Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9192 del 03/04/2019

Cassazione civile sez. VI, 03/04/2019, (ud. 21/11/2018, dep. 03/04/2019), n.9192

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SESTA CIVILE

SOTTOSEZIONE L

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DORONZO Adriana – Presidente –

Dott. ESPOSITO Lucia – rel. Consigliere –

Dott. FERNANDES Giulio – Consigliere –

Dott. GHINOY Paola – Consigliere –

Dott. DE MARINIS Nicola – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 26447-2017 proposto da:

T.A., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA SCIRE’

15, presso lo studio dell’avvocato LUIGI CASALE, rappresentata e

difesa dall’avvocato ROSARIO VIZZARI;

– ricorrente –

contro

INPS – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona del

legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso l’AVVOCATURA CENTRALE

DELL’ISTITUTO, rappresentato e difeso dagli avvocati GIUSEPPINA

GIANNICO, ANTONELLA PATTERI, SERGIO PREDEN, LUIGI CALIULO;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 19/2017 della CORTE D’APPELLO di ANCONA,

depositata il 13/04/2017;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio non

partecipata del 21/11/2018 dal Consigliere Relatore Dott. LUCIA

ESPOSITO.

Fatto

RILEVATO

che la Corte d’appello di Ancona, in riforma della sentenza del giudice di primo grado, rigettava la domanda proposta da T.A. diretta al riconoscimento del diritto a percepire la maggiorazione sociale sulla pensione di vecchiaia goduta con decorrenza dal luglio 2005. A fondamento della decisione la Corte rilevava che esisteva un reddito incompatibile con la percezione della prestazione giacchè la T., titolare di assegno di mantenimento da parte del coniuge divorziato, in presenza di un titolo esecutivo costituito dalla sentenza di divorzio, non aveva provato l’incapienza del coniuge tenuto al versamento dell’assegno, nè di essersi efficacemente attivata per la riscossione coattiva del credito, posto che risultava che aveva intrapreso una procedura esecutiva immobiliare conclusasi con l’estinzione, senza portarla a compimento ingiustificatamente e mancando di promuovere procedure esecutive di natura mobiliare;

che avverso la sentenza propone ricorso per cassazione T.A.M. con unico articolato motivo;

che l’Inps resiste con controricorso;

che la proposta del relatore, ai sensi dell’art. 380-bis c.p.c., è stata comunicata alle parti, unitamente al decreto di fissazione dell’adunanza in camera di consiglio non partecipata;

Diritto

CONSIDERATO

Che con unico motivo la ricorrente deduce, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 5, “omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti”. Osserva che, ove fosse stata portata a termine con la vendita la procedura esecutiva, le somme che si sarebbero potute ipoteticamente recuperare sarebbero entrate nel patrimonio della ricorrente solo allora; pertanto il giudice d’appello avrebbe dovuto confermare la sentenza di primo grado e sospendere il diritto a godere del beneficio della maggiorazione sociale solo dopo l’effettiva percezione delle somme. Rileva che nel caso di specie non esiste la titolarità di un reddito a prescindere dalla concreta percezione del medesimo in capo alla ricorrente, concreta percezione che costituisce elemento essenziale per l’esistenza dei presupposti per la concessione del beneficio;

che il motivo è inammissibile poichè già la sua stessa formulazione non è conforme ai parametri di cui all’art. 360 c.p.c., n. 5 novellato, come interpretato da Cass. Sez. U. n. 8053 del 07/04/2014, il cui testo introduce nell’ordinamento un vizio specifico che concerne l’omesso esame di un fatto storico, principale o secondario, la cui esistenza risulti dal testo della sentenza o dagli atti processuali, che abbia costituito oggetto di discussione tra le parti e abbia carattere decisivo (vale a dire che se esaminato avrebbe determinato un esito diverso della controversia). La censura finisce, piuttosto, per ripercorrere le risultanze istruttorie traendone conclusioni difformi da quelle cui è giunto il giudice del merito, che, richiamando la scansione della pregressa vicenda esecutiva, ha ritenuto carente sul piano probatorio la dimostrazione di un’attivazione efficace da parte della ricorrente in funzione della riscossione coattiva del credito vantato dalla stessa e mancante la prova delle ragioni addotte a giustificazione del mancato compimento dell’iter procedurale esecutivo, in tal modo sottoponendo alla Corte di legittimità questioni di mero fatto che prospettano inammissibilmente un nuovo giudizio di merito;

che alla declaratoria di inammissibilità consegue la regolamentazione delle spese secondo soccombenza;

che sussistono i presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, essendo stata la parte ammessa al gratuito patrocinio a spese dello Stato solo con riguardo al giudizio di primo grado.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso e condanna la ricorrente al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in complessivi Euro 2.000,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre spese generali nella misura del 15% e accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 21 novembre 2018.

Depositato in Cancelleria il 3 aprile 2019

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