Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9196 del 02/04/2021

Cassazione civile sez. I, 02/04/2021, (ud. 10/12/2020, dep. 02/04/2021), n.9196

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. VALITUTTI Antonio – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. FALABELLA Massimo – Consigliere –

Dott. FIDANZIA Andrea – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 22150/2016 proposto da:

Caseificio C. Rag. G. S.r.l., in persona del legale

rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata in Roma, Corso

Trieste n. 87, presso lo studio dell’avvocato Arturo Antonucci, che

la rappresenta e difende unitamente all’avvocato Roberto Vassalle,

giusta procura in calce al ricorso;

– ricorrente –

contro

Mantovabanca 1896 Credito Cooperativo Società Cooperativa, già

Banca di Credito Cooperativo di Casalmoro e Bozzolo S.c.r.l., in

persona del legale rappresentante pro tempore, elettivamente

domiciliata in Roma, Piazza S. Andrea della Valle n. 3, presso lo

studio dell’avvocato Lara Dentici, che la rappresenta e difende

unitamente all’avvocato Francesco Denti, giusta procura in calce al

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 514/2016 della CORTE D’APPELLO di BRESCIA,

pubblicata il 01/06/2016;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/12/2020 dal Cons. Dott. MARCO MARULLI.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Il Caseificio C. Rag. G. s.r.l. si duole degli esiti del giudizio d’appello, definito con la sentenza riportata in esergo, da esso instaurato al fine di vedere riformata l’impugnata decisione di primo grado che aveva rigettato le domande dallo stesso proposte in relazione al conto corrente di corrispondenza e al conto anticipi già in essere con Mantovabanca 1896 Credito Cooperativo tanto nella parte intesa al rimborso degli interessi ultralegali quanto nella parte in cui aveva dichiarato prescritte le singole rimesse effettuate facendo decorrere la prescrizione dalla data della loro annotazione in conto.

Nel rigettare il gravame la Corte distrettuale ha confermato gli assunti enunciati dal giudice di prime cure dando atto, quanto all’eccepito difetto di forma scritta del patto in punto di interessi e di mancata comunicazione in forma scritta dell’avvenuta accettazione da parte della banca del relativo accordo contrattuale, che “la prescrizione dell’art. 117,1 comma, TUB riguardante la necessaria forma scritta delle pattuizione degli interessi ultralegali è una norma di protezione della parte contraente debole che mira ad evitare l’indeterminatezza e la non conoscibilità dei tassi applicati ad un determinato conto corrente dalla parte contrattualmente forte l’istituto di credito” ed, ancora, che “la comunicazione dell’accettazione può rivestire forma diversa da quella scritta atteso che per osservare il principio di cognizione stabilito dal legislatore per il perfezionamento del contratto (art. 1326 c.c.) è sufficiente che il proponente conosca l’accettazione dell’altra parte in qualsiasi modo”.

Nondimeno, sempre in adesione con i convincimenti espressi della sentenza impugnata, la Corte distrettuale, circa la pretesa erroneità di essa nel credere che nel caso in parola la prescrizione dell’azione di indebito decorra dalle singole annotazioni in conto, piuttosto che dalla chiusura di esso, richiamata la distinzione a questo fine tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie enunciata dalle SS.UU. di questa Corte con la sentenza 24418/2010, ha fatto notare che nel dissentire da tale affermazione “l’appellante avrebbe dovuto dare conto della diversa natura ripristinatoria dei versamenti, provando che tali versamenti non fossero avvenuti in una situazione di scoperto eccedente i limiti dell’affidamento”, respingendo perciò il motivo di appello “per non aver l’appellante adeguatamente criticato la statuizione del giudice di prime cure”.

Il Caseificio C. Rag. G. s.r.l. reclama ora l’intervento riparatore di questa Corte sulla base di due motivi, illustrati pure con memoria, ai quali resiste la banca con controricorso e memoria.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Il ricorso – che non incorre nelle preclusioni eccepite dalla controricorrente, posto che la novellazione dell’art. 360 c.p.c., a cui ha proceduto il D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. b), convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, ha rimodulato la portata del vizio motivazionale, ma non ha inciso sulla ricorribilità per cassazione in ragione degli altri vizi della decisione da esso elencati ed, ancora, che le questioni sollevate non si prestano de plano all’applicazione dell’art. 360-bis c.p.c. – allega con il primo motivo la violazione dell’art. 1284 c.c. e art. 117 TUB. Il decidente, si sostiene, avrebbe ritenuto validamente concluso il patto in tema di interessi ultralegali sebbene, pur in difetto di formale comunicazione della banca, per l’obbligo della forma scritta dei contratti bancari, “il patto scritto relativo alla misura degli interessi potesse dirsi validamente concluso solo ove fosse stato comunicato per iscritto al cliente che la banca aveva, con Delibera del proprio CdA, accettato la domanda di concessione del fido al tasso indicato nella stessa domanda”.

2.2. Il motivo è infondato.

Nel sollevare la predetta questione il ricorrente non si è avveduto di uno snodo motivazionale non secondario nell’economia complessiva della decisione, a mezzo del quale la Corte territoriale si è data cura di rimarcare, tra l’altro, che la prescrizione della forma scritta, cui sono soggetti i contratti bancari a mente dell’art. 117, comma 1, TUB, è posta a presidio del contraente debole in quanto mira a soddisfare finalità di certezza dell’impegno giuridico assunto con la sottoscrizione del contratto.

La considerazione è alla radice della premura che ha condotto questa Corte ad affermare da ultimo, risolvendo una querelle che da tempo si trascinava in ordine alla validità in materia di intermediazione finanziaria del contratto monofirma – ovvero del contratto recante la sola sottoscrizione del cliente e privo della sottoscrizione dell’intermediario – che “il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicchè tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti” (Cass., Sez. U., 16/01/2018, n. 898). Le finalità sottese all’adozione della forma scritta prescritta a pena di nullità per i contratti regolati dal TUF valorizzate nell’occasione – e volte, segnatamente ad assicurare al cliente la piena cognizione degli specifici servizi forniti, della durata e delle modalità di rinnovo del contratto e di modifica dello stesso, delle modalità proprie con cui si svolgeranno le singole operazioni, della periodicità, contenuti e documentazione da fornire in sede di rendicontazione – si rinvengono anche in relazione ai contratti bancari, sicchè la medesima prescrizione che per essi trova riconoscimento nell’art. 117, comma 3, TUB, secondo cui anche questi contratti debbono essere stipulati in forma scritta a pena di nullità, ha, non dissimilmente a quella accordata dalle SS.UU. al contratto di intermediazione, natura funzionale e non strutturale. Si riconosce così che la mancata sottoscrizione del documento contrattuale da parte della banca non determina la nullità per difetto della forma scritta, essendo sufficiente che il contratto sia redatto per iscritto, ne sia consegnata una copia al cliente e vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo. Corollario di questa impostazione è che il consenso della banca può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti (Cass., Sez. I, 6/09/2019, n. 22385; Cass., Sez. I, 18/06/2018, n. 16070; Cass., Sez. I, 6/06/2018, n. 14646), quali nella specie il decidente ha concretamente riconosciuto nell’avvenuta apertura del conto e nell’invio dei relativi estratti.

La doglianza di cui al motivo si svuota perciò di ogni consistenza e va quindi disattesa.

3.1. Con il secondo motivo di ricorso il Caseificio C. Rag. G. lamenta che l’impugnata decisione, laddove ha onerato l’appellante di provare, ai fini della diversa decorrenza della prescrizione rispetto a quella indicata dal giudice di primo grado, che le rimesse avevano natura ripristinatoria e non solutoria, violerebbe, da un lato, l’art. 132 c.p.c., comma 1, n. 4 e art. 342 c.p.c. e, dall’altro, l’art. 2697 c.c.. Sotto il primo profilo, osservato che il giudice di primo grado non aveva formalizzato alcuna distinzione tra le rimesse operate dall’attore, si deduce che questo, impugnandone la sentenza, non avrebbe potuto assolvere l’onere probatorio accollatogli dal decidente, onde la motivazione a tal fine enunciata è “gravemente incongrua ed assolutamente illogica e di fatto incomprensibile perchè imputa all’appellante l’omessa contestazione, nella citazione d’appello, di statuizioni invece del tutto inesistenti nella sentenza di 1 grado”, non potendo d’altro canto pretendersi che “il motivo, come formulato in citazione, dovesse dedurre anche in merito ad eccezioni non formulate da controparte e non considerate dalla sentenza di 1 grado”; sotto un secondo profilo si sostiene che, così pronunciandosi, la sentenza “ha invertito l’onere della prova in relazione agli elementi costitutivi dell’eccezione di prescrizione formulata dalla banca”, non essendo onere dell’appellante provare la mancata prescrizione del credito, ma della banca provare la fondatezza della propria eccezione.

3.2. il motivo, nella sua duplice articolazione, non ostativa ad una disamina congiunta di entrambi i profili che vi sono svolti, non ha fondamento.

Come visto la Corte d’Appello ha rigettato il gravame sul punto poichè, a fronte dell’affermazione operata dalla sentenza di primo grado secondo cui la prescrizione decorre nella specie dall’annotazione delle singole rimesse in conto, l’appellante non avrebbe invece provato la natura ripristinatoria di esse, in ragione del che sarebbe stata argomentabile una diversa decorrenza della prescrizione. In questo ragionamento il fatto che la Corte d’Appello, recependo l’insegnamento delle SS.UU. abbia contrapposto alle rimesse solutorie le rimesse ripristinatorie, che sarebbe stato onere dell’appellante provare, introduce una pura variante nominalistica, una sineddoche per meglio dire, che non altera minimamente il quadro fattuale di riferimento e non contravviene in nulla alle ordinarie regole di distribuzione dell’onere probatorio. In buona sostanza le SS.UU., distinguendo tra rimesse solutorie e rimesse ripristinatorie, hanno solo idealizzato una distinzione che era nella natura dei rapporti tra banca e correntista, sicchè, una volta che il primo giudice si era detto convinto che, stante la natura di pagamento incarnata dalle rimesse, la prescrizione decorra dalla data della relativa annotazione nel conto, il fatto estintivo da lui così affermato, in disparte da come lo si fosse voluto denominare, ai fini della sua confutazione avrebbe imposto all’appellante di allegare e provare il fatto costitutivo contrario.

E’ perciò di nessuna rilevanza che la distinzione indicata dalle SS.UU. abbia fatto breccia nell’iter decisorio seguito dalla Corte d’Appello, riflettendo essa una distinzione già in essere nei fatti e nella dinamica del rapporto; così come, di conseguenza, non è ravvisabile alcuna inversione dell’onere della prova, poichè, anche senza far cenno al fatto che l’onere di allegazione gravante sulla banca che eccepisca la prescrizione dell’azione di indebito si considera assolto con l’affermazione dell’inerzia del titolare del diritto (Cass., Sez. U., 13/06/2019, n. 15895), nel dire che sarebbe stato onere dell’appellante provare che le rimesse non erano “solutorie” la Corte d’Appello non ha fatto altro, come già si è affermato altrove (Cass., Sez. I, 30/01/2019, n. 2660), che regolare la specie al suo in esame in piana applicazione dei principi stabiliti dell’art. 2697 c.c..

– La duplice doglianza di cui al motivo non ha quindi alcuna storia e va pertanto disattesa.

4. Rigettati entrambi i motivi di ricorso, le spese seguono la soccombenza e si regolano come da dispositivo. Ricorrono le condizioni per il raddoppio del contributo unificato ove dovuto.

PQM

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in favore di parte resistente in Euro 13200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, Sezione Prima Civile, il 10 dicembre 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2021

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