Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9193 del 10/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 10/04/2017, (ud. 12/01/2017, dep.10/04/2017),  n. 9193

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. BIANCHINI Bruno – Presidente –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. ORILIA Lorenzo – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 9276-2012 proposto da:

S.G. (OMISSIS), L.N.A. (OMISSIS),

elettivamente domiciliati in ROMA, CIRCONVALLAZIONE CLODIA 94,

presso lo studio dell’avvocato ROBERTA CIOTTI, che li rappresenta e

difende unitamente all’avvocato ANTONIO GIANCOLA;

– ricorrenti –

contro

G.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

F. CONFALONIERI 5, presso lo studio dell’avvocato ANDREA MANZI, che

lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato CRISTINA SECCIA;

– controricorrente –

avverso l’ordinanza del TRIBUNALE di BUSTO ARSIZIO, depositata il

19/10/2011, R.G.n. 547/2011 Rep. 961;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

12/01/2017 dal Consigliere Dott. SCALISI ANTONINO;

udito l’Avvocato ROBERTA CIOTTI, difensore dei ricorrenti, che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso;

udito l’Avvocato CRISTINA SECCIA, difensore del controricorrente,

difese in atti; udito il P.M. in persona del Generale Dott. GIOVANNI

ROSARIO per l’accoglimento del ricorso.

Fatto

Svolgimento del processo

S.G. ed L.A.N. si opponevano al decreto di liquidazione del compenso, pari ad Euro 14.715,83 del custode giudiziario G.F. di quote societarie delle società Immobiliari Taormina srl in liquidazione, Immobiliare Amba srl, Hayer Immobiliare srl D.P.R. n. 115 del 2002, ex art. 170, emesso dal Tribunale di Busto Arsizio. Eccepivano le opponenti che l’anzidetto decreto risultava essere errato sotto vari profili per inosservanza delle disposizioni di cui alla tariffa dei dottori commercialisti utilizzata per determinare l’ammontare del compenso. In particolare il Dott. G. aveva erroneamente applicato l’art. 29 della tariffa dei dottori commercialisti avendo preso come base del calcolo per individuare il valore delle quote oggetto della custodia l’attivo, al netto dei fondi di ammortamento delle tre società, in misura integrale determinato in Euro 2.690.536,00. L’errore derivava dalla circostanza che l’incarico di custodia conferito al Dott. G. non si riferiva alla società nè al 100% delle quote sociali di esse ma solo limitatamente ad una sola parte. Piuttosto, se applicato correttamente quel criterio, tenendo conto del valore dei singoli beni, il compenso del Dott. G. per i due anni di custodia sarebbe stato complessivamente apri ad Euro 2.124,68. Il Dott. G. aveva altresì richiesto una indennità ex art. 19 della tariffa professionale per 12 ore per un compenso orario di Euro 77,48 nonchè un rimborso chilometrico per tre occasioni ma delle dette richieste non era stato dato adeguata giustificazione. Le sig.re L.S. chiedevano, pertanto di revocare ovvero di annullare o di dichiarare nullo il decreto del 17 giugno 2011 con cui era stato liquidato il compenso al custode.

Si costituiva il Dott. G. sostenendo di aver applicato correttamente la tariffa professionale allegando altresì parere di congruità emesso dal competente Consiglio dell’Ordine, chiedeva pertanto la conferma del decreto opposto.

Il Tribunale di Busto Arsizio con ordinanza del 17 ottobre 2011 pubblicata il 18 ottobre 2011 confermava il decreto di liquidazione impugnato e condannava le opponenti al pagamento delle spese del giudizio. Secondo il Tribunale di Busto Arsizio: a) la norma di cui all’art. 29 delle tariffe professionali pone a base per il calcolo del compenso l’attivo lordo risultante dalla situazione patrimoniale e non il valore dell’attivo rapportato alle singole quote; b) non potevano trovare accoglimento le contestazioni relative al chilometraggio e al numero delle trasferte esposte perchè ragionevolmente congrue.

La cassazione di questa ordinanza è stata chiesta dalle sigg.re S.G. ed L.A.N. con ricorso affidato a due motivi. Il Dott. G.F. ha resistito con controricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

In via preliminare va rigettata:

a) l’eccezione di inammissibilità del ricorso per cassazione per decorrenza del termine utile per proporre ricorso per cassazione proposta dal controricorrente G.F.. Secondo il ricorrente l’ordinanza che respinse il ricorso risulta notificata nel mese di ottobre del 2011 con la conseguenza ce da tale data decorreva il termine breve di 60 giorni per la proposizione del ricorso per cassazione. L’eccezione è inammissibile perchè generica posto che eccepisce la notifica dell’ordinanza impugnata ma non l’indicazione del come, del quando e del dove tale notifica sia stata effettuata.

b) l’eccezione di inammissibilità del ricorso in relazione al disposto dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 3, il quale prescrive che il ricorso deve contenere, a pena d’inammissibilità, l’esposizione sommaria dei fatti della causa. Il rilievo è infondato, posto che secondo il costante orientamento di questa Corte, detto requisito deve ritenersi soddisfatto quando il ricorso contiene elementi sufficienti ad intendere il significato e la portata delle censure rivolte alla sentenza impugnata (Cass. 25 giugno 1999, n. 6573; 8 marzo 2000, n. 2642; 30 marzo 2001, n. 4743; 17 ottobre 2001, n. 12681). Orbene, nel ricorso si pone in evidenza l’oggetto della controversia, il diritto, o i diritti del Dott. G. nonchè lo volgimento del processo in primo e in secondo grado, le ragioni per le quali le ricorrenti hanno chiesto la cassazione della sentenza impugnata. Non può esservi quindi dubbio che l’onere imposto dalla norma sopra richiamata sia stato assolto dal ricorrente, dal momento che le precisazioni fornite sono sufficienti ad intendere i termini delle questioni sottoposte al giudizio di questa Corte.

1.= Con il primo motivo di ricorso le sigg.re S.G. ed L.A.N. lamentano la violazione e falsa applicazione del D.M. n. 169 del 2010, art. 29, in relazione agli artt. 2247, 2468 e 2555 c.c.. Secondo le ricorrenti il Tribunale avrebbe errato nel determinare il compenso del custode in considerazione dell’intero valore della società quando, invece, detto valore, ai sensi del D.M. della Giustizia n. 169 del 2010, art. 29, doveva essere rapportato a quello delle quote sociali oggetto di custodia.

1.1. = Il motivo è fondato.

Va qui precisato che la tariffa professionale dei dottori commercialisti e degli esperti contabili è prevista dal D.M. della Giustizia n. 169 del 2010, e ai sensi dell’art. 29 di detto decreto “Oltre agli onorari previsti negli articoli di questa sezione, al professionista spettano, per la custodia e conservazione delle aziende o dei beni, i seguenti onorari annui determinati in misura compresa tra lo 0,2% e lo 0,3% del valore dei beni o, se trattasi di aziende, sull’attivo lordo risultante dalla situazione patrimoniale (…)”. Come è del tutto evidente la norma prescrive che gli onorari sia determinati in misura compresa tra 1’0,2 e 0,3 del valore dei beni o del valore dell’azienda. In buona sostanza, per la norma il compenso spettante al custode è stabilito previa la determinazione del valore del bene o dei beni, oggetto di custodia o al valore dell’azienda se oggetto di custodia sia l’azienda.

Ora tenuto conto che nel caso specifico oggetto della custodia sono le quote di partecipazione a tre diverse società, e posto che la quota di cui si dice non è assimilabile ad una azienda, ma tutt’al più, essendo autonoma ed individuale, ad un bene, il calcolo del compenso va determinato tenuto conto del valore della quota.

Ha errato, dunque, il Tribunale nel ritenere che il compenso andava calcolato tenuto conto dell’intero valore della società.

2.= Con il secondo motivo le ricorrenti denunciano la violazione ovvero la falsa applicazione del D.M. n. 169 del 2010, artt. 19 e 56. Insufficiente ovvero omessa motivazione circa un fatto controverso e decisivo del giudizio rappresentato dalle ore di attività extra studio asserite effettuate. Le ricorrenti sostengono che erroneamente il Tribunale avrebbe riconosciuto al custode Dott. G. un’indennità ex art. 19 della tariffa professionale di cui al D.M. della Giustizia n. 169 del 2010 per dodici ore senza, tuttavia che il commercialista avesse offerto la prova della propria assenza dal proprio studio. E di più sempre secondo le ricorrenti due delle tre occasioni per le quali sarebbe dovuta l’indennità ex art. 19 già citato si sarebbero verificate sotto il vigore della precedente tariffa professionale di cui al D.M. della giustizia n. 654 del 1994. 2.1. = Il motivo è infondato sotto il primo profilo e inammissibile quanto al secondo profilo. E’ infondato perchè implica un’indagine attinente al merito o, comunque, presupporrebbe un’allegazione delle ragioni per le quali non sarebbe stata affidabile l’attestazione del consulente, che pur sempre è pubblico ufficiale, di essere stato assente dalla sua sede professionale per ragioni attinenti al proprio ufficio (come ribadito e specificato a foglio 7 del controricorso ove si richiamano i documenti attestanti i tempi degli spostamenti dell’ausiliare.

2.1.a) E’ inammissibile il secondo profilo per genericità posto che il suddetto profilo della censura non trova alcun riferimento nella sentenza impugnata.

In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso e rigettato il secondo, l’ordinanza impugnata va cassata e la causa va rinviata al Tribunale di Busto Arsizio nella persona di altro Magistrato anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso e rigetta il secondo, cassa l’ordinanza impugnata e rinvia la causa al Tribunale di Busto Arsizio in persona di altra Magistrato anche per il regolamento delle spese relative al presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio della Seconda Sezione Civile della Corte di Cassazione, il 12 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2017

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