Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 92 del 04/01/2017

Cassazione civile, sez. I, 04/01/2017, (ud. 25/10/2016, dep.04/01/2017),  n. 92

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BERNABAI Renato – Presidente –

Dott. SCALDAFERRI Andrea – Consigliere –

Dott. DE CHIARA Carlo – Consigliere –

Dott. DI MARZIO Mauro – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9288-2012 proposto da:

CREDITO ARTIGIANO S.P.A., (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 67, presso l’avvocato STEFANO

PARLATORE, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PAOLO POTOTSCHNIG, giusta procura a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A., N.G.;

– intimati –

nonchè da:

N.G., (c.f. (OMISSIS)), elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA FASANA 16, presso l’avvocato RICCARDO RAMPIONI, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato GIUSEPPE IANNACCONE,

giusta procura in calce al controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CREDITO ARTIGIANO S.P.A., FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A.;

– intimati –

nonchè da:

FALLIMENTO (OMISSIS) S.P.A. (c.f. (OMISSIS)), in persona del Curatore

dott. L.C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

MARIANNA DIONIGI 17, presso l’avvocato ROBERTO SANTUCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato SALVATORE SANZO, giusta procura

a margine del controricorso e ricorso incidentale;

– controricorrente e ricorrente incidentale –

contro

CREDITO ARTIGIANO S.P.A. (c.f./p.i. (OMISSIS)), in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

DI SAN NICOLA DA TOLENTINO 67, presso l’avvocato STEFANO PARLATORE,

che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato PAOLO

POTOTSCHNIG, giusta procura a margine del ricorso principale;

– controricorrente al ricorso incidentale –

contro

N.G.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 3091/2011 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 14/11/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/10/2016 dal Consigliere Dott. MAURO DI MARZIO;

udito, per il ricorrente, l’Avvocato FEDERICA DE SIMONE, con delega,

che ha chiesto l’accoglimento del ricorso principale;

udito, per il controricorrente e ricorrente incidentale N.,

l’Avvocato RICCARDO RAMPIONI che ha chiesto l’accoglimento del

proprio ricorso incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per il rigetto sia del ricorso

principale, sia dei ricorsi incidentali.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. – Il Fallimento (OMISSIS) S.p.A. ha convenuto in giudizio dinanzi al Tribunale di Milano il Credito Artigiano S.p.A. e ne ha chiesto condanna al pagamento della somma di Euro 35.531,20 con accessori e spese.

A fondamento della domanda il Fallimento attore ha sostenuto che la banca, presso la quale aveva aperto un conto corrente strumentale allo svolgimento della procedura, in data 18 giugno 1998, sulla base di un modulo di autorizzazione al prelevamento di somme sottoscritto dall’allora curatore N.G., ma non compilato nella parte dedicata all’indicazione del destinatario del pagamento, aveva emesso un assegno circolare dell’importo oggetto della domanda, consegnato a G.C., collaboratrice del N., in favore di tale B.C., che del Fallimento non era creditore.

Il Credito Artigiano S.p.A. ha resistito alla domanda e chiesto ed ottenuto autorizzazione a chiamare in causa N.G. a fini di manleva.

Quest’ultimo ha resistito alla domanda contro di lui spiegata.

p. 2. – Il Tribunale di Milano ha accolto la domanda attrice condannando la banca al pagamento, in favore del Fallimento, della somma richiesta, ed ha inoltre parzialmente accolto la domanda di manleva, condannando il N. a rifondere alla banca la metà dell’importo menzionato.

3. – Con sentenza del 14 novembre 2011 la Corte d’appello di Milano ha rigettato l’appello principale proposto dal Credito Artigiano S.p.A. e gli appelli incidentali del Fallimento e del N..

Ha ritenuto in breve la Corte territoriale:

-) che la banca, negli scritti difensivi finali, non avesse formulato un’eccezione di difetto di legittimazione attiva del Fallimento, ma avesse contestato il merito dell’avversa pretesa, sull’assunto che il Fallimento fosse ad un tempo danneggiante, per essere stato sottoscritto il modulo di prelevamento di somme dal suo curatore, e danneggiato;

-) che l’eccezione fosse tardiva ed infondata, poichè confondeva l’illecito causativo del danno, addebitabile al curatore in dipendenza della condotta di una sua collaboratrice, autrice dell’attività distrattiva, con l’inadempimento di natura contrattuale posto in essere dalla banca per avere emesso l’assegno circolare nonostante il modulo di prelevamento di somme non fosse integralmente compilato;

-) che l’azione proposta dal Fallimento, a mezzo del curatore, si fondasse non su un illecito, ma su un contratto di deposito e fosse diretta alla conservazione della massa, sicchè non poteva negarsi la legittimazione del Fallimento all’azione di risarcimento del danno scaturente dall’inadempimento contrattuale;

-) che la banca avrebbe dovuto rifiutare il pagamento in presenza di un mandato mancante dell’indicazione del beneficiario dell’assegno, non potendosi attribuire alcun significato a prassi difformi in essere presso il Tribunale peraltro rimaste indimostrate;

-) che sussisteva il nesso di causalità tra inadempimento e danno, dal momento che il comportamento diligente della banca avrebbe impedito l’esecuzione del pagamento in favore di un soggetto estraneo al fallimento;

-) che il N. rispondeva ai sensi dell’art. 2049 c.c. dell’operato della propria collaboratrice G., la quale aveva dato corso all’attività distrattiva e che correttamente di concorso dello stesso N. era stato stimato nella misura della metà,

sull’evidente presupposto della ritenuta efficienza causale paritetica delle distinte condotte;

-) che la transazione intervenuta in corso di giudizio tra il Fallimento ed il N., transazione alla quale la banca era rimasta estranea, non risultava riguardare il rapporto oggetto del giudizio ed aveva riguardato non l’intero debito ma la sola quota attribuibile al medesimo;

-) che l’appello del Fallimento, secondo il quale l’integrale responsabilità andava addebitata alla banca e non all’ex curatore, era inammissibile per carenza di interesse.

p. 4. – Contro la sentenza il Credito Artigiano S.p.A. ha proposto ricorso per cassazione per 10 motivi.

Il Fallimento (OMISSIS) S.p.A. e N.G. hanno resistito con distinti controricorsi contenenti ricorsi incidentali rispettivamente per quattro motivi e per un motivo.

La banca ha propria volta depositato controricorso.

Memorie ex art. 378 c.p.c. sono state depositate da Credito Valtellinese S.c.a.r.l. incorporante per fusione Credito Artigiano S.p.A., e dal Fallimento.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

5. – Il ricorso principale contiene 10 motivi.

5.1. – Il primo motivo è rubricato: “Violazione e falsa applicazione delle norme di cui all’art. 81 c.p.c. e art. 43 L. Fall., in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Per un verso si sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, il Credito Artigiano S.p.A. aveva formulato eccezione di difetto di legitimatio ad causam del Fallimento attore, difetto comunque rilevabile d’ufficio, dal momento che il Fallimento non era terzo rispetto all’illecita condotta posta in essere dal curatore, ma ne era esso stesso artefice per il tramite del proprio organo.

Per altro verso si pone l’accento sull’assunto secondo cui il Fallimento sarebbe legittimato ad agire esclusivamente nelle controversie relative a rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento.

p. 5.2. – Il secondo motivo è rubricato: “Violazione delle norme di cui agli articoli 112, 167 e 277 c.p.c. sul piano della qualificazione come eccezione in senso proprio delle difese della Banca dirette a contestare la titolarità del diritto vantato dal Fallimento, in relazione ai motivi di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe errato nel qualificare come eccezione in senso proprio, tardivamente formulata, la questione concernente la legittimazione del Fallimento, tanto più che la banca aveva anche dedotto il fatto colposo del creditore di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, senz’altro rilevabile d’ufficio.

5.3. – Il terzo motivo è rubricato: “Violazione delle norme di cui agli artt. 1227, 1218 e 1453 c.c. sul piano del riconoscimento di un diritto del Fallimento al risarcimento dei danni, in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Si sostiene che la Corte d’appello avrebbe violato le norme indicate in rubrica giacchè il Fallimento non sarebbe titolare di un diritto contrattuale al risarcimento dei danni quando, come nel caso in esame, il fallito e, a fortiori, il curatore siano responsabili dell’inadempimento.

p. 5.4. Il quarto motivo è rubricato:

“Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia, in relazione al motivo di cui all’art. 360, comma 1, n. 5, con riguardo all’individuazione delle circostanze rilevanti per valutare l’inadempimento dedotto dal Fallimento”.

La deduzione del vizio motivazionale si fonda sull’assunto che la condotta causativo del danno, ossia la riscossione dell’importo portato dall’assegno in discorso, era stata posta in essere da una collaboratrice del curatore e, dunque, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, doveva essere addebitata a quest’ultimo.

p. 5.5. – Il quinto motivo è rubricato: “Violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 112 c.p.c. per il mancato esame di questioni sollevate dalla banca in merito al suo comportamento ed alla sua pretesa responsabilità, in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4”.

Si sostiene che, avuto riguardo alla previsione dell’art. 34 L. Fall., così come a quella dell’art. 1176 c.c., essa banca non aveva modo di rifiutare il pagamento dell’assegno per l’incompletezza del modulo di richiesta.

p. 5.6. Il sesto motivo è rubricato:

“Violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli articoli 34 legge fallimentare e all’art. 1176 c.c. in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riferimento alle disposizioni che regolano i mandati di pagamento da parte di organi fallimentari”.

Si ribadisce che la Banca, dopo aver verificato il rilascio del mandato di pagamento da parte del giudice delegato, in conformità all’art. 34 L. Fall., avrebbe provveduto correttamente all’emissione dell’assegno, anche considerando, ai sensi dell’art. 1176 c.c., le prassi operanti presso l’ufficio giudiziario.

p. 5.7. Il settimo motivo è rubricato:

“Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, con riferimento all’individuazione del comportamento che avrebbe integrato l’inadempimento della banca”.

Si evidenzia che la vicenda si era svolta in piena conformità alle prassi in essere presso il Tribunale di Milano, prassi che, proprio in seguito all’operato della collaboratrice del N., erano state successivamente modificate.

p. 5.8. – L’ottavo motivo è rubricato: “Violazione e falsa applicazione delle norme di cui agli artt. 1223 e 2697 c.c. in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, con riguardo al preteso nesso causale tra inadempimento e danno risarcibile”.

Si sostiene che non sarebbe stato il comportamento della Banca a consentire ovvero ad agevolare la distrazione delle somme dal patrimonio del Fallimento, bensì quello del Curatore.

Si aggiunge che la Corte d’appello avrebbe altresì errato nel non tener conto della transazione intervenuta tra il Fallimento ed il N..

5.9. Il nono motivo è rubricato:

“Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia concernente il riscontro del nesso causale e il quantum della pretesa risarcitoria azionata dal Fallimento, in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Si evidenzia che il Fallimento aveva intrapreso varie iniziative nei confronti del N., della sua collaboratrice G., autrice della condotta, e del beneficiario B.: si lamenta conseguentemente che la Corte d’appello non avrebbe motivato in proposito, ritenendo anzi irrilevante la transazione tra il Fallimento ed il N..

5.10. – Il decimo motivo è rubricato: “Violazione delle norme di cui agli artt. 1223 e 2056 c.c. con riguardo alla liquidazione del quantum del diritto di regresso azionato dalla banca in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Si sostiene che il danno sarebbe stato causato per intero dalla condotta del N..

p. 6. – Il ricorso principale va respinto.

6.1. – Il primo motivo è infondato.

Il Fallimento ha agito nei confronti della Banca odierna ricorrente assumendo di aver aperto presso di essa un conto corrente intestato alla procedura ed ha lamentato che la convenuta si fosse resa inadempiente degli obblighi contrattuali in essere tra le parti, poichè avrebbe emesso e pagato un assegno circolare in favore di un soggetto che non era creditore del Fallimento, mentre la banca si è difesa sostenendo, tra l’altro, che il Fallimento non poteva dolersi di un inadempimento che esso stesso aveva cagionato, sia pure per il tramite dell’allora curatore N., a causa dell’incompleto riempimento del modulo di autorizzazione al prelevamento di somme.

Ciò premesso, dopo aver rammentato che la legitimatio ad causam, attiva e passiva, consiste nella titolarità del potere di promuovere o subire un giudizio in ordine al rapporto sostanziale dedotto, secondo la prospettazione della parte, con conseguente rilevabilità officiosa in ogni stato e grado del procedimento, mentre l’effettiva titolarità del rapporto controverso attiene al merito della controversia (da ultimo Cass. 12 agosto 2016, n. 17092), è agevole osservare, per un verso, che correttamente il giudice del merito ha ritenuto la legittimazione ad causam del Fallimento, il quale, guardando alla prospettazione da esso avanzata, ha posto a fondamento della domanda la sussistenza di un rapporto astrattamente idoneo a giustificarla, e, per altro verso, che altrettanto correttamente lo stesso giudice ha considerato come attinente non già al profilo della legittimazione alla causa, bensì al merito della controversia la difesa della Banca, fondata sull’assunto che l’inadempimento non ad essa fosse addebitabile, bensì allo stesso Fallimento.

Per il resto, la violazione dell’art. 43 L. Fall., il quale concerne la legittimazione processuale del Fallimento in ordine ai rapporti processuali facenti capo al fallito, non è richiamata a proposito, dal momento che, nel caso in esame, il Fallimento ha esercitato un’azione contrattuale derivante dalla stipulazione di un contratto – quello concernente l’apertura del conto corrente funzionale alla gestione della procedura – da esso conclusa, in vista della ricostituzione dell’attivo fallimentare intaccato dall’inadempimento della banca.

La categoria delle azioni che derivano dal fallimento comprende senz’altro, difatti, quelle azioni relative ai rapporti giuridici posti in essere dalla curatela con i terzi.

6.2. – Il secondo motivo è infondato.

Ed infatti, una volta evidenziato che la Corte d’appello ha correttamente riconosciuto la legittimazione ad causam del Fallimento, qualificando altrettanto correttamente le difese della banca come difese di merito, non può che ritenersi conseguentemente insussistente l’error in procedendo denunciato dalla ricorrente principale.

Nè rileva, dal versante della sussistenza del denunciato “error in procedendo, che la banca avesse dedotto il fatto colposo del Fallimento di cui all’art. 1227 c.c., comma 1, giacchè la Corte d’appello ha scrutinato il punto ed ha ritenuto, con valutazione di merito insindacabile in questa sede, che l’inadempimento fosse addebitabile alla banca.

6.3. – Il terzo motivo, proposto sotto specie di violazione di legge, ma in realtà concernente il merito della vicenda, è inammissibile.

Ed invero la Corte d’appello, sulla base di un giudizio di merito non sindacabile in sede di legittimità, ha ritenuto che la banca non avrebbe dovuto effettuare il pagamento in favore del B. e che, dunque, essa fosse inadempiente dell’obbligazione assunta: il che non ha nulla a che vedere nè con il significato, nè con la portata delle disposizioni invocate dalla ricorrente, bensì con la verifica della concreta sussistenza dell’inadempimento lamentato dal Fallimento.

Vale difatti rammentare che dalla violazione o falsa applicazione di norme di diritto va tenuta distinta la denuncia dell’erronea ricognizione della fattispecie concreta in funzione delle risultanze di causa, ricognizione che si colloca al di fuori dell’ambito dell’interpretazione e applicazione della norma di legge. Il discrimine tra l’una e l’altra ipotesi – violazione di legge in senso proprio a causa dell’erronea ricognizione dell’astratta fattispecie normativa, ovvero erronea applicazione della legge in ragione della carente o contraddittoria ricostruzione della fattispecie concreta – è segnato dal fatto che solo quest’ultima censura, e non anche la prima, è mediata dalla contestata valutazione delle risultanze di causa (Cass. S.U., n. 10313/2006; Cass., n. 7394/2010; Cass., n. 16698/2010; Cass., n. 8315/2013; Cass., n. 26110/2015; Cass., n. 195/2016).

6.4. – Il quarto motivo è inammissibile.

Esso mira difatti a rimettere in discussione l’accertamento compiuto dalla Corte territoriale che ha ritenuto inadempiente la banca per aver effettuato il pagamento di cui si è detto.

E’ in proposito agevole rammentare, difatti, che il “fatto” cui si riferisce il numero 5 dell’art. 360 nel testo applicabile ratione temporis, è un preciso accadimento ovvero una precisa circostanza in senso storico-naturalistico (Cass. n. 21152/2014), fatto che deve essere decisivo, nel senso che la sua corretta considerazione avrebbe condotto a diversa decisione con un giudizio di certezza (Cass. n. 28634/2013; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 24092/2013; Cass. n. 18368/2013; Cass. n. 3668/2013; Cass. n. 14973/2006), mentre inammissibile la revisione del ragionamento decisorio del giudice, non potendo mai la Corte di cassazione – il che è quanto la ricorrente chiede sotto il velo della denuncia di un vizio motivazionale procedere ad un’autonoma valutazione delle risultanze degli atti di causa (Cass. n. 91/2014; Cass. S.U., n. 24148/2013; Cass. n. 5024/2012) e non potendo il vizio consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove in senso difforme da quello preteso dalla parte (Cass. n. 11511/2014; Cass. n. 25608/2013; Cass. n. 6288/2011; Cass. n. 6694/2009; Cass. n. 15489/2007; Cass. n. 4766/2006).

p. 6.5. – Il quinto, sesto e settimo motivo, tra loro collegati, e come tali suscettibili di simultaneo esame, sono inammissibili.

Ed infatti, a fronte dell’accertamento compiuto dalla Corte d’appello, secondo cui la banca avrebbe dovuto rifiutare il pagamento in presenza di un mandato mancante dell’indicazione del beneficiario del titolo (così a pagina 9 della sentenza), dal momento che “la compiuta verifica dell’identificazione dell’esatto avente titolo al prelievo di somme esigeva puntualità ed attenzione da parte dell’istituto di credito depositario, trattandosi di obbligazione strumentale e complementare all’obbligo di custodia e restituzione del denaro affidatogli dalla procedura” (così a pagina 10 della sentenza), le doglianze spiegate si risolvono nella riproposizione delle difese di merito svolte dalla banca e disattese dal giudice di merito.

Trovano in proposito applicazione i principi sinteticamente rammentati al p. 6.4..

p. 6.6. – L’ottavo motivo è inammissibile.

Esso, proposto nella veste di violazione di legge, non è puntato nè sull’individuazione della norma applicata (violazione in senso proprio), nè su un ipotetico errore di sussunzione (falsa applicazione), ma mira ancora una volta a rimettere in discussione l’accertamento in fatto compiuto dalla Corte territoriale in ordine alla sussistenza del nesso di causalità tra l’inadempimento perpetrato dalla banca il verificarsi della perdita subita dal Fallimento.

Trovano in proposito applicazione i principi sinteticamente rammentati al p. 6.3..

p. 6.7. – Il nono motivo, che si sofferma sul tema del nesso di causalità dall’angolo visuale del vizio motivazionale, è inammissibile.

Ed invero, per un verso la Corte d’appello ha ritenuto “indubbio che il comportamento diligente ed esigibile della banca, che nel caso concreto è mancato, avrebbe impedito l’esecuzione di un pagamento in favore di un soggetto estraneo al fallimento”, e, per altro verso, che fosse irrilevante la transazione intervenuta tra il Fallimento ed il N., poichè essa aveva avuto ad oggetto una serie di rapporti tra i quali non era dato rinvenire quello in contestazione (così a pagina 11-12 della sentenza), tanto più che la banca era terza rispetto alla transazione, che, così come non impediva al Fallimento di agire nei suoi confronti, non impediva ad essa banca di agire nei confronti del N..

Sotto il primo aspetto il motivo è inammissibile perchè rimette in discussione il fatto, in violazione dei principi ricordati al p. 6.4..

Sotto il secondo aspetto il motivo inammissibile per difetto del requisito di autosufficienza di cui all’art. 366 c.p.c.: si assume infatti il perfezionamento di una transazione tra il Fallimento ed il N., e si sostiene che per effetto della transazione il Fallimento avrebbe dovuto ridurre le proprie pretese nei confronti della convenuta banca, ma si omette totalmente di precisare quali sarebbero stati i termini di detta transazione ed in quale ipotetica misura essa avrebbe influito sul credito risarcitorio vantato dal Fallimento nei confronti della banca.

p. 6.8. – Il decimo motivo è inammissibile.

Anche in questo caso ciò che la ricorrente richiede la Corte di cassazione è una nuova valutazione in ordine al giudizio di merito concernente l’efficacia causale delle rispettive condotte (della banca e del N.) nella determinazione del pregiudizio patito dal Fallimento.

Trovano in proposito applicazione i principi sinteticamente rammentati al p. 6.4..

p. 7. – Il ricorso incidentale del N. contiene quattro motivi.

p. 7.1. – Il primo motivo è rubricato: “Violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 2049 c.c. in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, non ricorrendo nel caso di specie gli estremi per la configurazione di un’ipotesi di “responsabilità dei padroni e dei committenti” in capo al dottor N.”.

Si sostiene nel motivo che la collaboratrice del N., G.C., avrebbe agito per fini personali senza che il curatore ne sapesse nulla.

p. 7.2. – Il secondo motivo è rubricato: “Insufficiente motivazione circa un punto decisivo della controversia concernente la ritenuta efficienza causale paritetica riscontrata tra il fatto illecito commesso dalla dottoressa G. della condotta della Banca nel cagionare il danno che il Fallimento avrebbe patito, il tutto in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5”.

Si sostiene che non sussisterebbe nesso di causalità tra la condotta della G. ed il danno lamentato dal Fallimento giacchè, se la Banca avesse regolarmente adempiuto al contratto di conto corrente, nessun danno avrebbe mai potuto verificarsi.

7.3. Il terzo motivo è rubricato:

“Insufficiente e contraddittoria motivazione circa un punto decisivo della controversia concernente la rilevanza dell’accordo transattivo stipulato tra il Fallimento e il dottor N., anche tenuto conto della volontà in tal senso espressa in esso dalle parti medesime, in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5″.

Si sostiene che, contrariamente a quanto ritenuto dalla Corte d’appello, la transazione conclusa dal N. a seguito della vicenda originatasi dalla condotta della G. aveva interessato anche il Fallimento (OMISSIS) S.p.A..

p. 7.4.- Il quarto motivo è rubricato:”Violazione degli artt. 1362 c.c. e segg. con riferimento all’accordo transattivo in relazione al motivo di cui all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3”.

Si sostiene che la Corte d’appello, nel ritenere che la transazione stipulata dal N. non impedisse l’esercizio dell’azione di regresso nei suoi confronti per il caso di esito positivo dell’azione intrapresa dal danneggiato, avrebbe violato le regole di ermeneutica contrattuale.

p. 8. – Il ricorso del N. va respinto.

8.1. – Il primo motivo è inammissibile.

La Corte territoriale ha fatto applicazione del ribadito principio secondo cui la responsabilità indiretta di cui all’art. 2049 c.c. per il fatto dannoso commesso da un dipendente postula l’esistenza di un nesso di “occasionalità necessaria” tra l’illecito e il rapporto di lavoro che vincola i due soggetti, nel senso che le mansioni affidate al dipendente abbiano reso possibile o comunque agevolato il comportamento produttivo del danno al terzo (Cass. 15 ottobre 2015, n. 20924): dopo di che ha ritenuto che la G. avesse potuto ottenere l’emissione dell’assegno, e il conseguente pagamento in favore del B., proprio in ragione della sua veste di collaboratrice del N..

Il motivo dunque non investe il significato o la portata applicativa dell’art. 2049 c.c., bensì la valutazione delle risultanze di causa.

Trovano in proposito applicazione i principi sinteticamente rammentati al p. 6.3..

p. 8.2. – Il secondo motivo è infondato.

In generale, in presenza di fatti imputabili a più persone, coevi o succedutisi nel tempo, deve essere riconosciuta a tutti un’efficacia causativa del danno, ove abbiano determinato una situazione tale che, senza l’uno o l’altro di essi, l’evento non si sarebbe verificato, mentre deve attribuirsi il rango di causa efficiente esclusiva ad uno solo dei fatti imputabili quando lo stesso, inserendosi quale causa sopravvenuta nella serie causale, interrompa il nesso eziologico tra l’evento dannoso e gli altri fatti, ovvero quando il medesimo, esaurendo sin dall’origine e per forza propria la serie causale, riveli l’inesistenza, negli altri fatti, del valore di concausa e li releghi al livello di occasioni estranee (Cass. 12 settembre 2005, n. 18094). Inoltre l’accertamento del giudice del merito circa la rilevanza causale delle singole condotte si risolve in un apprezzamento di fatto, che, se adeguatamente motivato, è incensurabile in sede di legittimità (Cass. 7 aprile 1988, n. 2737).

Nel caso di specie la Corte d’appello, attenendosi al principio sopra esposto, ha del tutto plausibilmente ritenuto che il danno subito dal Fallimento trovasse causa tanto della condotta della G., ascrivibile al N. ex art. 2049 c.c., quanto nella condotta della banca, che non avrebbe dovuto emettere e pagare l’assegno in favore del B. non essendo stato integralmente compilato dal curatore l’apposito modulo di autorizzazione al prelevamento di somme Nè risulta dalla sentenza impugnata che la banca avesse dedotto, con i propri motivi di impugnazione, un diverso e minore apporto causale della condotta del curatore rispetto a quello paritetico, peraltro presunto ex art. 2055 c.c., ritenuto dal Tribunale.

p. 8.3. – Il terzo ed il quarto motivo, che per il loro collegamento vanno simultaneamente esaminati, attenendo entrambi al rilievo della transazione intercorsa tra il Fallimento il N., sono inammissibili.

La statuizione adottata in proposito dalla Corte d’appello poggia in effetti su una pluralità di rationes decidendi, e cioè: quella secondo cui la transazione non concerneva il rapporto oggetto del giudizio; quella secondo cui la banca era rimasta estranea alla transazione; quella secondo cui la transazione aveva riguardato la sola quota parte di responsabilità attribuita al N..

Orbene, non solo il N. ha totalmente omesso di illustrare, così come la doglianza della banca in precedenza esaminata, in quali esatti termini la transazione avesse ipoteticamente influito sul credito della banca nei suoi confronti, ma non ha neppure specificamente censurato la ratio decidendi concernente l’estraneità del rapporto in contestazione all’ambito della transazione.

p. 9. – Il ricorso incidentale del Fallimento contiene un solo motivo con cui si denuncia:

“Violazione e falsa applicazione della norma di cui all’art. 100 c.p.c. in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3”.

Sostiene il Fallimento di aver avuto sicuro interesse ad impugnare il capo della sentenza con cui il Tribunale di Milano aveva statuito sull’azione di regresso proposta dalla banca nei confronti del N., giacchè esso Fallimento aveva “rinvenuto un accordo complessivo con il dottor N. (prodotto agli atti proprio dal dottor N. del presente giudizio) in virtù del quale la procedura sarebbe stata chiamata a tenere indenne il menzionato professionista dalla richiesta formulata dalla banca”.

p. 10. – Il motivo è inammissibile per carenza di autosufficienza, giacchè non esplicita (nè indica dove reperire) il contenuto della transazione, nella parte posta a sostegno della doglianza.

p. 11. – Le spese seguono la soccombenza.

PQM

rigetta il ricorso principale e quello del N., inammissibile quello del Fallimento, compensando integralmente tra le parti le spese del grado.

Così deciso in Roma, il 25 ottobre 2016.

Depositato in Cancelleria il 4 gennaio 2017

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