Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9196 del 19/05/2020

Cassazione civile sez. III, 19/05/2020, (ud. 17/12/2019, dep. 19/05/2020), n.9196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. ARMANO Uliana – Presidente –

Dott. SESTINI Danilo – rel. Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. RUBINO Lina – Consigliere –

Dott. GRAZIOSI Chiara – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 26557-2018 proposto da:

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale Dott.

Z.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 4,

presso lo studio dell’avvocato MAURILIO PRIORESCHI, rappresentata e

difesa dagli avvocati FLAVIO DE GIROLAMO, SILVIA TORTORELLA;

– ricorrente-

contro

UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale

Dott. F.E., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA DELLE

FORNACI 38, presso lo studio dell’avvocato FABIO ALBERICI,

rappresentata e difesa dall’avvocato GIULIANO FRAU;

C.G., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA COLA DI RIENZO

212, presso lo studio dell’avvocato TIZIANO MARIANI, rappresentato e

difeso dall’avvocato GIANPIERO SAMORI’;

– controricorrenti –

e contro

FA.AN., R.G., T.A.;

– intimati –

Nonchè da:

FA.AN., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA VALERIO

PUBLICOLA, 67, presso lo studio dell’avvocato ELISABETTA ROSSI,

rappresentata e difesa dagli avvocati MASSIMILIANO MANCA DI MORES,

LUIGI PODDIGHE;

– ricorrente incidentale –

contro

AMISSIMA ASSICURAZIONI SPA, in persona del procuratore speciale Dott.

Z.F., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA G. FERRARI 4,

presso lo studio dell’avvocato MAURILIO PRIORESCHI, rappresentata e

difesa dagli avvocati FLAVIO DE GIROLAMO, SILVIA TORTORELLA;

– controricorrente all’incidentale –

e contro

T.A., UNIPOLSAI ASSICURAZIONI SPA, C.G.,

R.G.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 164/2018 della CORTE D’APPELLO SEZ.DIST. DI di

SASSARI, depositata il 17/04/2018;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/12/2019 dal Consigliere Dott. DANILO SESTINI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per la declaratoria di

inammissibilità e in subordine rigetto del ricorso principale,

accoglimento p.q.r. del ricorso incidentale;

udito l’Avvocato SILVIA TORTORELLA;

udito l’Avvocato SARA CISTRIANI per delega;

udito l’Avvocato MASSIMILIANO MANCA DI MORES per Fa. A.;

udito l’Avvocato LEONARDO BRASCA per delega orale.

Fatto

RILEVATO

che:

in relazione ad un sinistro stradale avvenuto il (OMISSIS), in cui avevano riportato lesioni più persone trasportate a bordo della vettura di proprietà e condotta da Antonio T., la danneggiata Fa.An. agì nei confronti del T. e della sua compagnia assicuratrice Carige s.p.a., nonchè nei confronti degli avv.ti C.G. e R.G., che l’avevano assistita nella gestione delle richieste risarcitorie, per sentirne affermare la responsabilità per l’inadeguatezza della tutela legale prestata;

dedusse, in particolare, che la compagnia assicuratrice era incorsa in mala gestio perchè aveva opposto illegittimamente la prescrizione e, comunque, perchè aveva violato la regola della par condicio fra i danneggiati prevista dalla L. n. 990 del 1969, art. 27 in quanto, pur consapevole dei danni subiti dalla Fa., aveva quasi completamente esaurito il massimale per risarcire altri danneggiati; quanto agli avvocati, dedusse che gli stessi avevano omesso di intraprendere le idonee azioni nei confronti del T. e della Carige s.p.a., esponendo l’attrice all’eccezione di prescrizione e al rischio di incapienza del massimale di polizza, destinato a soddisfare altre pretese risarcitorie;

la Carige resistette alla domanda, eccependo l’intervenuta prescrizione ed opponendo l’incapienza del massimale di polizza (pari a 774.685,34 Euro) sul rilievo che esso era stato già impiegato -quanto a 691.842,19 Euro – per risarcire gli altri trasportati Ca.Fa., T.M.P. e T.M.;

gli avvocati C.G. e R.G. resistettero anch’essi, contestando ogni addebito; la R. chiamò in causa, per l’eventuale manleva, la Fondiaria Sai s.p.a.;

con successivo atto di citazione, la Fa. dedusse la responsabilità della Carige per avere leso la par condicio dei danneggiati in violazione della L. n. 990 del 1969, art. 27;

riuniti i due giudizi, il Tribunale di Sassari accertò l’esclusiva responsabilità del T. nella determinazione del sinistro e, rigettate le eccezioni proposte dalla Carige, condannò il T. e la medesima Carige (quest’ultima nei limiti del massimale di polizza) a pagare alla Fa. la somma di 799.506,29 Euro, oltre rivalutazione monetaria ed interessi; rigettò, invece, le domande proposte nei confronti degli avvocati C. e R.;

pronunciando in sede di gravame, la Corte di Appello di Cagliari, Sezione Distaccata di Sassari ha rigettato l’impugnazione principale della Amissima Assicurazioni s.p.a. (già Carige), mentre ha accolto quella della Fa., liquidando il danno non patrimoniale nella maggior somma di 994.541,00 Euro e riconoscendo l’importo di 454.761,20 a titolo di danno patrimoniale futuro, nonchè dichiarando la Amissima “tenuta al pagamento del danno nei limiti dell’intero massimale di Euro 774.761,20, oltre interessi oltre il massimale, da calcolarsi sull’importo predetto dalla data di scadenza dello spatium deliberandi fino all’effettivo pagamento”;

ha proposto ricorso per cassazione la Amissima Assicurazioni s.p.a., affidandosi a tre motivi; la Fa. ha resistito mediante controricorso contenente ricorso incidentale basato su due motivi, cui ha resistito, con proprio controricorso, la Amissima s.p.a.; altri controricorsi sono stati svolti, avverso il ricorso principale, dall’avv. C.G. e dalla UnipolSai Assicurazioni (già Fondiaria Sai);

la Amissima e la Fa. hanno depositato memoria ex art. 378 c.p.c..

Diritto

CONSIDERATO

quanto al ricorso principale, che:

col primo motivo, la Amissima s.p.a. denuncia la violazione della L. n. 990 del 1969, art. 27 “per avere la Corte d’Appello erroneamente applicato la predetta norma, ritenendo sussistente una ipotesi di mala gestio impropria in capo alla società Amissima Assicurazioni s.p.a. (…) con riferimento alla gestione del risarcimento del danno occorso alla sig.ra Fa.”; assume che la Corte non ha tenuto nella giusta considerazione il fatto che la Amissima si era “spossessata del massimale mettendolo a disposizione anche della sig.ra Fa. e (…) tale circostanza permette(va) all’assicurazione della responsabilità civile (…) di andare esente da condanne di mala gestio impropria”; contesta l’assunto della Corte secondo cui la responsabilità dell’assicuratrice conseguiva al fatto che la stessa non aveva chiamato in causa la Fa., ex art. 106 c.p.c., nel giudizio promosso da altro danneggiato, rilevando che, prima dell’entrata in vigore del D.Lgs. n. 209 del 2005, art. 140 (che ha introdotto una fattispecie di litisconsorzio necessario), “non era sancito alcun obbligo di chiamata in causa in capo all’Assicurazione del responsabile civile”; aggiunge che, con raccomandata del 21.5.2003, l’assicuratrice aveva provocato l’azione della Fa., informandola della pendenza del giudizio promosso dal danneggiato Ca. ed informandola di avere messo a disposizione il massimale in un libretto bancario depositato nell’anzidetto giudizio (massimale che, all’epoca, risultava quasi del tutto integro), precisando di aver proceduto a risarcire il Ca. solo a seguito della sentenza di condanna pronunciata a favore del medesimo;

il secondo motivo denuncia nuovamente la violazione della L. n. 990 del 1969, art. 27 “per avere la Corte d’Appello erroneamente applicato la predetta norma, ritenendo sussistente, in favore della sig.ra Fa., il diritto ad un risarcimento superiore alla quota che le sarebbe spettata in via proporzionale, secondo la par condicio creditorum”; la ricorrente contesta il passaggio della sentenza impugnata in cui la Corte ha affermato che non “potrebbe essere liquidato alla Fa. un danno neppure proporzionalmente ridotto nei limiti della quota di indennizzo che, nel rispetto della par condicio, sarebbe spettata ai danneggiati precedentemente soddisfatti. Ciò in quanto la società assicuratrice appellante non ha offerto di provare in causa nè ha dimostrato che quanto corrisposto agli altri danneggiati fosse effettivamente dovuto onde poter invocare la predetta riduzione”; evidenzia che la Amissima aveva dato “prova della debenza delle somme versate agli altri danneggiati, in considerazione del corretto ammontare del risarcimento (…) di carattere giudiziale”, dando atto di avere depositato la sentenza n. 784/2004 sulla base della quale era stato risarcito il Ca.; richiama, al riguardo, i principi di legittimità (Cass. n. 13394/2018 e Cass. n. 13335/2004) secondo cui, in ipotesi di responsabilità L. n. 990 del 1960, art. 27 resta salva la facoltà dell’assicuratore che invochi la riduzione dell’indennizzo di provare, nel giudizio promosso dal danneggiato non ancora risarcito, che quanto precedentemente pagato ad altri danneggiati era effettivamente dovuto, con la conseguenza che, “se questa prova abbia successo, il debito dell’assicuratore verso il danneggiato non ancora risarcito sarà proporzionalmente ridotto nei limiti della quota di indennizzo che, nel rispetto del criterio della par condicio, sarebbe spettata al danneggiato precedentemente soddisfatto: e ciò per l’ovvia considerazione che se, per un verso, la presunta inosservanza, da parte dell’assicuratore, della regola della par condicio creditorum non può ridondare in danno del danneggiato pretermesso, neppure è ammissibile che, in ragione dell’eventuale violazione di quella regola, questi consegua una somma superiore a quella che avrebbe percepito se la regola fosse stata rispettata” (Cass. n. 13335/2004);

i due motivi – da esaminare congiuntamente – vanno disattesi, essendo il primo infondato ed il secondo inammissibile;

in relazione al concorso dei danneggiati in caso di incapienza del massimale, disciplinato dalla L. n. 990 del 1969, art. 27 (applicabile nel caso, ratione temporis), la giurisprudenza di questa Corte è da tempo consolidata nell’individuazione di un onere dell’assicuratore di attivarsi per l’identificazione di tutti i danneggiati e per la loro congiunta chiamata in causa ai fini della liquidazione del risarcimento nella misura proporzionalmente ridotta (cfr. Cass. n. 1831/1988, Cass. n. 13335/2004, Cass. n. 9510/2007, Cass. n. 4765/2016 e Cass. n. 13394/2018), con la conseguenza che l’assicuratore deve “imputare a propria negligenza il non avere provveduto – o richiesto che si provvedesse in sede giudiziale – alla congiunta disamina delle pretese risarcitorie dei danneggiati per la riduzione proporzionale dei correlativi indennizzi” (Cass. n. 9510/2007 e Cass. n. 4765/2016) e che, “ove ciò non abbia fatto, non può opporre ai danneggiati non risarciti l’incapienza del massimale, ma deve rispondere fino alla concorrenza dell’ammontare del medesimo nei confronti di ciascun danneggiato” (Cass. n. 13394/2018);

la medesima giurisprudenza di legittimità ha precisato che “resta peraltro salva la facoltà dell’assicuratore che invochi la riduzione dell’indennizzo di provare, nel giudizio promosso dal danneggiato non ancora risarcito, che quanto aveva pagato era effettivamente dovuto siccome corrispondente al danno subito dal danneggiato risarcito. Se tale prova abbia successo il suo debito verso il danneggiato non ancora risarcito sarà proporzionalmente ridotto nei limiti della quota di indennizzo che, nel rispetto del criterio della par condicio, sarebbe spettata al danneggiato precedentemente soddisfatto. E ciò per l’ovvia ragione che se, per un verso, l’inosservanza da parte dell’assicuratore della regola della par condicio creditorum non può ridondare in danno del danneggiato pretermesso, neppure è ammissibile che, in ragione della violazione di quella regola, questi consegua una somma superiore a quella che avrebbe percepito se la regola fosse stata rispettata” (Cass. n. 13335/2004; conforme Cass. n. 13394/2018);

in continuità con tali risalenti e condivisibili indirizzi, deve ritenersi corretta la conclusione della Corte di merito circa la sussistenza di un’ipotesi di mala gestio (impropria) a carico dell’assicuratrice per non avere provocato la chiamata in causa (ex art. 106 c.p.c.) di tutti i danneggiati nel giudizio promosso dal Ca., dovendosi escludere che possa valere a ritenere assolto l’onere gravante sull’assicuratore la circostanza che la Carige abbia informato la Fa. della pendenza del giudizio e dell’accensione del libretto bancario depositato nel medesimo; deve infatti ritenersi che la diligenza richiesta all’assicuratore consapevole della insufficienza del massimale comporti il massimo impegno per provocare la disamina congiunta delle posizioni dei danneggiati, quale può essere conseguita soltanto con la formale chiamata nel giudizio già promosso da altro danneggiato;

il primo motivo va pertanto rigettato;

quanto al secondo motivo, deve rilevarsi che la Corte di Appello ha mostrato di condividere i principi di diritto richiamati dalla ricorrente, ma ha escluso che la Amissima avesse offerto la prova che il risarcimento corrisposto agli altri danneggiati fosse effettivamente dovuto; a fronte di tale assunto, la doglianza della ricorrente – che ha dedotto di avere provato per tabulas, producendo la sentenza n. 784/2004 che l’aveva condannata al pagamento in favore del Ca. – prospetta, a ben vedere, un vizio percettivo concernente l’erronea lettura dei documenti prodotti, che -come tale- avrebbe dovuto essere fatto valere in sede revocatoria;

il tutto a prescindere dalla considerazione che nulla ha dedotto la ricorrente in relazione al “versamento di somme ulteriori ad altri danneggiati”, rispetto ai quali la Amissima ha pertanto omesso di censurare adeguatamente il rilievo della Corte circa il difetto di prova che quanto corrisposto fosse effettivamente dovuto;

il secondo motivo risulta pertanto inammissibile;

il terzo motivo denuncia l’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio “per avere, la Corte d’Appello, considerato passata in giudicato quella parte della sentenza di primo grado (…) riferita all’eccezione di prescrizione svolta da Amissima, ex art. 2947 c.c., ritenendo come non proposto, da parte della Compagnia Assicuratrice, il gravame sulla prescrizione del credito della sig.ra Fa.”;

viene censurato il passaggio della sentenza con cui la Corte territoriale ha affermato (a pag. 8) che non era stato proposto gravame avverso il capo della pronuncia di primo grado con cui era stata rigettata l’eccezione di prescrizione del diritto al risarcimento sollevata dalla Carige, essendosi pertanto formato giudicato sul punto; assume la ricorrente che la statuizione sulla prescrizione era stata impugnata con l’atto di appello e che la questione era stata ripresa con la comparsa conclusionale;

premesso che la formazione del giudicato va correlata al contenuto dell’atto di impugnazione (risultando irrilevante il contenuto della comparsa conclusionale), deve rilevarsi che la ricorrente non ha ottemperato all’onere di trascrivere l’atto di appello in misura sufficiente ad apprezzare l’avvenuta proposizione della censura in punto di prescrizione, risultando del tutto inidoneo il passaggio riportato nell’illustrazione del motivo; il mezzo risulta pertanto inammissibile alla luce del principio secondo cui, “in tema di giudicato interno, ai fini della verifica dell’avvenuta impugnazione, o meno, di una statuizione contenuta nella sentenza di primo grado, la S.C. non è vincolata all’interpretazione compiuta dal giudice di appello, ma ha il potere-dovere di valutare direttamente gli atti processuali per stabilire se, rispetto alla questione su cui si sarebbe formato il giudicato, la funzione giurisdizionale si sia esaurita per effetto della mancata devoluzione della questione nel giudizio di appello, con conseguente preclusione di ogni esame della stessa, purchè il ricorrente non solo deduca di aver ritualmente impugnato la statuizione, ma – per il principio di autosufficienza – indichi elementi e riferimenti atti ad individuare, nei suoi termini esatti e non genericamente, il contenuto dell’atto di appello a questo preciso proposito, non essendo tale vizio rilevabile “ex officio” (Cass. n. 7499/2019; cfr. Cass. n. 2771/2012 e Cass. n. 86/2012).

Considerato, quanto al ricorso incidentale, che:

il primo motivo denuncia la nullità della sentenza o del procedimento ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4 per violazione degli artt. 112,329,342 c.p.c., “per avere la Corte di Appello di Sassari liquidato il risarcimento dei danni maggiorato di soli interessi legali, e non anche della rivalutazione monetaria, così come statuito dal Giudice di prime cure, in assenza di impugnazione sul punto”; premesso che il Tribunale aveva condannato il T. e la Carige, in solido, al pagamento della somma di 799.506,29 Euro “oltre cumulativamente al pagamento degli interessi e della rivalutazione monetaria ed interessi sugli interessi dalla data della domanda” e che il riconoscimento cumulativo degli interessi e della rivalutazione monetaria non era stato impugnato dalla compagnia convenuta, essendosi pertanto formato giudicato sul punto, la ricorrente censura la sentenza laddove ha dichiarato Amissima “tenuta al risarcimento del danno nei limiti dell’intero massimale di Euro 774.685,34, oltre gli interessi oltre il massimale da calcolarsi sull’importo predetto dalla data di scadenza dello spatium deliberandi fino all’effettivo pagamento” e lamenta che la Corte territoriale “ha quindi condannato la compagnia garante del responsabile del sinistro alla corresponsione del capitale maggiorato degli interessi e non anche della svalutazione monetaria come precedentemente statuito dal Giudice (di) prime cure – in assenza di una specifica censura da parte dell’appellante, che vi aveva prestato acquiescenza”;

col secondo motivo, la ricorrente assume che la sentenza è viziata (per violazione o falsa applicazione degli artt. 112,329, 342 c.p.c. e art. 1224 c.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3) “nella parte in cui riforma, implicitamente, una parte della decisione di primo grado divenuta ormai irrevocabile e passata in giudicato in assenza di impugnazione ai sensi dell’art. 329 c.p.c., comma 2”;

i due motivi – da esaminare congiuntamente – sono inammissibili per difetto di specificità, in quanto sovrappongono due piani oggettivamente distinti, senza individuare chiaramente l’oggetto e le ragioni delle censure, atteso che:

mentre l’incipit dell’illustrazione del primo motivo fa riferimento alla liquidazione del risarcimento del danno effettuata dal primo giudice (comprensiva di accessori per rivalutazione ed interessi), la statuizione richiamata nel prosieguo concerne il limite -del massimale, maggiorato degli interessi- della condanna pronunciata dalla Corte di Appello nei confronti della compagnia assicuratrice (rispetto al quale, peraltro, non si dice se il primo giudice avesse riconosciuto anche interessi e rivalutazione); neppure gli ulteriori passaggi – riferiti alla sola compagnia e non anche al responsabile solidale T. – consentono di comprendere se la censura concerna la quantificazione del danno o la misura della responsabilità ultramassimale dell’assicuratrice;

la sovrapposizione degli anzidetti profili e la mancanza di indicazioni univoche non permettono di individuare la specifica statuizione del primo giudice sulla quale si sarebbe determinato il giudicato e osta, pertanto, alla verifica sia della effettiva ricorrenza di tale assunto giudicato, sia – a monte – della stessa ammissibilità delle censure;

le stesse considerazioni valgono per il secondo motivo, che lamenta anch’esso – ancorchè sotto il profilo dell’error iudicando – la violazione del giudicato interno;

la reciproca soccombenza giustifica la compensazione delle spese del presente giudizio fra ricorrente principale e ricorrente incidentale;

attesa la peculiarità delle questioni controverse, sussistono giusti motivi per compensare le spese anche fra la Amissima e gli altri controricorrenti, ai sensi dell’art. 92 c.p.c., comma 2, nel testo anteriore alle modifiche introdotte a partire dalla L. n. 263 del 2005 (applicabile ratione temporis, trattandosi di giudizio iniziato nel febbraio 2006);

devono invece liquidarsi alla Fa. le spese del procedimento ex art. 373 c.p.c. (concernente la sospensione dell’esecuzione della sentenza di secondo grado, rigettata dalla Corte di Appello con ordinanza del 30.5.2019), che si liquidano come in dispositivo;

sussistono le condizioni per l’applicazione del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso principale e dichiara inammissibile quello incidentale, compensando fra tutte le parti le spese del presente giudizio;

condanna la Amissima Assicurazioni s.p.a. a rifondere alla Fa. le spese del procedimento ex art. 373 c.p.c., liquidate in Euro 4.300,00, oltre rimborso spese generali e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte della ricorrente principale e della ricorrente incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1-bis se dovuto.

Così deciso in Roma, il 17 dicembre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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