Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9195 del 10/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 10/04/2017, (ud. 02/03/2017, dep.10/04/2017),  n. 9195

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. GRASSO Giuseppe – Consigliere –

Dott. SCARPA Antonio – Consigliere –

Dott. CRISCUOLO Mauro – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 13394/2012 proposto da:

D.G.F.P., (OMISSIS), L.A. (OMISSIS),

LE.AL. (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA, V.LE DEI

PARIOLI 67, presso lo studio dell’avvocato GIORGIO BISERNI,

rappresentati e difesi dall’avvocato GIUSEPPE CHIARELLO giusta

procura in calce al ricorso;

– ricorrenti –

contro

CONDOMINIO DI (OMISSIS), domiciliato per legge in ROMA presso la

cancelleria della Corte di Cassazione, e rappresentato e difeso

dall’avvocato GIUSEPPE INZERILLO, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

e contro

C.C.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 466/2011 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 14/04/2011;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

02/03/2017 dal Consigliere Dott. MAURO CRISCUOLO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MISTRI Corrado, che ha concluso per l’accoglimento del quinto e del

sesto motivo, assorbito il settimo, rigettati i restanti il rigetto

del ricorso.

Fatto

FATTI DI CAUSA

Con atto di citazione notificato il 3 luglio 1998 il Condominio (OMISSIS) conveniva in giudizio dinanzi al Tribunale di Palermo L.V. quale titolare dell’omonima ditta individuale, affinchè fosse accertata la responsabilità dell’impresa del convenuto nella realizzazione dei lavori di restauro e manutenzione straordinaria del fabbricato condominiale, di cui al contratto del (OMISSIS), lavori terminati nel gennaio del 1996, all’esito dei quali, erano emerse una serie di imperfezioni nella loro esecuzione, come peraltro riscontrato anche dall’accertamento tecnico preventivo esperito su istanza del condominio.

Per l’effetto chiedeva la condanna del convenuto alla restituzione delle somme a suo tempo versate. per effetto della riduzione del corrispettivo del contratto d’appalto, nonchè al risarcimento dei danni subiti.

Si costituiva il convenuto il quale deduceva l’infondatezza della domanda, chiedendone il rigetto e chiedeva altresì di essere autorizzato alla chiamata in causa del direttore dei lavori arch. C.C., affinchè questi lo tenesse indenne da tutte le conseguenze pregiudizievoli eventualmente scaturenti dall’accoglimento della domanda attorea.

In via riconvenzionale chiedeva altresì la condanna dell’attore al pagamento della somma di Lire 11.000.000 quale compenso per l’esecuzione di opere non previste in contratto.

Si costituiva il terzo chiamato il quale deduceva l’infondatezza della domanda di garanzia.

All’esito dell’istruttoria, il Tribunale di Palermo con la sentenza del 10 ottobre 2006, dichiarava la responsabilità del L. per l’imperfetta esecuzione dei lavori, e lo condannava alla restituzione in favore del condominio di parte del corrispettivo del contratto individuata nella misura di Euro 46.708,36 da rivalutare dal 7 novembre 1994 alla sentenza.

Veniva tuttavia disattesa la domanda finalizzata ad ottenere il rimborso delle somme necessarie per l’eliminazione dei vizi, avendo il condomino chiesto solo la riduzione del prezzo, così come del pari era rigettata la domanda di garanzia.

A seguito di appello del L., e di appelli incidentali del condominio e del C., la Corte d’Appello di Palermo con la sentenza n. 466 dell’11 aprile 2011, rigettava l’appello principale ed incidentale rispettivamente del L. e del C., disponendo la correzione dell’indicazione del numero civico del Condominio, erroneamente riportato dal giudice di primo grado.

Per quanto rileva ancora in questa sede, riteneva innanzi tutto che l’indicazione del valore della causa ai fini del versamento del contributo unificato, effettuata dall’attore in occasione del procedimento ex art. 700 c.p.c., promosso in corso di causa, non potesse valere a determinare una limitazione del quantum della domanda, trattandosi di richiesta riferita ad una pretesa diversa ed autonoma rispetto a quella azionata dal condominio ed accolta dal giudice di primo grado, non potendo quindi spiegare efficacia ai fini dell’art. 10 c.p.c..

Nel merito, rilevava che indipendentemente dalla necessità o meno di commissionare la ristrutturazione globale dell’edificio, anzichè dei soli parapetti, come in concreto avvenuto, la controversia aveva ad oggetto l’esecuzione a regola d’arte e senza vizi dei lavori specificamente previsti in contratto.

Alla luce degli accertamenti eseguiti dal CTU, che la Corte distrettuale reputava di condividere, e tenuto conto dei saggi eseguiti dallo stesso perito d’ufficio nelle superfici interne dei parapetti di alcuni balconi ed in una porzione del cornicione, emergeva che i lavori presentavano dei difetti di esecuzione che avevano determinato le lesioni lamentate dall’attore, specialmente in prossimità dei montanti di ferro delle armature in ferro colpite dall’ossidazione, e che non erano state trattate dall’impresa appaltatrice, in quanto erroneamente ritenute integre, laddove la presenza di ruggine su alcuni tratti doveva far presumere che il fenomeno di ossidazione fosse esteso anche alle restanti parti non visibili.

Trattavasi di violazione delle prescrizioni contrattuali che imponevano all’impresa di demolire le parti ammalorate e di pulire le armature corrose. Inoltre, anche nelle parti in cui l’armatura era stata trattata, gli interventi erano stati malamente eseguiti, in quanto le armature in ferro non erano state messe completamente a vista, essendo stata scorrettamente applicata anche la malta.

Quanto alla pretesa corresponsabilità del direttore dei lavori e del committente, la sentenza impugnata rilevava che la responsabilità era da addurre alla cattiva esecuzione dei lavori come commissionati dal condominio ed accettati dall’impresa, la quale in ipotesi si sarebbe potuta rifiutare di eseguirli ove avesse reputato necessario estendere la riparazione all’intero edificio, non potendosi imputare al condominio la scelta di eseguire una ristrutturazione parziale rientrando ciò nella sua discrezionalità.

Quanto specificamente alla posizione del C., dopo avere dato atto che questi aveva inizialmente rappresentato al condominio l’opportunità di un intervento globale, osservava che in relazione ai lavori appaltati alcun addebito poteva essergli mosso, in quanto i vizi erano unicamente riconducibili alla mancata esecuzione a regola d’arte da parte dell’impresa.

In merito alla riconvenzionale del L., rilevava che la stessa era stata correttamente disattesa, in quanto l’art. 7 del computo metrico, nel prevedere la fornitura ed il collocamento dei gocciolatoi in marmo di Carrara, prevedeva a carico dell’impresa anche la rimozione degli elementi in ferro, il ripristino degli intonaci e tutte le ulteriori necessarie riparazioni, così che la ricostruzione della parte di parapetto, imposta appunto dalla sostituzione dei gocciolatoi, era da reputarsi ricompresa tra gli interventi imposti dalla predetta previsione del computo metrico.

L’appello incidentale del C., concernente la compensazione delle spese del giudizio di primo grado, era poi disatteso, avendo il Tribunale adeguatamente motivato circa le ragioni di tale soluzione, mentre quanto all’appello incidentale del condominio, lo stesso andava qualificato come richiesta di correzione dell’errore materiale commesso dal giudice di prime cure nell’indicazione del numero civico del condomino, potendosi quindi provvedere alla giusta indicazione in quella sede.

D.G.F.P., Le.Al. e L.A., quali eredi di L.V. deceduto nel corso del giudizio di appello, hanno proposto ricorso per cassazione sulla base di otto motivi.

Il Condominio (OMISSIS) ha resistito con controricorso.

C.C. non ha svolto attività difensiva in questa fase.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione di norme di legge, ed in particolare l’errore in ordine alla sollevata eccezione relativa alla determinazione del valore della controversia ai sensi dell’art. 10 c.p.c., ai fini della dichiarazione resa in base all’allora vigente della L. n. 488 del 1999, art. 9, comma 11, con la conseguente violazione dell’art. 112 c.p.c..

Si sostiene che il condominio, nel proporre in primo grado ed in corso di causa un procedimento ex art. 700 c.p.c., aveva contestualmente dichiarato ai fini del pagamento del contributo unificato che il valore della controversia era pari ad Euro 25.822,84.

Trattasi di dichiarazione resa, sebbene non fosse necessario il pagamento di alcun ulteriore contributo, trattandosi di provvedimento cautelare in corso di causa, sicchè la determinazione del valore compiuta in tale occasione aveva valore vincolante anche ai fini del merito della controversia, restando quindi contenuta la domanda nell’importo dichiarato in tale circostanza.

Da ciò consegue che le domande, inizialmente prospettate come di valore indeterminato, sono state poi limitate dal condominio nella suddetta misura, con la conseguenza che non potevano essere accolte nell’importo accordato dal Tribunale e confermato dalla Corte d’Appello.

Il motivo sebbene erroneamente rubricato con il richiamo al n. 2 del dell’art. 360 c.p.c., comma 1, evidenzia chiaramente la volontà della parte di censurare un error in iudicando del giudice di merito che avrebbe accordato al condominio una somma superiore a quella per la quale aveva contenuto la domanda.

La doglianza è però del tutto destituita di fondamento.

A tal fine occorre richiamare il costante orientamento di questa Corte per il quale l’indicazione del valore della causa, per la determinazione del contributo unificato dovuto per legge, ha finalità esclusivamente fiscale, sicchè non spiega alcun effetto sulla determinazione del valore della controversia ai fini della individuazione del giudice competente (cfr. da ultimo Cass. n. 18732/2015; Cass. n. 26988/2007) essendosi chiarito che (cfr. Cass. n. 15714/2007) la circostanza che del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 14, comma 2, esclude la rilevanza degli interessi per la individuazione del valore ai fini del contributo unificato, mentre essi sono considerati dall’art. 10 c.p.c., comma 2, rilevanti ai fini dell’individuazione del valore della domanda ed il fatto che la dichiarazione della parte in funzione della determinazione del contributo unificato è indirizzata al funzionario di cancelleria, cui compete il relativo controllo, escludono decisamente ogni possibile partecipazione di tale dichiarazione di valore alle conclusioni della citazione, cui allude il n. 4 dell’art. 163 e, quindi, la possibilità di considerare la dichiarazione come parte della “domanda”, nel senso cui vi allude il primo comma dell’art. 10 citato, quando dice che “il valore della causa, ai fini della competenza, si determina dalla domanda a norma delle disposizioni seguenti” e fra queste dell’art. 14 c.p.c. (principio affermato anche in relazione al regime di cui alla L. n. 488 del 1999, art. 9, applicabile alla fattispecie in esame).

Nè rileva il fatto che nel caso in esame la presentazione del ricorso cautelare fosse esente dal pagamento del contributo, posto che la dichiarazione resa in tale occasione mirava chiaramente ad estendere ad una controversia già pendente il novellato regime fiscale del contributo unificato, trattandosi quindi sempre di dichiarazione di rilievo esclusivamente fiscale.

2. Il secondo motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.p.c., comma 2, artt. 1655, 1665 e 1659 c.c., sostenendosi che erroneamente sarebbe stata affermata la sola responsabilità della ditta appaltatrice.

La decisione ha però omesso di considerare le risultanze della CTU e del materiale probatorio in atti, dalla quale si evinceva che erroneamente era stata ordinata la parziale esecuzione dei lavori di ristrutturazione, essendo invece necessario procedere ad una dismissione totale delle parti ammalorate e di quelle contigue.

L’impresa si era limitata ad eseguire gli interventi commissionati, laddove dalle consulenze tecniche espletate emergevano sia l’erronea progettazione delle opere sia la decisione sbagliata del condominio di eseguire lavori parziali ed in economia. Ne consegue che sia il direttore dei lavori che il condominio devono reputarsi responsabili o in subordine corresponsabili (ex art. 1227 c.c., comma 2), nulla invece potendo essere imputato all’impresa esecutrice.

Il settimo motivo, da trattare congiuntamente, attesa la connessione delle questioni che sono involte, denunzia la violazione e falsa applicazione dell’art. 1227 c.c., comma 1, in quanto, sulla base delle medesime considerazioni già sviluppate nel motivo sopra riportato, non appare comprensibile per quale motivo sia stata addebitata la responsabilità esclusiva dell’accaduto all’appaltatore.

I motivi, in disparte l’evidente carenza del requisito di specificità di cui all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui richiama il contenuto delle consulenze tecniche esperite in corso di causa omettendo di riportarne con precisione l’intero contenuto, ovvero riportando solo stralci limitati delle stesse, senza consentire sulla base della lettura del ricorso, di poter apprezzare appieno il senso delle osservazioni alle quali si fa richiamo, sono palesemente infondati.

Le tesi dei ricorrenti si fondano a ben vedere sulla surrettizia aspirazione ad una diversa ricostruzione delle vicende in fatto così come operata dal giudice di merito, in evidente violazione dei limiti del sindacato del giudice di legittimità. Inoltre non si confrontano affatto con il reale tenore della decisione impugnata, partendo erroneamente dal presupposto che i lavori sarebbero stati eseguiti a regola d’arte e che la responsabilità dell’accaduto sarebbe da imputare in toto (ovvero in parte) alla condotta degli intimati.

La corretta interpretazione del decisum della sentenza impugnata consente, infatti, di affermare che la stessa ha ritenuto del tutto priva di rilevanza causale la decisione del condominio di procedere ad una ristrutturazione parziale del fabbricato, anzichè, come pure appariva opportuno, ad un rifacimento globale, trattandosi di una valutazione rimessa essenzialmente alla discrezionalità dell’ente di gestione.

Da tale premessa ha poi tratto l’ulteriore conclusione circa la correttezza dell’operato del direttore dei lavori, nonchè progettista, il quale aveva adeguato il proprio impegno professionale alle esigenze rappresentate dal condominio.

Il ragionamento del giudice di merito, che è pervenuto ad imputare in esclusiva all’appaltatore la responsabilità dell’accaduto, trova poi conforto nelle considerazioni in fatto, supportate da logiche ed argomentate considerazioni, in base alle quali, come evidenziato dalle conclusioni del CTU, che a tal fine aveva anche compiuto dei saggi, era emerso che le imperfezioni dell’opus come denunziate dal condominio erano da ricondurre alla difettosa esecuzione dei lavori, senza che quindi sia stata individuata una concorrente incidenza causale della decisone di intervenire solo parzialmente.

In relazione appunto alla limitata portata dell’appalto, la sentenza d’appello ha ritenuto che le lesioni erano ricollegabili “all’avvenuta cattiva esecuzione dei lavori specificamente previsti nel contratto d’appalto”, non avendo peraltro l’impresa appaltatrice rifiutato di addivenire alla realizzazione di opere che oggi afferma insuscettibili di poter essere adeguatamente eseguite, in assenza di una radicale opera di ristrutturazione.

La decisione ha poi tecnicamente dato contezza delle ragioni per le quali ha ravvisato la responsabilità dell’appaltatore, segnalando come l’impresa, sebbene ve ne fossero indici sintomatici, non avesse provveduto a trattare adeguatamente le armature in ferro dei balconi, interessate da fenomeni di ossidazione, provvedendo, come imposto dal contratto, a rimuovere le parti ammalorate ed al trattamento e pulitura della armature corrose. Inoltre, anche laddove tali interventi erano stati eseguiti, erronea era stata la loro esecuzione, in quanto l’applicazione della malta era stata parziale, ovvero direttamente sull’intonaco, senza quindi rimuovere le cause delle successive deformazioni, quali appunto l’ossidazione delle armature.

In presenza di una puntuale ed argomentata ricostruzione in fatto delle vicende, le argomentazioni del giudice di appello circa la carenza del nesso di causalità tra le condotte asseritamente colpevoli ascritte alle controparti (da ricondurre più correttamente alla previsione di cui dell’art. 1227 c.c., comma 1, imputandosi di avere contribuito alla realizzazione del fatto dannoso sul piano della causalità materiale, e non anche di avere commesso o omesso di porre in essere condotte idonee ad incidere sull’aggravamento dei danni già prodotti, e quindi sul diverso piano della causalità giuridica), le critiche dei ricorrenti non possono in alcun modo avere seguito.

Trattasi, come già detto, di una sostanziale contestazione della valutazione dei fatti di causa operata dalla Corte d’Appello, la quale appare invece adeguatamente supportata sul piano argomentativo, e peraltro fondata su alcune affermazioni apodittiche o comunque rimaste prive di qualsivoglia riscontro, come appunto l’affermazione che gli interventi siano stati eseguiti a regola d’arte, seppur nel limitato ambito dell’incarico ricevuto, ovvero che l’attività dell’appaltatore sia stata ridotta al rango di nudus minister per le ingerenze incontrastabili del committente.

Peraltro deve altresì ricordarsi, in punto di pretesa violazione della prescrizione di cui all’art. 1227 c.c., che, in linea con il costante principio per il quale l’accertamento del nesso di causalità costituisce oggetto dell’insindacabile accertamento del giudice di merito, che la giurisprudenza di questa Corte a più riprese ha affermato che (cfr. Cass. n. 5511/2003) in tema di risarcimento del danno, dell’art. 1227 c.c., comma 1, attiene all’ipotesi del fatto colposo del creditore che abbia concorso al verificarsi dell’evento dannoso, mentre il comma 2, ha riguardo a situazione in cui il danneggiato sia estraneo alla produzione dell’evento ma abbia omesso, dopo la relativa verificazione, di fare uso della normale diligenza per circoscriverne l’incidenza; l’accertamento dei presupposti per l’applicabilità della suindicata disciplina integra indagine di fatto, come tale riservata al giudice di merito e sottratta al sindacato di legittimità se assistita da motivazione congrua (conf., con specifico riferimento dell’art. 1227 c.c., comma 1, Cass. n. 774/14969; Cass. n. 2141/1970, e con riferimento al comma 2 dello stesso articolo, Cass. n. 15231/2007; Cass. n. 6735/2005).

La riscontrata esclusione della incidenza causale della esecuzione parziale sul verificarsi dei danni lamentati, rende quindi priva di rilevanza anche l’eventuale segnalazione da parte dell’appaltatore dell’inidoneità dei lavori come in concreto commissionati, posto che, anche a tacere della mancanza di una prova siffatta, la responsabilità dei ricorrenti è stata affermata in ragione, come detto, dell’erronea esecuzione proprio dei lavori parziali eseguiti.

3. Le suesposte considerazioni in merito all’infondatezza del primo e del secondo motivo, evidenziano di per sè anche l’infondatezza del terzo motivo con il quale si censurano le statuizioni del giudice di appello già esaminate, sotto il diverso profilo del vizio di motivazione, occorrendo quanto alla questione del contributo unificato, confermare la correttezza della affermazione circa la sostanziale autonomia tra la detta dichiarazione e la diversa questione concernente l’individuazione del valore della domanda, e, quanto all’affermazione di responsabilità dell’appaltatore, far richiamo alle ampie ed argomentate valutazioni della sentenza, che denotano l’assoluta assenza di incoerenze o illogicità.

4. Il quarto motivo di ricorso denunzia la violazione e falsa applicazione degli artt. 1660 e 1661 c.c., in relazione al mancato accoglimento della domanda riconvenzionale, concernente la pretesa dell’appaltatore di conseguire il corrispettivo per l’esecuzione di lavori aggiuntivi rispetto a quelli preventivati nel contratto di appalto.

Si sostiene che la sentenza ha concluso nel senso che anche i lavori de quibus dovevano reputarsi ricompresi negli accordi originari, giusta quanto prescritto dall’art. 7 del computo metrico estimativo, senza però tenere conto degli accordi successivamente intervenuti tra l’impresa, il condominio e la direzione lavori.

La tesi dei ricorrenti è infatti nel senso che durante i lavori, a fronte della segnalazione delle necessità per l’impresa di porre in essere la ricostruzione dei parapetti in cemento armato, prima occupata dai gocciolatoi in ferro, vi sarebbe stata acquiescenza della committente, in quanto avrebbe concesso un’ulteriore proroga dei tempi di consegna.

Il motivo è infondato.

Ed, invero, rilevato che il motivo difetta di specificità ex art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, nella parte in cui omette di riprodurre in ricorso il tenore dell’art. 7 del computo metrico, sulla cui scorta la Corte distrettuale ha ritenuto che i lavori per i quali è richiesto il pagamento di un compenso aggiuntivo, fossero già ricompresi tra quelli affidati in appalto e per i quali era stato altresì concordato il corrispettivo, il motivo mira essenzialmente a contestare il risultato ermeneutico raggiunto dal giudice di merito, in ordine alla corretta ricostruzione della volontà delle parti, senza peraltro nemmeno addure la violazione di una precisa regola legale di interpretazione del contratto.

Inoltre, la tesi si palesa evidentemente priva di giustificazione nella parte in cui, a fronte della semplice concessione di una proroga dei tempi di consegna, ritiene di poter ravvisare un’acquiescenza della parte committente ad una richiesta di modificazione del contenuto del contratto, in assenza di una puntuale indicazione nella richiesta inoltrata dall’impresa (della quale nemmeno viene riportato il contenuto in ricorso) della precisazione che i lavori per i quali era richiesto un differimento dei tempi di consegna, sarebbero stati remunerati con un incremento del prezzo concordato ab origine.

5. Il quinto ed il sesto motivo che possono essere congiuntamente trattati, attesa la connessione delle questioni che presentano, sono parimenti destituiti di fondamento.

Con il quinto si lamenta la violazione e falsa applicazione dell’art. 1176 c.c., comma 2, artt. 1668, 1710 e 2236 c.c., nella parte in cui è stata disattesa la domanda di garanzia spiegata nei confronti del Direttore dei lavori.

Si evidenzia che, in relazione anche al ruolo di progettista dei lavori, il C. sarebbe venuto meno agli obblighi legali che gli incombevano, in quanto avrebbe omesso di prevedere la sostituzione dei corrimano dimensionati, la realizzazione delle copertine di marmo nonchè l’esecuzione di lavori di integrale ristrutturazione.

Il sesto motivo, in relazione al medesimo punto, lamenta l’insufficiente e contraddittoria motivazione con specifico riferimento alla affelmazione della Corte d’Appello di reputare esente da responsabilità il C., nonostante non avesse disposto l’integrale ristrutturazione del fabbricato.

Le superiori considerazioni in merito alla puntualità della ricostruzione dei fatti ed alla logicità dell’iter argomentativo della sentenza gravata, circa la analitica individuazione delle ragioni per le quali è stata ravvisata la responsabilità dell’appaltatore (imperfetta esecuzione degli specifici incarichi scaturenti dalla decisione di eseguire una ristrutturazione parziale, senza che tale scelta effettuata a monte avesse efficacia causale nel verificarsi del danno dedotto) consentono di affermare anche in merito a tali doglianze come le stesse si risolvano in una sollecitazione non permessa ad una diversa rivalutazione dei fatti di causa, dovendosi escludere sia la dedotta violazione di legge sia la carenza motivazionale.

6. L’ottavo motivo di ricorso denunzia infine la violazione e falsa applicazione degli artt. 91 e 92 c.p.c., laddove la sentenza gravata, nel confermare la sentenza del Tribunale, ha posto le spese del giudizio di appello a carico del L., e ciò sebbene la richiesta di provvedimento ex art. 700 c.p.c., avanzata da parte del condominio in corso di causa, fosse stata convertita in un ATP, con un sostanziale rigetto.

Della sorte delle spese relative a tale incidente cautelare non vi è traccia nella motivazione della sentenza così che la decisione di porre le spese dell’intero giudizio a carico del L. risulta adottata in violazione dell’art. 92 c.p.c., configurandosi un’ipotesi assimilabile a quella della soccombenza reciproca.

Il motivo è infondato.

La natura strumentale dei procedimenti cautelari in corso di causa, non consente di compiere un apprezzamento autonomo dell’esito degli stessi, alla luce della soluzione adottata in ordine alla richiesta incidentale, occorrendo invece avere sempre riguardo unicamente alla sorte del giudizio per quanto attiene al merito della pretesa azionata.

In tal senso è evidente che l’esito del giudizio ha delineato la soccombenza totale del L. in raffronto alla pretesa del condominio, che ha visto accolta la propria domanda di riduzione del prezzo, con il conseguente rigetto della domanda riconvenzionale.

La decisione gravata ha quindi fatto corretta applicazione della regola posta dall’art. 91 c.p.c., applicazione che è incensurabile in sede di legittimità, laddove si contesti il mancato esercizio da parte del giudice di merito del potere discrezionale di disporre la totale ovvero parziale compensazione delle spese di lite.

7. All’integrale rigetto del ricorso, consegue la condanna dei ricorrenti al rimborso delle spese del presente grado in favore del condominio, come liquidate in dispositivo.

Nulla a disporre nei confronti del C. che non ha svolto attività difensiva in questa sede.

PQM

La Corte, rigetta il ricorso e condanna i ricorrenti al rimborso in favore del controricorrente delle spese del grado che liquida in complessivi Euro 5.200,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre 15 % sui compensi ed accessori come per legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile, il 2 marzo 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2017

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