al ricorso incidentale –

e contro

G.A., G.D., L.G.M.C.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 584/2018 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 9/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

25/11/2020 dal Consigliere Dott. ANTONIETTA SCRIMA.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Il Tribunale di Palermo, con sentenza del 15 giugno 2016, pronunciando sull’opposizione a Decreto Ingiuntivo proposta dall’Opera Pia Reclusori Femminili II Gruppo Palermo nei confronti di L.G.G., confermò il Decreto Ingiuntivo n. 2115 del 2012, con cui, su ricorso della locatrice L.G., era stato ingiunto alla menzionata Opera Pia, conduttrice dell’immobile sito in (OMISSIS), concesso in locazione con contratto del 6 aprile 2011, di pagare la somma di Euro 9.900,00 a titolo di quota pari al 50% delle rate del canone scadute da settembre 2011 a maggio 2012, oltre agli interessi sino al soddisfo ed alle spese del procedimento monitorio; rigettò le domande riconvenzionali formulate da G.A. e G.D., chiamati in causa quali comproprietari locatori della restante quota del 50% dell’immobile in questione; compensò interamente tra le parti le spese di lite.

Avverso la sentenza del Tribunale propose appello l’Opera Pia Istituto S. Lucia, Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza, già Opera Pia Reclusori Femminili II Gruppo Palermo.

Con separati atti si costituirono in secondo grado L.G.G. ed i germani G.A. e D., chiedendo il rigetto dell’impugnazione e proponendo, a loro volta, appello incidentale.

Si costituì pure L.G.M.C., intervenendo volontariamente in giudizio quale successore a titolo particolare di G.A. e D., facendo espressamente propria ogni deduzione, eccezione, difesa, domanda e richiesta formulata dai G., alla cui posizione integralmente si associò.

La Corte di appello di Palermo, con sentenza n. 584/18, pubblicata in data 9 maggio 2018, rigettò l’appello principale e rigettò l’appello incidentale proposto da L.G.G.; in parziale accoglimento dell’appello incidentale proposto da G.A. e D. ed in parziale riforma della sentenza impugnata, condannò l’appellante conduttrice al pagamento della somma di Euro 28.723,31, quale quota parte dei canoni di locazione dovuti ai detti locatori, per il periodo da settembre 2011 a gennaio 2016, in relazione al primo piano dell’immobile sito in (OMISSIS), nonchè della somma di Euro 42.780,25, quale quota parte dei canoni di locazioni, per il periodo da giugno 2012 a gennaio 2016, in relazione al piano terra; dichiarò inammissibile l’intervento di L.G.M.C.; compensò tra le parti le spese di quel grado; dispose la correzione della sentenza impugnata, nel senso che, a pag. 15, al rigo 4 laddove è scritto “fino al mese di giugno 2012” deve leggersi “a far data dal mese di giugno 2012”.

Avverso la sentenza della Corte di merito l’Opera Pia Istituto S. Lucia, Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza, ha proposto ricorso per cassazione, basato su due motivi e illustrato da memoria.

L.G.G. ha resistito con controricorso contenente pure ricorso incidentale basato su un unico motivo e illustrato da memoria.

Gli intimati non hanno svolto attività difensiva in questa sede.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Ricorso principale

1. Con il primo motivo di ricorso principale, lamentando “Violazione

e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 112 c.p.c. e art. 2697 c.c.)”, l’Opera Pia Istituto S. Lucia, Istituzione Pubblica di Assistenza e Beneficenza, sostiene che la Corte territoriale non avrebbe “fatto corretta applicazione delle norme” appena menzionate “in quanto, interpretando erroneamente i fatti di causa, ha ritenuto che le doglianze della ricorrente fossero riferite allo specifico fine indicato nel contratto di locazione e non all’assenza di agibilità che impedisce qualsiasi destinazione del bene, con ciò adottando una decisione che si allontana dai fatti controversi”.

La ricorrente, in particolare, sostiene di aver lamentato, a prescindere dalla destinazione prevista in contratto, che il bene locato non possedeva, neppure al momento della stipula del contratto di locazione, la normale attitudine a realizzare la sua funzione economico sociale, difettando dell’agibilità; deduce che la Corte di merito avrebbe errato nel ritenere che già la sola esistenza del certificato di agibilità del 1952 fosse dirimente e che, in ogni caso, la conduttrice non avrebbe provato che dalle irregolarità urbanistiche rappresentate derivasse il diniego dell’agibilità; assume, altresì, che sarebbe inconferente e non condivisibile l’affermazione della Corte di appello in ordine all’onere del conduttore di ottenere le specifiche autorizzazioni per l’attività da svolgere, evidenziando che l’assenza di un valido certificato di agibilità escluderebbe la possibilità di adibire il bene a qualsiasi destinazione, per cui la prova della necessità di un nuovo certificato di agibilità

sarebbe “insita proprio nella sua assenza”. Pertanto, ad avviso della

ricorrente, essendo il bene locato oggetto di domanda di sanatoria e, quindi, privo della concessione edilizia in sanatoria, la conduttrice, non potendo godere dell’immobile per alcun uso, non potrebbe essere tenuta ad adempiere l’obbligo del pagamento del canone sino a che il locatore non ottenga la detta concessione.

1.1. Il motivo va disatteso.

La ricorrente ha riportato in ricorso testualmente solo le conclusioni dell’atto di opposizione a d.i. ma non anche “le ragioni espresse in premessa” di tale atto a fondamento della chiesta risoluzione e/o annullamento del contratto di locazione e neppure i “motivi” esposti a fondamento, nel predetto atto, dell’eccepita eccezione di inadempimento da parte del conduttore, cui si fa espresso riferimento nelle ricordate conclusioni (v. ricorso, soprattutto p. 6 e 7).

Pertanto, non viene precisata nel motivo all’esame, soprattutto con riferimento alla causa petendi, la domanda in relazione alla quale la ricorrente lamenta i vizi indicati in epigrafe, con conseguente difetto di specificità.

In sostanza, peraltro, la ricorrente chiede, sulla base di documentazione (bozza di c.t.u. relativa ad altro giudizio) prodotta inammissibilmente per la prima volta in sede di legittimità, una rivalutazione del merito non consentita in questa sede.

Va infine osservato che, comunque, la Corte di merito ha evidenziato che l’appellante si era limitata ad assumere l’inefficacia” del certificato di agibilità in atti, in forza della mera allegazione dell’esecuzione dei successivi abusi dei quali aveva omesso persino di indicare natura, tipologia ed entità, nè aveva “dimostrato, a tutto volerle concedere, che all’asserita irregolarità urbanistica dell’edificio fosse conseguito il diniego di rilascio della certificazione in parola o anche solo delle autorizzazioni necessarie all’esercizio dell’attività per cui l’immobile era stato locato”.

Sicchè, a tutto voler concedere, deve ritenersi che la Corte di merito abbia comunque tenuto conto anche delle doglianze che la ricorrente assume in ricorso, sia pure con i limiti sopra evidenziati, di aver formulato in relazione “all’assenza di agibilità che impedisce qualsiasi destinazione del bene” e le ha espressamente esaminate (al riguardo v. sentenza impugnata p. 4 e 5), con conseguente infondatezza del motivo, sotto tale profilo. Peraltro, la stessa Corte territoriale ha rimarcato, richiamando espressamente l’allegato 7 fasc. I grado L.G. (il cui tenore, oltre ad essere riportato in sintesi nella sentenza impugnata, risulta testualmente riportato nel controricorso L.G. a p. 11), che la conduttrice (nella persona del commissario straordinario pro tempore), ricevuta la copia del certificato di agibilità del 1952, aveva espressamente esonerato i locatori da ogni onere e/o responsabilità per eventuali adeguamenti, rilascio di eventuali autorizzazioni, concessioni, licenze, certificazioni relativamente alle unità immobiliari tutte locate; risulta, altresì, da tale atto (verbale di consegna) che la parte conduttrice si era anche assunta tutti gli oneri relativi ad eventuali modifiche della destinazione d’uso dei locali locati, ove necessari, per svolgere l’attività socio-sanitaria prevista nel contratto di locazione; infine, la Corte territoriale ha pure evidenziato che, in ogni caso, la conduttrice aveva mantenuto in via continuativa la detenzione den’immobile ed aveva, pertanto, goduto del bene locato, così facendo corretta applicazione dei principi già affermati a questa Corte (Cass. 16/06/2014, n. 13651 e succ. conf.; v. anche Cass. 26/0//2016, n. 15377).

2. Con il secondo motivo, rubricato “Violazione e falsa applicazione di norme di diritto (art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, in relazione all’art. 1439 c.c.)”, la ricorrente censura la sentenza impugnata nella parte in cui ha escluso il dolo omissivo dei locatori.

Sostiene l’Opera pia ricorrente che se il locatore le avesse rappresentato che la destinazione dell’immobile era “uso scuola”, tenuto conto che la conduttrice aveva manifestato la finalità della locazione e che risulta in contratto che il bene sarebbe stato destinato ad attività socio-sanitaria e considerata anche la clausola di cui all’art. 9 del contratto, che escluderebbe il mutamento di destinazione, pena la risoluzione, essa non avrebbe stipulato il contratto di locazione, nè diversamente sarebbe emerso in giudizio, per cui le affermazioni del giudice di merito, non suffragate da prove, circa l’effettiva informazione data dalla parte locatrice alla conduttrice e, quindi, della conoscenza dell’inettitudine del bene ad essere locato, renderebbero la pronuncia viziata e, comunque, non condivisibile.

In particolare la ricorrente sostiene che l’affermazione del Tribunale e della Corte di merito, secondo cui sarebbe proprio in forza delle dichiarazioni rese dal legale rappresentante dell’Opera Pia che si deduce la piena conoscenza dell’immobile in capo a quest’ultima, non sarebbe sorretta nè dalla logica nè da fatti concretamente dimostrati.

2.1. Il motivo è inammissibile, proponendo lo stesso questioni di fatto e tendendo, in sostanza, ad una rivalutazione del merito, non consentita in questa sede.

Ricorso incidentale.

3. Con l’unico motivo di ricorso incidentale si lamenta la violazione degli art. 91 e 92 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, per avere la Corte di merito rigettato l’appello incidentale relativo alla compensazione delle spese di lite del primo grado ed avere compensato le spese di lite del giudizio di appello, pur non ricorrendone – ad avviso di L.G.G. – le condizioni previste dalla legge.

In particolare, la ricorrente incidentale sostiene che non sussisterebbe la soccombenza reciproca nè in primo nè in secondo grado, sicchè essa non potrebbe essere posta a fondamento dell’operata compensazione delle spese, e che le ulteriori motivazioni espresse dal Tribunale e fatte proprie dalla Corte di merito, quali la complessità della ricostruzione della vicenda, la peculiarità delle questioni fattuali e giuridiche e le collegate ragioni di equità, si risolverebbero in argomentazioni astratte, di cui non si rinverrebbe “alcuna esplicita e concreta spiegazione”.

3.1. Osserva il Collegio che la questione delle spese ha radice diretta, per la sua natura ad essa accessoria, nella regiudicanda principale della causa, id est il suo effettivo complesso comprende sia il thema decidendum che ha suscitato il giudizio, sia il tema accessorio che dal giudizio discende per regolarne gli effetti in termini di risvolti patrimoniali del diritto di difesa.

Ne consegue, logicamente, l’incidenza ineludibile della questione principale e della sua concreta conformazione – anche in riferimento a come si è, appunto, elaborata e risolta attraverso gli strumenti processuali nel percorso sequenziale e attraverso l’esercizio della giurisdizione nella fase conclusiva – sulla soluzione della questione accessoria. Soluzione che il legislatore ha dato con una regola generale (causazione/soccombenza) e una regola speciale, di adeguamento alla peculiarità, che costituisce eccezione rispetto alla regola generale: la compensazione delle spese, che tiene conto delle peculiarità oggettive ma anche soggettive emergenti dalla decisione della questione principale.

E’ evidente per logica, quindi, che l’utilizzazione della regola speciale – ovvero, si ripete, la deroga alla regola generale – trae fondamento e ragioni dalle peculiarità della decisione “principale”, e perciò trova riflesso in quanto già esternato in via motivazionale a tal riguardo. E’ agevole ritenere che fosse questa la ratio dell’originaria omessa previsione di una motivazione specifica sulle spese nel codice di rito: la implicita contestualizzazione in tutto quanto esposto e ragionato fino al momento in cui si devono regolare le spese.

Per evitare l’abuso del processo, il legislatore ha progressivamente focalizzato l’istituto delle spese, per quanto qui interessa, passando dall’assenza di obbligatoria menzione, nella motivazione, delle ragioni di compensazione (per cui consistente giurisprudenza, pur non assoluta, riteneva proprio non necessario motivarla) alla sua espressa previsione, e poi alla individuazione sempre più rigorosa e limitativa dei presupposti dell’applicazione di tale regola speciale.

Ciò non incide, tuttavia, sulle modalità di svolgimento della motivazione, cioè dell’adempimento dell’obbligo generale dell’esercizio della giurisdizione, che ha fonte anche superiore al codice di rito: l’art. 111 Cost..

La motivazione, quindi, va eseguita sulla questione della compensazione delle spese allo stesso modo in cui va eseguita quella resa per ogni altra questione, e parimenti va interpretata, pertanto, in modo corrispondente. Non deve dunque escludersi, nella motivazione inerente alla compensazione delle spese, come strumento motivazionale il riferimento implicito ma del tutto logico a quanto anteriormente descritto motivando sulle peculiarità della regiudicanda, ovvero non è superabile la necessità, per interpretare come tutti gli altri anche tale passo motivazionale, di contestualizzarlo con quanto già esternato, nel senso che si rapporti e riprenda implicitamente quanto già motivato in relazione al thema decidendum principale da cui le spese, e anche la loro compensazione, infatti dipendono. Pertanto, nel caso di specie, il riferimento, neppure del tutto implicito, alle peculiarità della causa e alla difficoltà per dirimerla va inteso come contestualizzazione della questione delle spese e, quindi, spiegazione della compensazione anche con quanto prima rilevato, dovendo d’altronde il giudice valutare, in punto di fatto, l’esistenza o meno, nel caso di specie, dei presupposti dell’esercizio della sua discrezionalità (cioè, qui, dell’applicazione della regola speciale) come indicati dal legislatore: esistenza che, appunto, deve essere espressa con la motivazione, la cui censura da parte del giudice di legittimità è pari a quella di ogni motivazione, trovando limite nel minimum costituzionale, e non potendo quindi espandersi in modo più penetrante e severo che per le altre questioni motivate.

Alla luce delle considerazioni che precedono, deve ritenersi che i Giudici di merito non siano incorsi nei lamentati vizi con il motivo all’esame, evidenziandosi che nelle specie va applicato ratione temporis l’art. 92 c.p.c., nella formulazione introdotta dalla L. n. 69 del 2009, art. 45, comma 11 e quindi, nella versione anteriore alle modifiche apportate dal D.L. 12 settembre 2014, n. 132, convertito con L. 10 novembre 2014, n. 162, che comunque l’appello incidentale proposto dalla L.G. è stato rigettato, sicchè la medesima è soccombente a tale riguardo, e che l’espressione “gravi ed eccezionali ragioni”, indica una nozione necessariamente elastica (Cass., ord., 15/05/2018, n. 11815; Cass., ord., 7/08/2019, n. 21157) cui ben può ricondursi quanto esplicitato, sia pure nei sensi sopra precisati, dai Giudici di merito.

4. Conclusivamente, sia il ricorso principale che quello incidentale devono essere rigettati.

5. Non ricorrono i presupposti per l’accoglimento dell’istanza avanzata dalla controricorrente ricorrente incidentale ex art. 96 c.p.c., comma 3.

6. Stante la reciproca soccombenza, vanno compensate per intero tra le parti costituite le spese del presente giudizio di legittimità mentre non vi è luogo a provvedere per le spese nei confronti degli intimati, non avendo gli stessi svolto attività difensiva in questa sede.

7. Va dato atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello da corrispondere per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis (Cass., sez. un., 20/02/2020, n. 4315), evidenziandosi che il presupposto dell’insorgenza di tale obbligo non è collegato alla condanna alle spese, ma al fatto oggettivo del rigetto integrale o della definizione in rito, negativa per l’impugnante, del gravame (v. Cass. 13 maggio 2014, n. 10306).

PQM

La Corte rigetta il ricorso principale e il ricorso incidentale; compensa per intero tra le parti costituite le spese del presente giudizio di legittimità; ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, se dovuto, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello da corrispondere per i rispettivi ricorsi, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Terza Civile della Corte Suprema di Cassazione, il 25 novembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2021

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