Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9197 del 02/04/2021

Cassazione civile sez. I, 02/04/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 02/04/2021), n.9197

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 23434/2016 proposto da:

G.R., elettivamente domiciliato in Roma, Via Nemorense n.

100, presso lo studio dell’avvocato Cristina Gotti Porcinari, che lo

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Enrico Faragona,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Banca Intesa San Paolo S.p.a., che ha incorporato per fusione Banca

di Trento e Bolzano S.p.a., in persona del legale rappresentante pro

tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Via di Villa Grazioli n.

15, presso lo studio dell’avvocato Benedetto Gargani, che la

rappresenta e difende unitamente all’avvocato Angelo Zamagni, giusta

procura in calce al controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 207/2016 del TRIBUNALE di TRENTO, pubblicata

il 03/03/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2020 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Tribunale di Trento, pronunciando, con la sentenza enunciata in esergo sull’appello proposto da G.R., per quanto qui ancora rileva, ha respinto la domanda di questo volta a conseguire il rilascio, da parte delle banche in allora convenute, della certificazione prevista dall’art. 83-quinquies TUF onde poter esercitare i propri diritti di azionista nella procedura fallimentare in cui era rimasta coinvolta la società di diritto statunitense AT Home Corporation.

A suffragio del proprio deliberato il giudice d’appello, sulla premessa che stando alle informazioni raccolte da Banca Intesa San Paolo presso un legale americano sarebbe stato impossibile agli azionisti di At Home ottenere il rimborso del capitale investito, residuando al più in loro favore solamente un interesse all’esito della procedura, ha affermato che “da tali basi si evince che, seppur risulta che il G. risulti titolare di azioni At Home Corporation risulta non sussistente un interesse concreto ex art. 100 c.p.c., per l’accoglimento della sua domanda giudiziale”.

Ricorre ora a questa Corte il G. sulla base di quattro motivi; ad essi resiste la sola Banca Intesa San Paolo, quale incorporante dell’altra banca (Banca di Trento e Bolzano) interessata alla vicenda.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Con il primo motivo di ricorso il G. lamenta la violazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, posto che ove avesse voluto decidere ritualmente nei riferiti termini, il Tribunale “facendo buona applicazione dell’art. 101 c.p.c., comma 2, avrebbe dovuto, trattandosi di questione rilevata d’ufficio, rimettere la causa in istruttoria assegnando i termini di legge per il deposito di memorie sul punto”.

Con il secondo motivo di ricorso il G. deduce poi la violazione dell’art. 100 c.p.c., posto che, contrariamente a quanto affermato dal Tribunale, che avrebbe così prestato fede alle informazioni raccolte dalla banca, a discapito dello stesso loro tenore, “non è chi non veda come, nel caso di specie sussista un interesse del ricorrente a poter esercitare tutti i diritti che gli derivano dalla posizione di titolare delle azioni e non solo quelli patrimoniali, interessi quali l’opposizione ai riparti o decisioni del giudice fallimentare che se lasciati alla cura dell’intermediario, potrebbero non essere esercitati o essere in conflitto di interessi con quest’ultimo”.

2.2 Il primo motivo, scrutinabile congiuntamente al secondo in quanto strettamente avvinto a quest’ultimo, è fondato per quanto si dirà.

Il suo accoglimento, cassando la decisione, assorbe e rende superflua la disamina degli ulteriori motivi di ricorso.

2.3. E’ vero, in principio, che al fine di evitare le c.d. decisioni a “sorpresa” o della “terza via”, che si riflettono in pregiudizio del diritto di difesa della parte, l’art. 101 c.p.c., comma 2, abbia codificato il principio, immanente nell’ordinamento per il suo radicamento negli artt. 24 e 111 Cost. e già implicito nell’art. 183 c.p.c., in forza del quale, qualora il giudice intenda porre a base della propria pronuncia una questione rilevata d’ufficio, è tenuto, a pena di nullità, ad assegnare alle parti un termine per il deposito di note di osservazioni riguardo ad essa.

Nel dare qui accesso a questo enunciato non osta la distinzione sul punto tracciata dalla giurisprudenza di questa Corte secondo cui non viola il principio del contraddittorio l’esame d’ufficio di una questione di puro diritto, posto che nel caso in cui il giudice pronunci su di essa senza previamente segnalarla alle parti l’omissione è fonte di un vizio processuale denunciabile con gli ordinari mezzi di impugnazione, diversamente perciò dalle questioni di fatto ovvero miste di fatto e di diritto in relazione alle quali la parte soccombente può dolersi della decisione, sostenendo che la violazione di quel dovere di indicazione ha vulnerato la facoltà di chiedere prove o, in ipotesi, di ottenere una eventuale rimessione in termini (Cass., Sez. U., 30/09/2009, n. 20935). Poichè l’interesse ad agire deve essere concreto ed attuale e richiede non solo l’accertamento di una situazione giuridica, ma anche che la parte prospetti l’esigenza di ottenere un risultato utile giuridicamente apprezzabile e non conseguibile senza l’intervento del giudice, dato che il processo non può essere utilizzato solo in previsione di possibili effetti futuri pregiudizievoli per l’attore (Cass., Sez. II, 24/01/2019, n. 2057), l’utilità della decisione che il giudice è chiamato ad apprezzare mette imprescindibilmente le radici nello scenario fattuale della vicenda, poichè è solo dalla disamina degli aspetti concreti del fatto dedotto dall’attore a fondamento della propria domanda che il giudice è posto in grado di valutare la concretezza e l’attualità del “bisogno” di tutela giurisdizionale.

E’ però avvertenza corrente – se la questione sia perciò deducibile in quanto afferente al fatto ovvero anche al fatto – che essa non ha rilevanza impugnatoria se la parte non prospetti la specifica lesione del diritto di difesa da essa patito in conseguenza della consumata violazione processuale, quantomeno allegando, quale verosimile sviluppo del processo svoltosi nel rigoroso rispetto della norma, l’insussistenza delle circostanze di fatto poste a base della decisione, potendosi vantare un diritto al rispetto delle regole del processo solo se, in dipendenza della loro violazione, ne derivi un concreto pregiudizio (Cass., Sez. III, 22/02/2016, n. 3432; Cass., Sez. V, 23/05/2014, n. 11453; Cass., Sez. III, 30/04/2011, n. 9591).

2.4. Ora nella specie gli ulteriori sviluppi processuali a cui il G. avrebbe potuto dare seguito, qualora l’art. 101 c.p.c., comma 2, fosse stato osservato, sono dedotti nel primo motivo affermando che “l’odierno ricorrente avrebbe potuto produrre ad esempio documentazione più aggiornata sullo stato di liquidazione At Home Corporazione, sulle azioni esperibili, etc.”. Più specifica si rivela la deduzione che al riguardo accompagna il secondo motivo, avendo, come visto, allegato a fondamento della violazione ivi lamentata il fatto che il mancato rilascio della certificazione precluderebbe al deducente l’esercizio di tutti i diritti che gli derivano dalla posizione di titolare delle azioni e non solo quelli patrimoniali, quali, in particolari l’opposizione ai riparti o decisioni del giudice fallimentare, l’accesso alle informazioni sullo stato della procedura, la facoltà di proporre domande e di formalizzare istanze di reclamo e più in generale di esercitare un controllo sull’andamento della procedura e, perfino, sui suoi stessi esiti finali valorizzati dal decidente in funzione di escludere l’interesse ad agire del G..

Tutte queste circostanze, a prescindere dalla loro attendibilità, implicavano comunque, un accertamento di fatto che, ove fosse stato rimesso al contraddittorio delle parti, avrebbe potuto consentire al G. di dispiegare le opportune iniziative processuali volte, insieme, a denunciare la fallacia del rilievo officioso operato nella specie ed a rafforzare la propria posizione processuale al fine di vedere accolta la domanda introdotta con il giudizio. Al contrario la difforme decisione pronunciata dal Tribunale, che ha enfatizzato il solo elemento costituito dall’asserita impossibilità degli azionisti dell’At Home di conseguire il rimborso del capitale investito, mortifica ingiustamente lo scenario fattuale innescato dal suo stesso rilievo officioso. E ciò non solo per il pregiudizio che in tal modo si è arrecato al diritto di difesa della parte, che ha visto pronunciare la decisione su un presupposto di fatto estraneo al contraddittorio processuale e sottratto perciò al suo sindacato difensivo, ma perchè il giudizio formalizzato dal decidente è frutto di supina adesione all’allegazione operata da una parte, senza che di ciò si renda conto alcuno, e per di più non considera, come lo sesso decidente non omette di riferire, che neppure in base alle informazioni rese dal legale americano poteva escludersi del tutto ogni interesse del G. alla vicenda liquidatoria della At Home, sussistendo ed essendo perciò ravvisabile in capo agli azionisti di questa un interesse a conseguire le residue utilità all’esito della procedura.

3. La sentenza va dunque cassata, assorbiti gli ulteriori motivi di ricorso afferenti alle spese, e la causa va rinviata al giudice a quo per un nuovo giudizio.

PQM

Accoglie il primo motivo di ricorso e dichiara assorbiti i restanti; cassa l’impugnata sentenza nei limiti del motivo accolto e rinvia la causa avanti al Tribunale di Trento che, in altra composizione, provvederà pure alla liquidazione delle spese del presente giudizio.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2021

 

 

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