Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9198 del 19/05/2020

Cassazione civile sez. III, 19/05/2020, (ud. 20/12/2019, dep. 19/05/2020), n.9198

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. AMENDOLA Adelaide – Presidente –

Dott. DI FLORIO Antonella – Consigliere –

Dott. POSITANO Gabriele – Consigliere –

Dott. DELL’UTRI Marco – Consigliere –

Dott. PORRECA Paolo – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 25800-2018 proposto da:

B.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIALE REGINA

MARGHERITA 42, presso lo studio dell’avvocato GIOVANNI MUZI,

rappresentato e difeso dagli avvocati VITTORIO NIZZA, FABRIZIO DE

FRANCESCO;

– ricorrente –

contro

L.L., domiciliata ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA DELLA

CORTE DI CASSAZIONE, rappresentata e difesa dall’avvocato

GUGLIELMINA MECUCCI;

BO.FA., domiciliato ex lege in ROMA, presso la CANCELLERIA

DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso dall’avvocato

GUGLIELMINA MECUCCI;

BANCO BPM SPA, elettivamente domiciliato in ROMA, PIAZZA GIUSEPPE

MAZZINI 15, presso lo studio dell’avvocato ENRICO GABRIELLI,

rappresentato e difeso dagli avvocati CARLO PAVESI, STEFANO VERZONI;

– controricorrenti –

e contro

FINANZA & FUTURO BANCA SPA;

– intimata –

avverso la sentenza n. 2673/2018 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 29/05/2018;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

20/12/2019 dal Consigliere Dott. PAOLO PORRECA.

Fatto

RILEVATO

che:

B.P. conveniva in giudizio L.L., Bo.Fa., Banco Popolare soc. coop., in seguito Banco BPM, s.p.a., e la Finanza e Futuro Banca s.p.a., chiedendo la condanna degli stessi, in via solidale, al risarcimento dei danni subiti, quale erede universale di C.D., a causa della condotta illecita della suddetta L. che, quale mandataria del defunto, approfittando della fragilità del medesimo, affetto da morbo di Parkinson, il deducente allegava aver distratto ingenti somme dai conti correnti del “de cuius” di cui la stessa era contitolare o su cui aveva delega ad operare;

il Tribunale, davanti al quale resistevano i convenuti negando addebiti e responsabilità, rigettava la domanda, con pronuncia confermata dalla Corte di appello secondo cui, in particolare:

– dalla consulenza tecnica officiosa contabile era emerso che, nel periodo non inibito dall’eccepita prescrizione decennale, solo due operazioni, per soli 17.582 Euro, presentavano l’oggettiva correlazione che sola poteva costituire idoneo parametro a supporto del sospetto distrattivo avanzato per oltre 2 milioni di Euro, pertanto destinato a restare tale;

– le richieste di ordine di esibizione di ulteriore documentazione bancaria, avanzate dall’attore, erano state condivisibilmente giudicate in prime cure inammissibili perchè esplorative ed elusive degli oneri di parte;

– la missiva inviata dall’attore ai convenuti in data 27 ottobre 2011, che il primo riteneva interruttiva della prescrizione e dunque ampliativa del lasso temporale da rendere oggetto delle necessarie verifiche, non conteneva una precisa richiesta risarcitoria, articolandosi in termini interlocutori confermati dalla finale richiesta di chiarimenti;

– la missiva del 16 ottobre 2002 prodotta dall’attore che la indicava come inviata da C. all’amico T.G., con cui il primo manifestava il venir meno della fiducia nei confronti della segretaria storica L., pretesamente confermativa della gestione dolosa dei conti correnti, non era in alcun modo riferibile al defunto, in quanto priva di sottoscrizione e dattiloscritta, sicchè non poteva integrare neppure un indizio al contempo smentito dalla restante istruttoria che supportava, al contrario, l’ipotesi di una condotta conforme agli accordi e a correttezza della segretaria stessa;

– gli istituti di credito e il promotore finanziario Bo. non avevano motivo di procedere a verifiche posto che la L., cliente conosciuta, aveva l’autorizzazione ad operare con firma separata e senza limiti d’importo, fermo restando che le operazioni sospette erano risultate come visto limitatissime per numero ed importi rispetto alla pretesa;

– non poteva per converso accogliersi la domanda dei convenuti e appellati a titolo di responsabilità processuale aggravata posta l’emersione di alcuni indizi sebbene insufficienti a fondare la domanda respinta; avverso questa decisione ricorre per cassazione B.P., articolando otto motivi;

resistono con controricorso L.L., Bo.Fa., Banco BPM, s.p.a., Deutsche Bank s.p.a., quale incorporante Finanza e Futuro Banca, s.p.a.;

hanno depositato memorie: B.P., L.L., Bo.Fa., Deutsche Bank s.p.a.;

Diritto

CONSIDERATO

che:

con il primo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 2938 c.c., art. 167 c.p.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di rilevare che l’eccezione di prescrizione era stata sollevata tempestivamente, in prime cure, da un solo convenuto, Banco Popolare soc. coop., poi Banco BPM, s.p.a., sicchè non avrebbe potuto valere per gli altri;

con il secondo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935,2946,2943 c.c., poichè la Corte di appello avrebbe errato ritenendo priva di effetti interruttivi la missiva del 27 ottobre 2011, che invece conteneva idonea diffida a definire il risarcimento;

con il terzo motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione degli artt. 2935,2941 c.c., n. 8, art. 2946, art. 1722 c.c., n. 4, in uno all’omesso esame di un fatto decisivo e discusso e alla carente e contraddittoria motivazione con conseguente nullità della sentenza, poichè la Corte di appello:

– avrebbe, per un verso, fatto decorrere la prescrizione, a ritroso, dalla notifica della citazione in giudizio, del 31 agosto 2012, e, per altro verso, inspiegabilmente, fatto decorrere, in avanti nel tempo, la stessa prescrizione dal rilascio della procura generale al futuro erede universale B., del 27 settembre 2004, quando lo stesso era stato così posto nelle condizioni di verificare le movimentazioni bancarie e relative a investimenti di C.;

– non avrebbe considerato che la prescrizione non poteva decorrere nei termini affermati per le ipotesi di occultamento dei fatti;

– non avrebbe tenuto conto del fatto che C. era stato interdetto con nomina di un tutore già nel (OMISSIS) e conseguente estinzione della sopra ricordata procura gestoria, sicchè, sino alla sua morte avvenuta nel (OMISSIS), il deducente non avrebbe potuto avere adeguata percezione delle ipotesi distrattive, almeno sino agli interessamenti della Guardia di Finanza la quale si era mossa su segnalazione di operazioni sospette effettuata dalla Banca d’Italia;

con il quarto motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso e la carente ovvero contraddittoria motivazione, con conseguente nullità della sentenza, poichè la Corte di appello avrebbe limitato irragionevolmente i quesiti peritali alle oggettive corrispondenze tra prelievi e accrediti, senza estendere l’indagine e la valutazione a tutte le operazioni, anche appositamente frazionate, riconducibili a fattispecie distrattiva;

con il quinto motivo si prospetta la violazione e falsa applicazione dell’art. 210 c.p.c., art. 94 disp. att. c.p.c., D.Lgs. n. 385 del 1993, art. 119 (TUB), poichè la Corte di appello avrebbe errato mancando di rilevare la specialità di quest’ultima normativa in materia di rapporti tra banca e cliente correntista, che avrebbe dovuto imporre l’accoglimento dell’ordine di esibizione;

con il sesto motivo si prospetta l’omesso esame di un fatto decisivo e discusso poichè la Corte di appello avrebbe ignorato le cartelle cliniche e le schede di dimissione ospedaliera prodotte, affermando che non sarebbe stato provato il ricovero, utile al quadro indiziario, nel periodo di alcune condotte indicate come distrattive, in specie su conti correnti, e, analogamente, di condotte d’incasso di alcuni canoni locativi;

con il settimo motivo si prospetta la violazione dell’art. 2702 c.c., l’omessa pronuncia, la carente ovvero contraddittoria motivazione, in uno all’omesso esame di un fatto decisivo e discusso, poichè la Corte di appello avrebbe immotivatamente escluso la rilevanza della missiva del 16 ottobre 2002, di cui in parte narrativa, invocando il diverso regime degli atti negoziali e negando ingresso a istanze di prova orale che avrebbero supportato l’attendibilità del contenuto della lettera, volta a supportare, nel descritto contesto ricostruttivo, il venir meno della fiducia di C. nella sua segretaria nel periodo sospetto;

con l’ottavo motivo si prospetta l’erroneità della sentenza di appello anche per omesso esame di un fatto decisivo e discusso poichè, dalla fondatezza delle censure precedenti, sarebbe dovuta discendere necessariamente quella di addebito ai soggetti bancari e finanziari per omessa diligente cautela e verifica delle condotte sospette.

Ritenuto che:

il primo motivo è inammissibile;

il ricorrente afferma che avrebbero errato entrambi i giudici di merito nel mancare di rilevare la limitata operatività soggettiva dell’eccezione di prescrizione;

si trattava, però, di deduzione che, pertanto, al fine di evitare un giudicato interno, avrebbe dovuto essere sollevata con motivo di appello avverso l’omologa statuizione del giudice di prime cure, cosa che in ricorso non si deduce e dimostra di aver fatto, come necessario ex art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6;

il secondo e quinto motivo, da esaminare congiuntamente per connessione e logicamente in via prioritaria, sono fondati per quanto di ragione;

la giurisprudenza di questa Corte ha chiarito che il potere del correntista di chiedere alla banca di fornire la documentazione relativa al rapporto di conto corrente tra gli stessi intervenuto può essere esercitato, ai sensi dell’art. 119, comma 4 TUB, anche in corso di causa e attraverso qualunque mezzo si mostri idoneo allo scopo (Cass., 11/05/2017, n. 11554);

in altri termini, il titolare di un rapporto di conto corrente ha sempre diritto di ottenere dalla banca il rendiconto in parola, anche in sede giudiziaria, fornendo la sola prova dell’esistenza del rapporto contrattuale, non potendosi ritenere corretta una diversa soluzione sul fondamento del disposto di cui all’art. 210 c.p.c., perchè non può convertirsi un istituto di protezione del cliente in uno strumento di penalizzazione del medesimo, trasformando la sua richiesta di documentazione da libera facoltà ad onere vincolante (Cass., 08/02/2019, n. 3875);

nel caso, dunque, essendo stati specificati i rapporti di conto corrente di riferimento (pag. 45 del ricorso, rispettosa dell’onere ex art. 366 c.p.c., n. 6), e la correlata quanto giustificata finalità di tutela, l’istanza istruttoria avrebbe dovuto essere accolta;

il periodo di riferimento dell’indagine così perimetrata, avrebbe dovuto estendersi al decennio precedente all’interruzione contenuta nella missiva del 27 ottobre 2011 – tempo in cui non era ancora intervenuta la procura e sotteso mandato a Bo. – posto che l’interruzione della prescrizione non è soggetta a particolari oneri formali, e deve certamente ritenersi sussistente quando, sia pure in uno a una richiesta di chiarimenti, si espliciti la pretesa di adempimento ovvero, come nell’ipotesi, risarcitoria (Cass., 25/11/2015, n. 24054, Cass., 04/07/2017, n. 16465, Cass., 18/01/2018, n. 1166);

sotto tale profilo vi è un errore di sussunzione della fattispecie concreta quale accertata, in quella legale astrattamente delineata dalla norma invocata quale correttamente ricostruita;

nè può ostare il rilievo effettuato nel controricorso della Deutsche Bank, s.p.a., per cui, in sede di precisazione delle conclusioni in prime cure, la parte qui ricorrente non aveva instato per la modifica dell’ordinanza che aveva pronunciato sui mezzi istruttori, e per l’accoglimento degli ordini di esibizione: posto che la Corte di appello non ha rilevato l’ipotizzata decadenza disattendendo le istanze istruttorie in parola nel relativo merito, a tal fine sarebbe stato necessario proporre in questa sede un ricorso incidentale condizionato sul punto;

è poi naturalmente vero che la morte del titolare del diritto non permette all’erede di assumere l’azzeramento della prescrizione – come dedotto nel controricorso del Banco BPM, s.p.a. – ma è parimenti vero che, infatti, il decennio prescrizionale cristallizzato dal giudizio sul punto non impugnato, decorreva prima per il “de cuius” poi per l’erede successore nel diritto, sicchè l’interruzione posta in essere da B. avrebbe dovuto ritenersi utile nei sensi sopra ricostruiti;

il terzo motivo è in parte inammissibile, in parte assorbito;

va qui evidenziato, anche in funzione dello scrutinio degli altri motivi, che, posto il doppio rigetto da parte dei giudici di merito, per ragioni che non sono state dimostrate come diverse da parte ricorrente, alla proponibilità della censura motivazionale ex art. 360 c.p.c., n. 5, osta il divieto dell’art. 348 ter c.p.c., comma 5, (Cass., 22/12/2016, n. 26774, Cass., 06/08/2019, n. 20994);

pertanto, fermo quanto detto sulla corretta individuazione del periodo prescrizionale, il ricorrente:

– non ha specificato e dimostrato ex art. 366 c.p.c., nn. 3 e 6, quando e in che termini abbia sollevato nelle fasi di merito la questione degli effetti della interdizione sul periodo di prescrizione, e neppure – quali fatti di occultamento, poi individuati, nei confronti del titolare originario del diritto e quindi nei suoi, sarebbero stati tali da giustificare una diversa valutazione del periodo prescrizionale stesso, atteso che l’allegazione del fatto doloso in parola non può determinare un’indagine istruttoria puramente esplorativa e fondata, cioè, su non meglio precisate ipotesi;

al di fuori di quanto sopra residua solo un inammissibile tentativo di rilettura istruttoria;

il quarto, sesto e settimo motivo, da esaminare congiuntamente per connessione, sono inammissibili;

ferma l’inammissibilità ex art. 348 ter c.p.c., nel contesto di un’ampia motivazione tutt’altro che lesiva dell’art. 132 c.p.c., n. 4, peraltro mai esplicitamente dedotto, le censure si risolvono in una richiesta di rivalutazione fattuale preclusa nel giudizio di legittimità;

ciò sia per quanto riguarda l’idoneità a ritenere concludenti le corrispondenze tra prelievi e accrediti ovvero a valutare le mancanze quali indici d’incasso in contanti, sia per ciò che concerne il valore indiziario della missiva del 16 ottobre 2002;

sul primo punto è d’altro canto chiaro che all’esito della rivalutazione conseguente al rinvio disposto in questa sede, restano aperte le valutazioni istruttorie della Corte di merito, nella piena e libera valutazione delle eventuali inferenze da effettuare sulla base delle possibili nuove acquisizioni documentali e valutazioni temporali;

sul secondo punto, la Corte territoriale ha rilevato che la prospettazione del venir meno della fiducia di C. nella sua segretaria, era smentita da un’articolata congerie di risultanze istruttorie, e in specie:

– gli esiti, negativi d’ipotesi di reato, del procedimento penale che coinvolse la L.;

– la mancanza di ogni iniziativa di C. nei confronti della stessa fino a quella del costituito procuratore di C., B., solo nel 2005, dopo circa tre anni dalla missiva;

– la rinuncia al giudizio di rendiconto formalizzata dallo stesso B. nel 2008;

– la mancanza di rilievo di “mala gestio” del tutore di C.;

ancora una volta ne consegue una mera quanto inammissibile sollecitazione alla revisione istruttoria;

l’ottavo motivo è assorbito;

la censura presuppone infatti un diverso esito istruttorio quale risultante dalla ritenuta fondatezza dei precedenti motivi;

resta logicamente assorbita anche la richiesta di condanna a titolo di responsabilità processuale aggravata formulata da Bo.Fa.;

spese al giudice del rinvio.

P.Q.M.

La Corte, nei sensi di cui in motivazione: accoglie il secondo e quinto motivo, dichiara inammissibili il primo, terzo, quarto, sesto e settimo motivo, assorbito l’ottavo; cassa in relazione a quanto accolto la sentenza impugnata e rinvia alla Corte di appello di Milano perchè, in diversa composizione, pronunci anche sulle spese di legittimità.

Così deciso in Roma, il 20 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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