Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9190 del 19/05/2020

Cassazione civile sez. III, 19/05/2020, (ud. 31/10/2019, dep. 19/05/2020), n.9190

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FRASCA Raffaele – Presidente –

Dott. DE STEFANO Franco – Consigliere –

Dott. OLIVIERI Stefano – Consigliere –

Dott. SCODITTI Enrico – Consigliere –

Dott. ROSSETTI Marco – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 13904-2017 proposto da:

C.G., + ALTRI OMESSI, elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA FLAMINIA, 135, presso lo studio dell’avvocato MAURIZIO

MONTERISI, rappresentati e difesi dall’avvocato AMERIGO MAGGI;

– ricorrenti –

contro

PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, MINISTERO ISTRUZIONE

UNIVERSITA’ RICERCA (OMISSIS), elettivamente domiciliati in ROMA,

VIA DEI PORTOGHESI 12, presso l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che

li rappresenta e difende;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 7469/2016 della CORTE D’APPELLO di ROMA,

depositata il 07/12/2016;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

31/10/2019 dal Consigliere Dott. MARCO ROSSETTI.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. L’esposizione dei fatti di causa sarà limitata alle sole circostanze ancora rilevanti in questa sede.

Nel 2008 gli odierni ricorrenti principali convennero (agendo unitamente ad altre persone) dinanzi al Tribunale di Roma la Presidenza del Consiglio dei ministri ed il ministero dell’Università e della ricerca scientifica, esponendo che:

-) dopo avere conseguito la laurea in medicina, si erano iscritti ad una scuola di specializzazione;

-) durante il periodo di specializzazione non avevano percepito alcuna remunerazione o compenso da parte della scuola stessa;

-) le direttive comunitarie n. 75/362/CEE e 75/363/CEE, così come modificate dalla Direttiva 82/76/CEE, avevano imposto agli Stati membri di prevedere che ai frequentanti le scuole di specializzazione fosse corrisposta una adeguata retribuzione;

-) l’Italia aveva dato tardiva e parziale attuazione a tali direttive solo con la L. 8 agosto 1991, n. 257.

Conclusero pertanto chiedendo la condanna delle amministrazioni convenute al risarcimento del danno sofferto in conseguenza della tardiva attuazione delle suddette direttive.

2. Con sentenza n. 16774 del 2010 il Tribunale rigettò la domanda, ritenendo prescritto il diritto.

La suddetta sentenza fu separatamente appellata dai vari soccombenti. La Corte d’appello di Roma, dopo avere riunito i gravami, al momento della decisioni separò le cause e, con riferimento alle domande proposte dagli odierni ricorrenti, dopo avere escluso la prescrizione del diritto rimise la causa sul ruolo disponendo un supplemento di istruttoria, al fine di accertare se le specializzazioni conseguite dagli appellanti fossero equipollenti a quelle previste da almeno due Stati membri (presupposto necessario per la configurabilità d’un danno risarcibile, giacchè in mancanza di esso non sarebbe scattato l’obbligo per lo stato italiano di prevedere una adeguata remunerazione per gli iscritti).

Quindi, con sentenza definitiva 7.12.2016 n. 7469, la Corte d’appello di Roma ha rigettato le domande proposte da quelli, tra gli originari attori, che avevano conseguito la specializzazione in chirurgia d’urgenza ed in pediatria preventiva e puericultura, ritenendo che tali specializzazioni non fossero comuni ad almeno due Paesi membri dell’UE.

3. La sentenza d’appello è stata impugnata per cassazione dai nove ricorrenti indicati in epigrafe, con ricorso fondato su due motivi ed illustrato da memoria.

La presidenza del Consiglio dei ministri ha resistito con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il primo motivo di ricorso.

1.1. Col primo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione della Direttiva 75/362, della Direttiva 82/76 e del D.M. 30 gennaio 1998.

nell’illustrazione del motivo sostengono una tesi così riassumibile:

-) le specializzazioni in chirurgia d’urgenza e in pediatria preventiva sono espressamente dichiarate equipollenti, rispettivamente, a quelle in “chirurgia” e “pediatria”, secondo quanto previsto dalla tabella allegata al D.M. 30 gennaio 1998;

-) le specializzazioni in chirurgia e pediatria sono espressamente menzionate dall’art. 5 della Direttiva 75/362;

-) ergo, la Corte d’appello ha rigettato la domanda sulla base di “una differenza meramente nominalistica” tra la scuola di specializzazione frequentata dagli odierni ricorrenti e quelle indicate come comuni ad almeno due Stati membri dal diritto comunitario.

Dopo aver esposto ciò, l’illustrazione del motivo introduce una seconda censura, sostenendo che se le denominazioni delle scuole di specializzazione delle università italiane non furono modificate ed armonizzate a quelle previste dalla direttiva comunitaria, ciò fu responsabilità dello Stato, di per sè idonea a legittimare la domanda di risarcimento.

1.1. Il motivo è, innanzitutto, inammissibile per estraneità alla ratio decidendi: la Corte d’appello, infatti, nel rigettare la domanda, ha affermato che a tanto induceva la “documentazione” acquisita dopo la rimessione della causa sul ruolo: affermazione, quest’ultima, sulla quale il ricorso nulla dice.

Il motivo, in ogni caso, sarebbe comunque infondato.

Come noto la (allora) Comunità Europea nel 1975 volle dettare norme uniformi per “agevolare l’esercizio effettivo del diritto di stabilimento e di libera prestazione dei servizi di medico”, e lo fece con due direttive coeve: la direttiva 75/362/CEE e la direttiva 75/363/CEE, ambedue del 16.6.1975.

La prima sancì l’obbligo per gli Stati membri di riconoscere l’efficacia giuridica dei diplomi rilasciati dagli altri Stati membri per l’esercizio della professione di medico; la seconda dettò i requisiti minimi necessari affinchè il suddetto riconoscimento potesse avvenire, tra i quali la durata minima del corso di laurea e la frequentazione a tempo pieno di una “formazione specializzata”.

L’una e l’altra di tali direttive vennero modificate qualche anno dopo dalla Direttiva 82/76/CEE del Consiglio, del 26 gennaio 1982.

Per quanto in questa sede rileva, la direttiva 75/362 distinse due gruppi di specializzazioni: quelle comuni a tutti gli Stati membri (artt. 4-5); e quelle comuni a due o più Stati membri, ma non a tutti (artt. 6-8).

I diplomi di specializzazione comuni agli Stati membri vennero stabiliti direttamente dal legislatore comunitario, che li elencò nell’art. 5, p. 2, della Direttiva 75/362. Essi erano:

anestesia e rianimazione;

chirurgia generale;

neurochirurgia;

ostetricia e ginecologia;

medicina interna;

oculistica;

otorinolaringoiatria;

pediatria;

tisiologia e malattie dell’apparato respiratorio;

urologia;

ortopedia e traumatologia.

Il successivo art. 7, p. 2, della medesima Direttiva stabilì invece quali fossero i diplomi di specializzazioni “equipollenti”, perchè comuni ad almeno due Stati membri:

biologia clinica;

ematologia biologica;

microbiologia – batteriologia;

anatomia patologica;

biochimica;

immunologia;

chirurgia plastica;

chirurgia toracica;

chirurgia pediatrica;

chirurgia vascolare;

cardiologia;

gastroenterologia;

reumatologia;

ematologia generale;

endocrinologia;

fisioterapia;

stomatologia;

neurologia;

psichiatria;

neuropsichiatria;

dermatologia e venereologia;

radiologia;

radio diagnostica;

radioterapia;

medicina tropicale;

psichiatria infantile;

geriatria;

malattie renali;

malattie infettive;

community medicine;

farmacologia;

occupational medicine;

allergologia;

chirurgia dell’apparato digerente.

Le medesime specializzazioni sono previste dagli artt. 4 e 5 della Direttiva 75/363/CEE.

Nè, dunque, l’art. 5, nè l’art. 7 della Direttiva 362/75/CEE prevedono la chirurgia d’urgenza (è conforme Sez. L, Sentenza n. 147 dell’8.1.2016), nè la pediatria preventiva (è conforme Sez. 3, Ordinanza n. 20303 del 26/07/2019).

1.2. Nè a diverse conclusioni possono indurre le previsioni del D.M. 30 gennaio 1998, invocato dai ricorrenti. Tale provvedimento infatti non viene in rilievo nel presente giudizio.

Il suddetto decreto non stabilisce alcuna equipollenza tra le specializzazioni previste dall’ordinamento interno e quelle indicate nelle direttive comunitarie, ma disciplina unicamente l’equipollenza tra le specializzazioni interne ai fini della partecipazione ai concorsi banditi dalle Aziende Sanitarie ed Ospedaliere, per l’attribuzione della qualifica di dirigente.

L’art. 1 di tale decreto infatti esordisce con un complemento di scopo, che delimita l’ambito applicativo della norma: “ai fini della valutazione dei servizi prestati e delle specializzazioni possedute per l’accesso alla direzione sanitaria aziendale e per l’accesso al secondo livello dirigenziale per le categorie professionali dei medici, veterinari, farmacisti, odontoiatri, biologi, chimici, fisici e psicologi si fa riferimento rispettivamente alle tabelle “A” e “B” allegate al presente decreto di cui fanno parte integrante”.

Pertanto la circostanza che nel suddetto D.M. la specializzazione – ad esempio – in chirurgia d’urgenza sia equiparata, al fine della nomina a dirigente sanitario, alla specializzazione in medicina interna, non vuol dire affatto che l’una e l’altra specializzazione siano “equipollenti” per i fini di cui all’art. 7 della Direttiva 362/75/CEE.

Una disciplina, dunque, del tutto irrilevante ai fini del nostro problema, come già ritenuto da questa Corte (Sez. 3, Ordinanza n. 20303 del 26/07/2019; Sez. 3, Ordinanza n. 1058 del 17.1.2019).

Corretta fu, pertanto, la decisione della Corte d’appello di rigetto delle domande di pagamento dell’indennizzo relativamente ai corsi di specializzazione nelle suddette materie.

2. Il secondo motivo di ricorso.

2.1. Anche col secondo motivo i ricorrenti lamentano, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione delle direttive comunitarie sopra indicate.

Il motivo investe la statuizione con cui la Corte d’appello ha affermato che ostava alla domanda proposta da C.G., oltre la non equipollenza della specializzazione, anche la circostanza che questi si era immatricolato in epoca “antecedente al 1983-1984”.

2.2. Il motivo è inammissibile per difetto di rilevanza. Infatti, una volta ritenuta corretta la statuizione con cui la Corte d’appello ha ritenuto non dovuto il risarcimento a quanti si fossero specializzati in “chirurgia di urgenza”, tra cui C.G., resta irrilevante accertare se la Corte d’appello abbia individuato correttamente o meno il periodo a partire dal quale è dovuto il risarcimento.

3. Le spese.

3.1. Le spese del presente giudizio di legittimità possono essere compensate per l’intero, tenuto conto della incertezza del quadro normativo e giurisprudenziale che ha caratterizzato, negli ultimi anni, la materia oggetto del contendere.

3.2. Il rigetto del ricorso costituisce il presupposto, del quale si dà atto con la presente sentenza, per il pagamento a carico della parte ricorrente di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater (nel testo introdotto dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17).

PQM

la Corte di cassazione:

(-) dichiara inammissibile il ricorso;

(-) compensa integralmente tra le parti le spese del presente giudizio di legittimità;

(-) dà atto che sussistono i presupposti previsti dal D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, per il versamento da parte di i ricorrenti in solido di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per l’impugnazione.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della Sezione Terza civile della Corte di cassazione, il 31 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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