Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 919 del 17/01/2014


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Civile Sent. Sez. 1 Num. 919 Anno 2014
Presidente: VITRONE UGO
Relatore: CAMPANILE PIETRO

SENTENZA

sul ricorso n. 21276 dell’anno 2006 proposto da:
RASSETTI PAOLO

BASSETTI PAOLA

Elettivamente domiciliati in Roma,

Via G.B.

Morgagni, n. 2/a, nello studio dell’avv. Umberto
Segarelli, che li rappresenta e difende, come da
procura speciale a margine del ricorso.
ricorrenti
contro

COMUNE DI SANGEMINI

92)C
20i5

(

Data pubblicazione: 17/01/2014

Elettivamente domiciliato in Roma, Via Maria Cristina, n. 8, nello studio dell’avv. Alarico mariani

senta e difende, come da procura speciale a margine
del controricorso.
controri corrente

avverso la sentenza della Corte di Appello di Perugia n. 158, depositata in data 19 maggio 2005;
udita la relazione all’udienza del 28 maggio 2013
del consigliere Dott. Pietro Campanile;
sentito l’avv. Segarelli per i ricorrenti, che ha
chiesto l’accoglimento del ricorso;
sentito l’avv. F. Picciuno, munito di delega, per
il controricorrente;
Udite le richieste del Procuratore Generale, in
persona del Sostituto Dott. Pasquale Fimiani, il
quale ha concluso per in rinvio in attesa della decisione delle SS.UU., in subordine, per
l’accoglimento del ricorso.
Svolgimento del processo

l – Con sentenza n. 158 del 1998 il Tribunale di
Terni condannava il Comune di Sangemini al pagamento in favore dei signori Paolo e Paola Bassetti, a
titolo di risarcimento del danno derivante

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marini (studio avv. Alfredo Gobbi), che lo rappre-

dall’irreversibile trasformazione di un’area di loro proprietà, occupata illegittimamente, della somma di lire 200.954.559, oltre rivalutazione ed in-

1.1 – La Corte di appello di Perugia, con la decisione indicata in epigrafe, in parziale riforma di
detta decisione, avverso la quale aveva proposto
appello il Comune di Sangemini, individuava, sulla
base delle risultanze della consulenza tecnica
d’ufficio, il momento della irreversibile trasformazione del fondo nella data del 31 dicembre 1985,
e, applicati i criteri riduttivi di cui al comma 7
bis dell’art. 5 bis della l. n. 549 del 1992, riconsiderata l’entità del pregiudizio arrecato alla
restante proprietà, rideterminava in C 59.080,70 la
somma complessivamente spettante agli attori, con
rivalutazione monetaria decorrente dal 3 dicembre
1985 e con gli interessi legali, in misura corrispondente alla metà di quelli legali.
1.2 – Per la caSsazione di tale decisione i signori
Paolo e Paola Bassetti propongono ricorso, affidato
a due motivi, cui il Comune resiste con controricorso.
Le parti hanno depositato memorie ai sensi
dell’art. 378 c.p.c..

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teressi.

Motivi della decisione

2 – Debbono preliminarmente esaminarsi le eccezioni
di inammissibilità del ricorso sollevate dall’ente

domanda relativa all’entità del risarcimento, da
commisurarsi al valore venale del fondo, sia allo
ius superveniens costituito dall’art. 42 bis, aggiunto dall’art. 34, comma l, del D.L. 6 luglio
2011, n. 98, al d.P.R. n. 327 del 2001.
2.1 – La prima questione, oltre ad essere travolta,
come si vedrà, dalla necessità di dare applicazione, nel giudizio in esame, al quadro normativo
emergente dalla nota pronuncia della Corte costituzionale n. 349 del 2007, non può risolversi nel
senso indicato dal controricorrente, in quanto, a
prescindere dai rilievi esegetici circa le specifiche norme invocate dai proprietari nel corso del
giudizio, è del tutto pacifico che essi abbiano
sempre chiesto il risarcimento del danno provocato
dalla illegittima ed irreversibile trasformazione
del loro fondo: la denuncia della violazione (anche) delle disposizioni della Convenzione europea
dei diritti dell’uomo, così come interpretate dalla
Corte di Strasburgo, si pone in diretta correlazione – nell’ambito del principio

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iura novit curia

territoriale con riferimento sia alla novità della

con il

decisum

nonché, sotto altro profilo, con

l’obbligo della giurisdizione nazionale di interpretare ed applicare il diritto interno, per quanto

giurisprudenza di Strasburgo, che ha natura giuridica, ed il cui mancato rispetto da parte del giudice del merito concretizza il vizio di violazione
di legge, denunziabile dinanzi alla Corte di cassazione (Cass., Sez. un., 26 gennaio 2004, n. 1340;
Cass., ord., 29 maggio 2006, n. 12810, proprio in
tema di occupazione espropriativa).
2.2 – La presente vicenda processuale non può risentire – al contrario di quanto sostenuto in memoria dalla parte controricorrente – degli effetti
del D.P.R. n. 327 del 2001, art. 42 bis, introdotto
dal D.L. n. 98 del 2011, art. 34 ed applicabile,
secondo quanto espressamente previsto dal comma 8,
“anche ai fatti anteriori alla sua entrata in vigore”. Secondo tale disposizione, come è noto, “l’autorità che utilizza un bene immobile per scopi di
interesse pubblico, modificato in assenza di un valido ed efficace provvedimento di esproprio o dichiarativo della pubblica utilità, può disporre che
esso sia acquisito, non retroattivamente, al suo
patrimonio indisponibile e che al proprietario sia

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possibile, conformemente alla Convenzione e alla

corrisposto un indennizzo per il pregiudizio patrimoniale e non patrimoniale”. La norma in questione,
pertanto, esclude che la proprietà possa essere

seguita dalla realizzazione dell’opera pubblica ovvero per effetto di una occupazione illegittima seguita dalla richiesta di risarcimento del danno da
parte del proprietario.
Nella specie, invero, non è controversa fra le parti, ed il punto deve ritenersi coperto da giudicato interno, l’avvenuta perdita della proprietà da
parte degli odierni ricorrenti, in quanto già nel
giudizio di secondo grado la controversia era
esclusivamente imperniata sugli aspetti inerenti
alla domanda di natura risarcitoria.
In altri termini, pur essendo predicabile nell’attuale disciplina, ed anche con riferimento ai fatti
anteriori alla sua entrata in vigore, la permanenza
dell’illecito dell’occupazione “sine titulo” fino
alla data di cessazione dell’occupazione medesima,
ossia sino a quando viene posto rimedio alla situazione contra ius mediante la restituzione dell’immobile al suo proprietario, ovvero mediante la cessione della proprietà dell’immobile al soggetto che
lo ha per l’innanzi occupato abusivamente (Cass. 28

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perduta per effetto di una occupazione legittima

gennaio 2013, n. 1804; Cass. 14 gennaio 2013, 705;
Cons. St. 11 settembre 2012, n. 4808), nella specie
la cessazione della permanenza dell’illecito è co-

non vi è stata né la restituzione dell’immobile, né
il trasferimento della proprietà disposto con decreto non retroattivo.
2.3 – Con il primo motivo si deduce violazione e
falsa applicazione dei principi generali
dell’ordinamento italiano, ed, in particolare degli
artt. 2043, 2056 e 1223 c.c. in relazione all’art.
3 della 1. 27 ottobre 1988, n. 548, per essere stati disattesi sia la regola di cui all’art. 11 delle
disp. att. c.c., sia l’art. 6 par. l, sia il Protocollo n. 1, art. 1 della Convenzione Europea dei
Diritti dell’Uomo.
Si afferma, in sostanza, che l’applicazione dei
criteri riduttivi di cui all’art. 5 bis del d .1.
n. 333 del 1992, conv. nella 1. n. 359 del 1992,
sarebbe illegittima, in quanto, attraverso
l’efficacia retroattiva di una disposizione introdotta successivamente al momento in cui è maturata
la pretesa risarcitoria, si sono introdotti dei
criteri riduttivi contrastanti con i principi affermati dalla

Convenzione

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Europea dei diritti

perta da giudicato in una situazione nella quale

dell’uomo e più volte ribaditi dalla Corte di Strasburgo.
Tanto premesso, osserva la Corte che non possa pre-

merito alle concrete modalità di applicazione
dell’art. 5 bis, comma 7 bis,

della 1. n. 359 del

1992 – dalla sentenza della Corte Costituzionale n.
349/07, nel frattempo intervenuta, che ha dichiarato l’illegittimità costituzionale di tale norma,
commi 1 e 2, attesa l’efficacia di una tale pronuncia dei giudizi, come quello in esame, in cui sia
ancora in discussione la determinazione di detta
indennità, la quale non potrebbe certamente essere
regolata da norme dichiarate incostituzionali.
Torna quindi nuovamente applicabile, per la determinazione dell’indennizzo, il criterio generale del
valore venale del bene, già previsto dalla l. 25
giugno 1865, n. 2359, art. 39, che costituisce l’unico ancora rinvenibile nell’ordinamento, non essendo stato abrogato dal T.U. approvato con d.P.R.
n. 327 del 2001, lrt. 58, in quanto detta norma fa
espressamente salvo “quanto previsto dall’art. 57,
comma 11, (oltre che dall’art. 57 bis) il quale
esclude l’applicazione del T.U. relativamente ai
progetti per i quali, come è accaduto nel caso in

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scindersi – non essendosi formato il giudicato in

esame, “alla data di entrate in vigore dello stesso
decreto sia intervenuta la dichiarazione di pubblica utilità, indifferibilità ed urgenza dell’opera,

normative vigenti a tale data, fra cui, pertanto,
quella contenuta nella legge generale n. 2359 del
1865, art. 39.
Deve inoltre precisarsi che nella fattispecie non
opera nemmeno lo “ius superveniens” costituito dalla legge n. 244 del 2007, art. 2 comma 89, che prevede la riduzione del 25% dell’ indennità allorché
l’espropriazione sia finalizzata ad interventi di
riforma economico – sociale, prevedendo la norma
intertemporale di cui al successivo comma 90 la retroattività della nuova disciplina di determinazione dell’ indennità di esproprio limitatamente ai
“procedimenti espropriativi in corso e non anche ai
giudizi in corso (Cass., Sez. Un., 28 ottobre 2009,
n. 22756).
2.4 – La liquidazione del pregiudizio derivante
dall’occupazione e dall’irreversibile trasformazione del fondo deve pertanto calcolarsi con riferimento al valore pieno dell’area, secondo la previsione del richiamato art. 39 della

1865.

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1. n_

2359 del

ribadendo che continuano ad applicarsi tutte le

3 – Con il secondo motivo si denuncia vizio motivazionale in relazione alla determinazione del tasso
degli interessi, rapportato nella decisione impu-

lida giustificazione.
3.1 – Tale questione deve considerarsi assorbita
dalla cassazione, per le ragioni già indicate, e
fondate sull’inapplicabilità dei criteri riduttivi
adottati dalla corte territoriale, della sentenza
impugnata relativamente alla liquidazione della
somma dovuta ai ricorrenti: invero, come già affermato da questa Corte, anche a sezioni unite
(Cass., 5 aprile 2007, n. 8520), il risarcimento
del danno da fatto illecito costituisce debito di
valore e, in caso di ritardato pagamento di esso,
gli interessi non costituiscono un autonomo diritto
del creditore, ma svolgono una funzione compensativa tendente a reintegrare il patrimonio del danneggiato. La loro attribuzione costituisce una mera
modalità o tecnica liquidatoria, ragion per cui,
impugnato il capo della sentenza contenente la liquidazione del danno, non può invocarsi il giudicato in ordine alla misura legale degli interessi
precedentemente attribuiti e il giudice dell’impugnazione (o del rinvio), anche in difetto di uno

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gnata alla metà del tasso legale, senza alcuna va-

specifico rilievo sulla modalità di liquidazione
degli interessi prescelta dal giudice precedente,
può procedere alla riliquidazione della somma dovu-

ritardato pagamento, utilizzando la tecnica che ritiene più appropriata al fine di reintegrare il patrimonio del creditore (riconoscendo gli interessi
nella misura legale o in misura inferiore, oppure
non riconoscendoli affatto, potendo utilizzare parametri di valutazione costituiti dal tasso medio
di svalutazione monetaria o dalla redditività media
del denaro nel periodo considerato), restando irrilevante che vi sia stata impugnazione o meno in relazione agli interessi già conseguiti e alla misura
degli stessi.
4 – L’impugnata sentenza deve essere quindi cassata, per le ragioni sopra evidenziate. Non ricorrendo i presupposti per una pronuncia nel merito ai
sensi dell’art. 384 c.p.c., va disposto il rinvio
alla corte di appello di Perugia, che, in diversa
composizione, procederà alla liquidazione del pregiudizio lamentato dai ricorrenti nel rispetto dei
principi sopra indicati, provvedendo altresì in merito al regolamento delle spese processuali relative al presente giudizio di legittimità.

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ta a titolo risarcitorio e dell’ulteriore danno da

P. Q. M.
La Corte, accoglie il ricorso. Cassa la sentenza
impugnata e rinvia, anche per le spese, alla Corte

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della prima sezi ne civile, il 28 maggio 2013.

di appello di Perugia, in diversa composizione.

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