Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9189 del 19/05/2020

Cassazione civile sez. III, 19/05/2020, (ud. 15/10/2019, dep. 19/05/2020), n.9189

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TERZA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. TRAVAGLINO Giacomo – Presidente –

Dott. SCARANO Luigi Alessandro – rel. Consigliere –

Dott. IANNELLO Emilio – Consigliere –

Dott. GIANNITI Pasquale – Consigliere –

Dott. VALLE Cristiano – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 6971-2018 proposto da:

C.A.A., A.C.A.,

A.S., A.D., elettivamente domiciliati in ROMA,

CORSO VITTORIO EMANUELE II 18 C/0 ST. LESSONA, presso lo studio

dell’avvocato TULLIO D’AMORA, che li rappresenta e difende

unitamente all’avvocato VITTORIO CHIERRONI;

– ricorrenti –

contro

RECO EDILIZIA SRL, elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CALABRIA,

56, presso lo studio dell’avvocato DAVIDE TAGLIAFERRI, rappresentato

e difeso dall’avvocato LUCA MARTINI;

B.G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI, 256/B, presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ORSINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati GIANFRANCO MARINAI, SIMONE

MARINAI;

V.C., BE.MA., elettivamente domiciliati in

ROMA, CORSO VITTORIO EMANUELE II, 18, presso lo studio dell’avvocato

GIAN MARCO GREZ, rappresentati e difesi dall’avvocato GIANCARLO

ALTAVILLA;

Z.G. O G.P., domiciliato ex lege in ROMA, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANDREA SENESE;

– controricorrenti –

e contro

G.S., R.C., N.F., REALE MUTUA

ASSICURAZIONI, AXA ASSICURAZIONI SPA;

– intimati –

nonchè da:

N.F., in qualità di erede di A.S.,

elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BISAGNO 14 presso lo studio

dell’avvocato RICCARDO TAGLIAFERRI, rappresentata e difesa

dall’avvocato ALBERTO GIOVANNELLI;

– ricorrente –

contro

BE.MA., elettivamente domiciliato in ROMA, CORSO

VITTORIO EMANUELE II, 18 presso lo studio dell’avvocato GIANMARCO

GREZ, rappresentato e difeso dall’avvocato GIANCARLO ALTAVILLA;

B.G.L., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DEGLI

SCIPIONI 256/B presso lo studio dell’avvocato ALESSANDRO ORSINI,

rappresentato e difeso dagli avvocati SIMONE MARINAI e GIANFRANCO

MARINARI;

Z.G. O G.P., domiciliato ex lege in ROMA, presso

la CANCELLERIA DELLA CORTE DI CASSAZIONE, rappresentato e difeso

dall’avvocato ANDREA SENESE;

– controricorrenti –

avverso la sentenza n. 2899/2017 della CORTE D’APPELLO di FIRENZE,

depositata il 21/12/2017;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

15/10/2019 dal Consigliere Dott. LUIGI ALESSANDRO SCARANO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CARDINO ALBERTO, che ha concluso per il rigetto di tutti i ricorsi;

udito l’Avvocato TULLIO D’AMORA;

udito l’Avvocato ALESSANDRA ORSINI per delega orale;

udito l’Avvocato LUISA BAGLIO per delega;

udito l’Avvocato ALBERTO GIOVANNELLI;

udito l’Avvocato MARCO LEONI per delega.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con sentenza del 21/12/2017 – per quanto ancora d’interesse in questa sede – la Corte d’Appello di Firenze, in parziale accoglimento dei gravami interposti dalla società Reco Edilizia s.r.l. e in conseguente parziale riforma della pronunzia Trib. Pisa 29/6/2015, ha rigettato la domanda dalla medesima originariamente proposta nei confronti del sig. Z.G. di pagamento di somma a titolo di risarcimento danni da responsabilità professionale, e ha del pari rigettato quella nei suoi confronti spiegata dal sig. R.C., di pagamento di somma a titolo di prestata attività professionale.

Ha per il resto confermato la sentenza del giudice di 1 grado di: a) accoglimento della denuncia di nuova opera nei confronti della predetta proposta dai sigg. Be.Ma. e V.C., con domanda di demolizione o arretramento sino a distanza legale dalla loro proprietà del complesso immobiliare oggetto di lavori di ristrutturazione comportante la demolizione seguita da ricostruzione con sopraelevazione; b) condanna del progettista sig. A.S. nonchè del sig. R.C., che aveva predisposto il piano di recupero edilizio su incarico della sig. G.S., dante causa della società Reco Edilizia s.r.l.

Avverso la suindicata pronunzia della corte di merito i sigg. A.C.A. e A.D. e la sig. C.A.A. (eredi dello A.S., deceduto nelle more) propongono ora ricorso per cassazione affidato a 9 motivi, illustrati da memoria.

Resistono con separati controricorsi i sigg. Be.Ma. e V.C., B.G.L., Z.G..

Propone controricorso adesivo la sig. Francesca Nieri, quale erede del sig. A.S., sulla base di 8 motivi, illustrati da memoria, cui resistono con separati controricorsi i sigg. Be.Ma. e V.C., B.G.L., Z.G., mentre propone controricorso adesivo la società Reco Edilizia s.r.l.

Gli altri intimati non hanno svolto attività difensiva.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Con il 1 e l’8 motivo i ricorrenti in via principale denunziano violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4.

Si dolgono che la corte di merito non abbia pronunziato in ordine alla censura mossa alla sentenza di 1 grado concernente l’inapplicabilità della disciplina delle distanze di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 agli interventi come nella specie realizzati in attuazione di piani urbanistici attuativi.

Lamentano che la corte di merito ha erroneamente ritenuto trattarsi nella specie di una “nuova costruzione”.

Si dolgono che la corte di merito non abbia pronunziato in ordine al 5 motivo di appello, con il quale avevano censurato l’operata determinazione in via equitativa dell’ammontare del risarcimento liquidato in favore della società Reco Edilizia s.r.l. dal giudice di prime cure.

Con il 2, il 3 e il 4 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 873 c.c., D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, artt. 5 e 21 NTA di Regolamento urbanistico, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono non avere la corte di merito abbia escluso che “il Piano per il recupero del Centro Storico di (OMISSIS) (Allegato 10 del fascicolo A2 della CTU)” consentisse “interventi fino alla ristrutturazione urbanistica… senza peraltro porre alcuna prescrizione in materia di distanze minime dai confini”.

Lamentano che la corte di merito abbia ritenuto trattarsi nella specie di una “nuova costruzione”, laddove il “Consiglio di Stato, con la recentissima sentenza n. 4337/2017 depositata il 14/9/2017, chiamato a pronunciarsi sulla legittimità di un permesso a costruire rilasciato per intervento del tutto assimilabile a quello oggetto di causa… ha significativamente statuito” che “la previsione del limite inderogabile di distanza riguarda immobili o parti di essi costruiti (anche in sopra elevazione) “per la prima volta” (con riferimento al volume e alla sagoma preesistente), ma non può riguardare immobili che costituiscono il prodotto della demolizione di immobili preesistenti con successiva ricostruzione”.

Si dolgono non essersi dalla corte di merito considerato doversi escludere “che l’intervento abbia comportato un aggravio di servitù di vedute”, e che “nella fattispecie si sia verificata una violazione della disciplina delle distanze dai confini”.

Lamentano che il “giudice istruttore del giudizio di primo grado… aveva correttamente rilevato come la disciplina urbanistica locale di riferimento fosse da individuare non nell’art. 5 delle NTA del Regolamento Urbanistico, bensì nella variante urbanistica dei Centri Storici, la quale si applicava all’area oggetto dei lavori perchè norma speciale prevista proprio per le Zone A (centro storico) rispetto a quella generale prevista dall’ex adverso citato art. 5 delle NTA dell’allora vigente Regolamento Urbanistico per tutte le altre aree del territorio comunale stante il rinvio ad essa fatto dall’art. 21 delle medesime NTA di RU; art. 5 che dunque correttamente… aveva ritenuto di non applicare nella fattispecie allorchè ha approvato il piano di recupero di cui si tratta come peraltro ribadito… con la nota inviata al CTU in data 18/5/2010 e da questi allegata come Allegato I del Fascicolo D della CTU”.

Si dolgono che abbia “errato il Giudice di appello nel confermare la sentenza di primo grado sostenendo che nella fattispecie il principio della prevenzione non possa operare e debba trovare applicazione il disposto dell’art. 873 c.p.c., prima parte”, e nel “ritenere che la disciplina introdotta con la variante per i centri storici non possa trovare applicazione per gli interventi di buona edificazione”, trattandosi di “circostanza smentita dal – chiarissimo tenore dell’art. 21 delle NTA del RU che afferma l’esatto contrario”.

Lamentano essere “errata altresì… la tesi secondo la quale l’intervento di cui trattasi violerebbe il D.M. n. 1444 del 1968, art. 9… perchè… detto articolo prevede nell’ultima parte una espressa deroga per gli interventi realizzati in ambito di piani attuativi quale senz’altro è il piano di recupero a suo tempo approvato a Re.Co. s.r.l.”; in quanto “l’art. 9 succitato D.M. disciplina la materia delle distanze fra costruzioni… laddove nella fattispecie la sopraelevazione contestata dagli attori in primo grado Be. e V. è avvenuta a fronte di una porzione di terreno inedificata e dunque non suscettibile di determinare l’applicazione di detta normativa”; e perchè “alla fattispecie risulta applicabile il disposto della prima parte dell’art. 9 citato secondo cui non deve osservarsi la distanza di metri 10 fra pareti finestrate allorchè si realizzino interventi di ristrutturazione e/o risanamento e recupero edilizio nelle Zone A, cui appartengono per definizione i centri storici”.

Con il 5 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1218 e 2230 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono essersi dalla corte di merito erroneamente imputata “all’attività progettuale del compianto professionista la responsabilità dell’intervento demolitorio ingiunto in sentenza”; e che, in ogni caso, la “scelta di Re.Co srl (e dei professionisti che sono subentrati al Geom. A.) è stata quella di insistere nell’intervento”, sicchè della medesima, “assolutamente libera e consapevole”, essi – e non gli eredi del Geom. A. – devono essere chiamati a rispondere a titolo di danni”, in quanto “se danno vi è stato questo è dipeso non dal piano di recupero bensì da atti e da contratti intervenuti tutti alcuni anni dopo il decesso del compianto professionista, atti (quali la richiesta di permesso a costruire e la successiva esecuzione dei lavori) e contratti (quali quelli di compravendita degli immobili per cui è causa) stipulati nella perfetta consapevolezza da parte di tutti i soggetti coinvolti dell’esistenza delle contestazioni da parte dei Signori Be. e V. circa la violazione delle distanze legali”.

Con il 6 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 2226 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono essersi dalla corte di merito erroneamente intesa l’attività professionale affidata all’ A., invero limitata alla mera predisposizione del “piano di recupero”, e non estendentesi anche alla “successiva fase di esecuzione dei lavori, seguita infatti da altri professionisti”; attività concernente invero il “livello, del tutto “preliminare” (e solo propedeutico alla successiva attività edificatoria) di elaborare un piano urbanistico attuativo conforme alle norme urbanistiche vigenti”, laddove “è pacificamente dimostrato dagli atti di causa – e non discusso – che Re.Co. srl abbia avuto piena e tempestiva conoscenza delle contestazioni mosse dai vicini al progetto, essendo queste state formalizzate in sede di osservazioni al piano di recupero adottate e come tali allegate alla Delib. consiliare di approvazione del piano medesimo 28 luglio 2004, n. 64”.

Con il 7 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1218 e 1669 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito non abbia accolto “la chiamata in manleva per il risarcimento dei danni causati a Re.Co. srl… formulata nei confronti dell’architetto B. quale responsabile della progettazione e della direzione dei lavori per tutta la fase successiva all’approvazione del piano di recupero”, laddove “l’Arch. B. non si è limitato a svolgere rispetto al progetto una funzione meramente esecutiva di verifica della conformità dell’opera a quanto progettato da terzi, avendo egli piuttosto operato attivamente tanto da apportare modifiche a quel progetto alcune delle quali fatte oggetto di variante ad altre invece addirittura “condonate” successivamente”, essendo stato “l’unico professionista che ha seguito l’intervento dalla data di sottoscrizione dei contratti fra Re.Co. e la Signora G. fino alla fine dei lavori”, e pertanto “l’unico che avrebbe potuto e dovuto farsi carico della verifica di correttezza delle osservazioni mosse dai Signori Be. e V. ai contenuti del piano di recupero approvato nel 2004… essendo a conoscenza delle contestazioni svolte dai proprietari degli immobili confinanti in ordine alla violazione della disciplina sulle distanze fra edifici e dai confini”, sicchè “avrebbe dovuto diffidare Re. Co. dai rischi connessi dall’intraprendere (senza un previo accordo con i confinanti medesimi) l’attività edilizia oggetto del permesso di costruire n. (OMISSIS), ciò che tuttavia non ha fatto esponendo così la Società Re.Co. alle azioni di tutela del possesso che poi hanno portato alla sospensione dei lavori e, conseguentemente, anche all’inadempimento contrattuale di cui oggi è causa”.

Con l’8 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1224,1282, 2043 e 2056 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito abbia erroneamente valutato l’ammontare del danno.

Con il 9 motivo denunziano “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 91 e 92 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si dolgono che la corte di merito abbia incongruamente quantificato le spese di giudizio.

Con il 1 motivo la controricorrente adesiva N. (nella qualità), che deve essere propriamente qualificata come ricorrente adesiva in via incidentale (stante la proposizione successiva al ricorso dei sigg. A.C.A. e A.D. nonchè della sig. C.A.A., eredi dello A.S., deceduto nelle more), denunzia “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 3 T.U. Edilizia, L.R. (Toscana) n. 1 del 2005, art. 79, D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito non abbia pronunziato in ordine alla censura mossa alla sentenza del giudice di prime cure relativa all’inapplicabilità agli interventi come nella specie realizzati in attuazione di piani urbanistici attuativi della disciplina delle distanze di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9.

Con il 2, il 3 e il 4 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 873 c.c., D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, art. 5 NTA del Comune di Castelfranco, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che, “senza tener conto con le (recte, delle) conclusioni del CTU”, la corte di merito non abbia considerato che la disciplina delle distanze di cui al D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 è inapplicabile agli interventi come nella specie realizzati in attuazione di piani urbanistici attuativi.

Lamenta essersi dalla corte di merito erroneamente ritenuto che “l’opera de qua costituisca una nuova costruzione”.

Con il 5 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 2226 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che il defunto A.S. ha effettuato una mera “attività di carattere pianificatorio e non certo progettuale esecutiva, non essendo intervenuto nella fase di realizzazione ovvero nella fase edilizia”, sicchè non ha conseguentemente assunto alcuna “responsabilità sul buon esito della stessa”.

Con il 6 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1218 e 1669 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole non essersi dalla corte di merito considerato che “l’arch. B. (unitamente all’ing. R.) è stato unico professionista che ha seguito l’intervento dalla data di stipula dei contratti fra RE.CO. e la signora G. sino alla fine dei lavori ed in ogni caso l’unico soggetto che avrebbe potuto e dovuto farsi carico di effettuare ogni necessaria verifica di correttezza dei rilievi e delle osservazioni mosse dagli attori ai contenuti del Piano di Recupero in questione”.

Con il 7 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 1218 e 2230 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia ritenuto doversi nella specie il Direttore dei lavori qualificare come mero nuncius.

Con l’8 motivo denunzia violazione dell’art. 112 c.p.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 4.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente confermato la quantificazione del danno operata del giudice di 1 cure.

Con il 1 motivo la società Reco Edilizia s.r.l., controricorrente adesiva (ai primi 4 motivi del ricorso dei sigg. A.C.A. e A.D. e la sig. C.A.A. – eredi dello A.S., deceduto nelle more; e ai primi 4 motivi del ricorso della N., nella qualità) da qualificarsi propriamente come ricorrente in via incidentale (stante la proposizione successiva al ricorso dei sigg. A.C.A. e A.D. nonchè della sig. C.A.A., eredi dello A.S., nel frattempo deceduto), denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 3 T.U. Edilizia, L.R. (Toscana) n. 1 del 2005, art. 79, D.M. n. 1444 del 1968, art. 9 in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Con il 2 motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” dell’art. 873 c.c., D.M. n. 1444 del 1968, art. 9, art. 5 NTA del Comune di Castelfranco, in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia erroneamente qualificato la “costruzione per cui è causa” come “nuova opera”, anzichè di “recupero edilizio”.

Con il 3 condizionato motivo denunzia “violazione e/o falsa applicazione” degli artt. 1489 e 1490 c.c., in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

Si duole che la corte di merito abbia escluso la responsabilità della G., laddove il “piano di recupero e la successiva domanda edilizia volta ad ottenere il permesso a costruire sono state… presentate al Comune di (OMISSIS) a firma della medesima Sig.ra G.”, la quale ha altresì “affidato ai tecnici l’incarico di redigere il piano di recupero e i successivi progetti”, sicchè le “eventuali difformità della costruzione dalle previsioni normative e regolamentari non possono essere… imputabili alla società Re.Co., poichè la stessa… ha acquistato l’immobile e iniziato i lavori di demolizione in forza di permessi amministrativi venduti, unitamente all’opificio, dalla G.”.

I motivi di tutti ricorsi, che possono congiuntamente esaminarsi in quanto connessi, sono in parte inammissibili e in parte infondati.

Va anzitutto osservato che essi risultano formulati in violazione dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, atteso che i ricorrenti -principali e incidentale – fanno rispettivamente riferimento ad atti e documenti del giudizio di merito (in particolare, alla “domanda di denuncia di nuova opera proposta dai Signori Be. e V.”, all’incarico conferito al “Geom. A.S.” e all'”Ing. R.C.” di “predisporre un piano di recupero avente ad oggetto l’immobile sito in Comune di (OMISSIS)”, al “piano a firma dei due professionisti… depositato in Comune il 27 gennaio 2004 (doc. n. 2 del fascicolo di primo grado ed Allegato I del Fascicolo A1 della CTU) e quindi adottato ed approvato dal comune di (OMISSIS) con le Delib. Consiglio Comunale 4 marzo 2004, n. 7 e Delib. 2 agosto 2004, n. 64 (cfr. sempre Allegato I del Fascicolo Al della CTU)”, all'”approvazione del piano di recupero (Delib. n. 64 del 2004)”, alle “osservazioni… respinte dall’Amministrazione Comunale (Allegato I del Fascicolo Al della CTU)”, al “contratto preliminare di vendita di detto manufatto… (doc. 4 allegato nel giudizio di primo grado dalla Re.Co. s.r.l. e doc. 4 allegato nel giudizio di primo grado dalla G.)”, al “contratto definitivo di vendita… (doc. 1 depositato nel giudizio di primo grado dalla Re.Co. e doc. 5 allegato nel giudizio di primo grado dalla G.)” del “successivo 14 marzo 2006”, al “contratto preliminare di vendita di cosa futura avente ad oggetto due appartamenti… (doc. 3 depositato nel giudizio di primo grado dalla Re.Co. s.r.l.)” del 13 aprile 2006, al “permesso di costruire n. (OMISSIS) (cfr.: Allegato 2 del Fascicolo A1 della CTU)”, all'”atto notificato il 14 luglio 2008″, alla “comparsa di costituzione in giudizio depositata il 29 novembre 2008”, alla “domanda di chiamata in causa dell’arch. Gian B.L.”, all'”analoga difesa… svolta dalla moglie del Geom. A.S., sig.ra N.F., dal Geom. Z. e dall’Ing. R., il quale… ha anche chiamato in causa la propria compagnia assicuratrice Reale Mutua Assicurazioni s.p.a. per essere manlevato in caso di soccombenza”, alla “citazione del 2/10/2015”, all’appello incidentale, al “primo motivo di appello”, al “motivo di appello relativo all’inapplicabilità della disciplina di cui al D.M. n. 1444 del 1968”, al “piano di recupero del Centro Storico di (OMISSIS) (Allegato 10 del Fascicolo A2 della CTU)”, alle “risultanze della CTU dell’ing. Ca.An.”, al “terzo quesito” posto al “CTU del giudizio di primo grado”, al “secondo motivo di appello incidentale”, all'”ultima attività progettuale svolta dal geom. A…. funzionale al deposito del piano di recupero adottato dal Consiglio Comunale con la Delib. 4 marzo 2004, n. 7 e quindi approvato con la Delib. consiliare n. 64 del 2004″, alla “voltura della pratica di rilascio del permesso a costruire… rilasciato (Allegato 2 del Fascicolo Al della CTU)”, alla comunicazione della Re.Co. di “avvio dei lavori sotto la direzione dell’Arch. B.G.L. (Allegato 2 del Fascicolo Al della CTU)”, alla “richiesta di variante al progetto.. (Allegati 3 e 4 del Fascicolo A1 della CTU)”, all'”istanza di accertamento di conformità a sanatoria per opere eseguite in difformità rispetto al titolo edilizio rilasciato (Allegato 6 del Fascicolo A1 della CTU)”, al “terzo motivo di appello incidentale”, agli “elaborati necessari all’approvazione del piano di recupero databile febbraio 2004 (cfr. Delib. di adozione del piano di recupero depositato: allegato 1 alla relazione del CTU)”, alla “chiamata in causa nel giudizio di primo grado notificata agli eredi A. in data 24/7/2008″, all'”osservazione presentata dai Signori Be. e V. (riportata come allegato 2 al fascicolo contenente la relazione del CTU)”, al “quarto motivo di appello incidentale”, alla “pag. 9 par. G ” della “comparsa di costituzione nel giudizio di primo grado” della “Signora G.”, alle “contestazioni circa la conformità dell’intervento alla disciplina delle distanze legali”, alle “contestazioni svolte dai proprietari degli immobili confinanti”, al “settimo motivo di appello incidentale”, alla “chiamata in causa dell’Arch. B.”, i ricorrenti in via principale; alla “domanda di denuncia di nuova opera proposta dai Signori Be. e V.”, alla “chiamata in causa del Direttore dei lavori Arch. B.G.”, all'”atto di citazione notificato in data 30.9.2015″, all'”appello principale” della Re.Co.”, al proprio “appello incidentale”, al “piano di recupero de quo”, al “permesso a costruire n. (OMISSIS)”, alla “delibera del Consiglio Comunale che aveva approvato il piano… e quindi “il recupero” del vecchio opificio artigianale”, all'”ordinanza del Dott. Ni.”, al “provvedimento reso in data 7.9.2011” di “revoca della misura inibitoria”, alla CTU espletata nel corso del giudizio di 1 grado, all'”attività svolta dal geometra A.”, allo “strumento urbanistico del Comune di Castelfranco”, alla “segnalazione di inizio lavori al (OMISSIS)”, al “progetto”, al “capitolato”, all'”approvazione del Piano di Recupero da parte del Consiglio Comunale con propria Delib. n. 64 del 2004″, al “contratto preliminare per l’immobile oggetto di intervento il 14 marzo 2006”, alla “comunicazione di inizio lavori a firma del Direttore Lavori”, alla “variante al progetto… a firma dell’Arch. B.G.L.”, all'”istanza di accertamento di conformità in sanatoria per le difformità esecutive in corso d’opera rispetto al progetto rilasciato”, la ricorrente incidentale adesiva N., nella qualità; all'”atto di citazione notificato in data 30.9.2015″, alla sentenza del giudice di prime cure, all’atto di appello, alla “CTU disposta in primo grado”, alla “Delib. Comune di Castelfranco”, al “contratto preliminare di compravendita”, alla “Delib. c.c. di Castelfranco del 4 marzo 2004, n. 7”, alla “Delib. n. 64” in data 28 luglio 2004, alla “domanda edilizia volta ad ottenere il permesso a costruire”, al “parere favorevole del responsabile Ufficio Edilizia Privata e della Commissione Edilizia Comunale”, all'”atto del Notaio Ga.An. di (OMISSIS)… registrato a (OMISSIS)” la ricorrente incidentale adesiva società Reco Edilizia s.r.l.) limitandosi a meramente richiamarli, senza invero debitamente – per la parte d’interesse in questa sede – riprodurli nel ricorso ovvero, laddove riprodotti (es., la disposizione di “nuova CTU nella persona dell’Ing. Ca.”, la “risposta” dell'”Ufficio Urbanistica del Comune di Castelfranco”, da parte della ricorrente incidentale adesiva N., nella qualità; al “parere del (OMISSIS)”, da parte della ricorrente incidentale adesiva società Reco Edilizia s.r.l.), senza fornire puntuali indicazioni necessarie ai fini della relativa individuazione con riferimento alla sequenza dello svolgimento del processo inerente alla documentazione, come pervenuta presso la Corte Suprema di Cassazione, al fine di renderne possibile l’esame (v. Cass., 16/3/2012, n. 4220), con precisazione (anche) dell’esatta collocazione nel fascicolo d’ufficio o in quello di parte, e se essi siano stati rispettivamente acquisiti o prodotti (anche) in sede di giudizio di legittimità (v. Cass., 23/3/2010, n. 6937; Cass., 12/6/2008, n. 15808; Cass., 25/5/2007, n. 12239, e, da ultimo, Cass., 6/11/2012, n. 19157), la mancanza anche di una sola di tali indicazioni rendendo il ricorso inammissibile (cfr., da ultimo, Cass., Sez. Un., 27/12/2019, n. 34469. Cfr. altresì Cass., Sez. Un., 19/4/2016, n. 7701).

Non sono infatti sufficienti affermazioni – come nel caso – apodittiche, non seguite da alcuna dimostrazione.

A tale stregua, l’accertamento in fatto e la decisione dalla corte di merito adottata e nell’impugnata decisione rimangono invero dagli odierni ricorrenti rispettivamente non idoneamente censurati.

E’ al riguardo appena il caso di osservare (con particolare riguardo al 1 e all’8 motivo del ricorso principale e all’8 motivo del ricorso incidentale adesivo N.) che i requisiti di formazione del ricorso per cassazione ex art. 366 c.p.c. vanno indefettibilmente osservati, a pena di inammissibilità del medesimo, pure in ipotesi di censura di error in procedendo ex art. 112 c.p.c., non assumendo in contrario rilievo la circostanza che la S.C. sia in tal caso (anche) “giudice del fatto” (v., da ultimo, Cass., 27/3/2019, n. 8447).

Essi rilevano infatti ai fini della giuridica esistenza e conseguente ammissibilità del ricorso, assumendo pregiudiziale e prodromica rilevanza ai fini del vaglio della relativa fondatezza nel merito, che in loro difetto rimane invero al giudice imprescindibilmente precluso (cfr. Cass., 6/7/2015, n. 13827; Cass., 18/3/2015, n. 5424; Cass., 12/11/2014, n. 24135; Cass., 18/10/2014, n. 21519; Cass., 30/9/2014, n. 20594; Cass., 5 19/6/2014, n. 13984; Cass., 20/1/2014, n. 987; Cass., 28/5/2013, n. 13190; Cass., V 20/3/2013, n. 6990; Cass., 20/7/2012, n. 12664; Cass., 23/7/2009, n. 17253; Cass., 19/4/2006, n. 9076; Cass., 23/1/2006, n. 1221).

Allorquando la Corte di legittimità è pure giudice del fatto (processuale), con potere-dovere di procedere direttamente all’esame e all’interpretazione degli atti processuali, si è posto in rilievo che preliminare ad ogni altra questione si prospetta invero l’ammissibilità del motivo in relazione ai termini in cui è stato esposto, con la conseguenza che solo quando sia stata accertata la sussistenza di tale ammissibilità diviene possibile valutare la fondatezza del motivo medesimo, sicchè esclusivamente nell’ambito di quest’ultima valutazione la Corte Suprema di Cassazione può e deve procedere direttamente all’esame ed all’interpretazione degli atti processuali (v. Cass., 23/1/2006, n. 1221, e, conformemente, Cass., 13/3/2007, n. 5836; Cass., 17/1/2012, n. 539, Cass., 20/7/2012, n. 12664, nonchè, da ultimo, Cass., 24/3/2016, n. 5934 e Cass., 25/9/2017, n. 22333, Cass., 27/3/2019, n. 8447).

Deve porsi ulteriormente in rilievo che i ricorrenti, sia in via principale che in via incidentale adesiva, inammissibilmente si dolgono invero dell’erronea valutazione delle emergenze probatorie, laddove alla stregua della vigente formulazione dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 – nel caso ratione temporis applicabile – il vizio di motivazione denunciabile con ricorso per cassazione si sostanzia solamente nell’omesso esame di un fatto decisivo per il giudizio che sia stato oggetto di discussione tra le parti, dovendo riguardare un fatto inteso nella sua accezione storico-fenomenica, e non anche come nella specie l’illogicità della motivazione (v. pag. 50 ricorso incidentale adesivo N., nella qualità) ovvero l’omesso esame (e a fortiori l’erronea valutazione) di determinate emergenze probatorie (cfr. Cass., Sez. Un., 7/4/2014, n. 8053, e, da ultimo, Cass., 29/9/2016, n. 19312).

Quanto al merito, va per altro verso osservato (con particolare riferimento al 1, al 2, al 3, al 4 e all’8 motivo di ricorso principale; al 2, al 3 e al 4 motivo del ricorso incidentale adesivo N. e al 1 motivo del ricorso incidentale adesivo della società Reco Edilizia s.r.l.) che come questa Corte – anche a Sezioni Unite – ha avuto più volte modo di affermare, nell’ambito delle opere edilizie – anche alla luce dei criteri di cui alla L. 5 agosto 1978, n. 457, art. 31, comma 1, lett. d), – la semplice “ristrutturazione” si verifica ove gli interventi, comportando modificazioni esclusivamente interne, abbiano interessato un edificio del quale sussistano e rimangano inalterate le componenti essenziali, quali i muri perimetrali, le strutture orizzontali, la copertura; mentre è ravvisabile la “ricostruzione” allorchè dell’edificio preesistente siano venute meno, per evento naturale o per volontaria demolizione, dette componenti, e l’intervento si traduca nell’esatto ripristino delle stesse operato senza alcuna variazione rispetto alle originarie dimensioni dell’edificio, e, in particolare, senza aumenti della volumetria; in presenza di tali aumenti, si verte, invece, in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima (v. Cass., Sez. Un., 19/10/2011, n. 21578; e, conformemente, Cass., 20/8/2015, n. 17043, nonchè, da ultimo, Cass., 11/6/2018, n. 15041. E già Cass., 7/9/2009, n. 19287; Cass., 27/4/2006, n. 9637; Cass., 22/6/2004, n. 11582; Cass., 15/07/2003, n. 11027; Cass., 26/10/2000, n. 14128. Cfr. altresì Cass., 25/5/2016, n. 10873).

Si è altresì precisato che in ipotesi di “nuova costruzione”, come tale sottoposta alla disciplina in tema di distanze vigente al momento della medesima (v. Cass., 11/02/2009, n. 3391), e ai fini del computo delle distanze nell’ipotesi di ristrutturazione con sopraelevazione di un fabbricato preesistente, l’altezza del nuovo edificio va calcolata considerando non la linea di gronda, ma quella di colmo (data dalla retta d’intersezione tra le due falde piane di un tetto inclinato), salvo l’ipotesi in cui il rialzo del sottotetto sia funzionale alla sola allocazione d’impianti tecnici non altrimenti situabili, trattandosi in questo caso di un mero volume tecnico non rilevante (v. Cass., 27/5/2016, n. 11049).

Va sotto altro profilo sottolineato che come questa Corte abbia già avuto modo di porre in rilievo che in tema di contratto di appalto, l’appaltatore è tenuto a realizzare l’opera a regola d’arte, osservando nell’esecuzione della prestazione la diligenza qualificata ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2 quale modello astratto di condotta che si estrinseca (sia esso professionista o imprenditore) nell’adeguato sforzo tecnico, con impiego delle energie e dei mezzi normalmente ed obiettivamente necessari od utili, in relazione alla natura dell’attività esercitata, volto all’adempimento della prestazione dovuta ed al soddisfacimento dell’interesse creditorio, nonchè ad evitare possibili eventi dannosi.

Atteso che la diligenza (che, come sottolineato anche in dottrina, si specifica nei profili della cura, della cautela, della perizia e della legalità, la perizia in particolare sostanziandosi nell’impiego delle abilità e delle appropriate nozioni tecniche peculiari dell’attività esercitata, con l’uso degli strumenti normalmente adeguati, ossia con l’uso degli strumenti comunemente impiegati, in relazione all’assunta obbligazione, nel tipo di attività professionale o imprenditoriale in cui rientra la prestazione dovuta: v. Cass., 31/5/2006, n. 12995) deve valutarsi avuto riguardo alla natura dell’attività esercitata (art. 1176 c.c., comma 2), la detta normalità deve essere valutata in ragione della diligenza media richiesta ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2, dalla specifica natura e dalle peculiarità dell’attività esercitata (cfr., da ultimo, Cass., 15/6/2018, n. 15732).

A tale stregua, se l’impegno dal medesimo dovuto si profila superiore a quello del comune debitore, esso va viceversa considerato come corrispondente alla diligenza normale in relazione alla specifica attività professionale esercitata, giacchè il professionista deve impiegare la perizia ed i mezzi tecnici adeguati allo standard professionale della sua categoria, tale standard valendo a determinare, in conformità alla regola generale, il contenuto della perizia dovuta e la corrispondente misura dello sforzo diligente adeguato per conseguirlo, nonchè del relativo grado di responsabilità.

Al professionista, e a fortiori allo specialista, è richiesta una diligenza particolarmente qualificata dalla perizia e dall’impiego di strumenti tecnici adeguati al tipo di attività da espletarsi.

Ai diversi gradi di specializzazione corrispondono infatti diversi gradi di perizia.

Può allora distinguersi tra una diligenza professionale generica e una diligenza professionale variamente qualificata, giacchè chi assume un’obbligazione nella qualità di specialista, o un’obbligazione che presuppone una tale qualità, è tenuto alla perizia che è normale della categoria (cfr., con riferimento alla diligenza professionale del medico c.d. “strutturato”, Cass., 13/4/2007, n. 8826).

La difficoltà dell’intervento e la diligenza del professionista vanno dunque valutate in concreto, rapportandole al livello di specializzazione del professionista e alle strutture tecniche a sua disposizione, sicchè il medesimo deve, da un canto, valutare con prudenza e scrupolo i limiti della propria adeguatezza professionale, ricorrendo anche all’ausilio di un consulto (se la situazione non è così urgente da sconsigliarlo); e, da altro canto, adottare tutte le misure volte ad ovviare alle carenze strutturali ed organizzative financo consigliando al committente, se manca l’urgenza di intervenire, di rivolgersi ad altro professionista (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 5/7/2004, n. 12273. V. anche Cass., 21/7/2003, n. 11316; Cass., 16/5/2000, n. 6318).

Anche per il migliore specialista del settore il giudizio di normalità va invero calibrato avuto riguardo alle strutture tecniche con cui è chiamato a prestare la propria opera professionale. E lo spostamento verso l’alto della soglia di normalità del comportamento diligente dovuto determina la corrispondente diversa considerazione del grado di tenuità della colpa (cfr. Cass., 4437/82), con corrispondente preclusione della prestazione specialistica al professionista che specializzato non è (cfr. Cass., 5/7/2004, n. 12273; Cass., 2428/90).

Va allora ribadito che in ragione della specifica natura e della peculiarità dell’attività esercitata (cfr. Cass., 20/7/2005, n. 15255; Cass., 8/2/2005, n. 2538; Cass., 22/10/2003, n. 15789; Cass., 28/11/2001, n. 15124; Cass., 21/6/1983, n. 4245) l’appaltatore è tenuto a mantenere il comportamento diligente dovuto per la realizzazione dell’opera commessagli, dovendo adottare tutte le misure e le cautele necessarie ed idonee per l’esecuzione della prestazione, secondo il modello di precisione e di abilità tecnica nel caso concreto richiesto idoneo a soddisfare l’interesse creditorio.

Anche allorquando attenga a previsioni del progetto altrui, come nel caso in cui il committente abbia predisposto il progetto e fornito indicazioni sulla relativa realizzazione, l’appaltatore può comunque essere ritenuto responsabile per i vizi dell’opera qualora non abbia, nel fedelmente eseguire il progetto e le indicazioni ricevute, al primo segnalato eventuali carenze ed errori.

Mentre va esente da responsabilità laddove il committente, pur reso edotto delle carenze e degli errori, gli richieda di dare egualmente esecuzione al progetto o gli ribadisca le indicazioni, in tale ipotesi risultando l’appaltatore ridotto a mero nudus minister (cfr., v. Cass., 2/2/2016, n. 1981; Cass., 31/5/2006, n. 12995; Cass., 12/4/2005, n. 7515; Cass., 30/5/2003, n. 8813; Cass., 2/8/2001, n. 10550; Cass., 26/7/1999, n. 8075).

La responsabilità dell’appaltatore è pertanto da escludere solo nell’ipotesi (nella specie invero non verificatasi) in cui risulti costituire passivo strumento nelle mani del committente, direttamente e totalmente condizionato dalle istruzioni ricevute senza possibilità di iniziativa o vaglio critico (v. Cass., 31/5/2006, n. 12995).

In ogni altro caso la prestazione dovuta dall’appaltatore implica invero pure il controllo e la correzione degli eventuali errori del progetto (v. Cass., 2/2/2016, n. 1981; Cass., 31/5/2006, n. 12995. E già Cass., 2/8/2001, n. 10550; Cass., 12/5/2000, n. 6088). E trattandosi di indagine implicante una attività conoscitiva da svolgersi con l’uso di particolari mezzi tecnici, l’appaltatore -quale soggetto obbligato a realizzare l’opera commessagli- è tenuto ad adempiere mettendo a disposizione la propria organizzazione (v. Cass., 7/9/2000, n. 11783).

Richiedendo lo specifico settore di competenza in cui rientra l’attività esercitata la specifica conoscenza ed applicazione delle cognizioni tecniche che sono tipiche dell’attività necessaria per l’esecuzione dell’opera, si configura come onere dell’appaltatore predisporre un’organizzazione della sua impresa che assicuri la presenza di tali competenze per poter adempiere l’obbligazione di eseguire l’opera immune da vizi e difformità (artt. 1667, 1668 e 1669 c.c.) (cfr. Cass., 23/9/1996, n. 8395).

Ne consegue che l’appaltatore risponde per i difetti della costruzione derivanti (pure) da vizi della cosa anche laddove gli stessi siano ascrivibili alla imperfetta od erronea progettazione fornitagli dal committente, in tal caso prospettandosi l’ipotesi della responsabilità solidale con il progettista, a sua volta responsabile nei confronti del committente per inadempimento del contratto d’opera professionale ex art. 2235 c.c. (cfr. Cass., 15/6/2018, n. 15732; Cass., 23/9/1996, n. 8395).

Ove l’appaltatore svolga anche i compiti di ingegnere progettista e di direttore dei lavori, l’obbligo di diligenza è ancora più rigoroso, essendo egli tenuto, in presenza di situazioni rivelatrici di possibili fattori di rischio, ad eseguire gli opportuni interventi per accertarne la causa ed apprestare i necessari accorgimenti tecnici volti a garantire la realizzazione dell’opera senza difetti costruttivi (v. Cass., 31/5/2006, n. 12995; Cass., 18/4/2002, n. 5632).

La maggiore specificazione del contenuto dell’obbligazione non esclude infatti, come posto in rilievo anche in dottrina, la rilevanza della diligenza come criterio determinativo della prestazione per quanto attiene agli aspetti dell’adempimento (v. Cass. Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533).

Le obbligazioni professionali sono dunque caratterizzate dalla prestazione di attività particolarmente qualificata da parte di soggetto dotato di specifica abilità tecnica, in cui il committente fa affidamento nel conferirgli l’incarico, al fine del raggiungimento del risultato perseguito o sperato.

Affidamento tanto più accentuato, in vista dell’esito positivo nel caso concreto conseguibile, quanto maggiore è la specializzazione del professionista, nonchè la qualità organizzativa, materiale e tecnica della struttura operativa di cui si avvale.

Come questa Corte ha avuto modo di precisare, la responsabilità del professionista non può essere invero desunta automaticamente dal mero inadempimento alla propria obbligazione, dal mancato raggiungimento del risultato utile avuto di mira dal creditore, ma deve essere valutata alla stregua dei doveri inerenti allo svolgimento dell’attività professionale (v. Cass., 9/11/2006, n. 23918).

L’inadempimento consegue infatti alla prestazione negligente, ovvero non improntata alla dovuta diligenza da parte del professionista ai sensi dell’art. 1176 c.c., comma 2 adeguata alla natura dell’attività esercitata e alle circostanze concrete del caso (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826).

La misura della diligenza richiesta nelle obbligazioni professionali va quindi concretamente accertata sotto il profilo della responsabilità.

Si è da questa Corte già avuto modo di porre in rilievo che i limiti di tale responsabilità sono invero quelli generali in tema di responsabilità contrattuale (v. Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533), presupponendo questa l’esistenza della colpa lieve del debitore, e cioè il difetto dell’ordinaria diligenza.

Una limitazione della misura dello sforzo diligente dovuto nell’adempimento dell’obbligazione, e della conseguente responsabilità per il caso di relativa mancanza o inesattezza, non può farsi invero discendere nemmeno dalla qualificazione dell’obbligazione del professionista in termini di “obbligazione di mezzi” (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 576; Cass., 13/4/2007, n. 8826), nel caso peraltro nemmeno configurabile, essendo l’obbligazione dell’appaltatore senz’altro di risultato (cfr., Cass., 9/10/2017, n. 23594; Cass., 25/9/2012, n. 16254; Cass., 21/5/2012, n. 8016; Cass., 18/5/2011, n. 10927; Cass., 19/5/2004, n. 9471).

Nè, al fine di salvare la distinzione dogmatica in argomento, può valere il richiamo a principi propri di altri sistemi, come quello di common law della c.d. evidenza circostanziale o res ipsa loquitur (per il quale v. invece Cass., 16/2/2001, n. 2335; Cass., 19/5/1999, n. 4852, Cass.; 22/1/1999, n. 589).

La riconduzione dell’obbligazione professionale nell’ambito del rapporto contrattuale, e della eventuale responsabilità che ne consegua nell’ambito di quella da inadempimento ex art. 1218 c.c., e segg., ha invero i suoi corollari anche sotto il profilo probatorio.

Al riguardo questa Corte ha già più volte enunciato il principio in base al quale l’onere della prova è ripartito tra le parti nel senso che (alla luce del principio enunciato in termini generali da Cass., Sez. Un. 30/10/2001, n. 13533) in tema di onere della prova dell’inadempimento, il creditore che agisce per la risoluzione contrattuale, per il risarcimento del danno, ovvero per l’adempimento deve dare la prova della fonte negoziale o legale del suo diritto, limitandosi alla mera allegazione della circostanza dell’inadempimento della controparte, mentre è al debitore convenuto che incombe di dare la prova del fatto estintivo, costituito dall’avvenuto adempimento (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826).

Pertanto, in base alla regola di cui all’art. 1218 c.c., il creditore ha il mero onere di allegare il contratto ed il relativo inadempimento o inesatto adempimento, non essendo tenuto a provare la colpa del professionista e la relativa gravità (cfr., con riferimento a differenti ipotesi, Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 24/5/2006, n. 12362; Cass., 21/6/2004, n. 11488).

Nè la distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà può d’altro canto valere come criterio di distribuzione dell’onere della prova, rilevando essa solamente ai fini della valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa riferibile al professionista (cfr., con riferimento al sanitario, Cass., 13/4/2007, n. 8826).

L’imposizione della presunzione dell’onere della prova in capo al debitore, il cui fondamento si è indicato nell’operare del principio di c.d. vicinanza alla prova o di riferibilità (v. Cass., 9/11/2006, n. 23918; Cass., 21/6/2004, n. 11488; Cass., Sez. Un., 23/5/2001, n. 7027; Cass., Sez. Un., 30/10/2001, n. 13533; Cass., 13/9/2000, n. 12103), va ancor più propriamente ravvisato, come sottolineato anche in dottrina, nel criterio della maggiore possibilità per il debitore onerato di fornire la prova, in quanto rientrante nella sua sfera di dominio, in misura tanto più marcata quanto più l’esecuzione della prestazione consista nell’applicazione di regole tecniche sconosciute al creditore, essendo estranee alla comune esperienza, e viceversa proprie del bagaglio del debitore come nel caso specializzato nell’esecuzione di una professione protetta.

All’art. 2236 c.c. non va conseguentemente assegnata rilevanza alcuna ai fini della ripartizione dell’onere probatorio, giacchè incombe in ogni caso al professionista dare la prova della particolare difficoltà della prestazione, laddove la norma in questione implica solamente una valutazione della colpa del medesimo, in relazione alle circostanze del caso concreto (v. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488).

L’appaltatore è dunque responsabile ove abbia mantenuto un comportamento violativo della diligenza professionale qualificata dalla specifica attività esercitata cui è tenuto ex artt. 1176 c.c., comma 2 e art. 2236 c.c. (cfr., da ultimo, Cass., 15/6/2018, n. 15732).

Appare in effetti incoerente ed incongruo richiedere al professionista la prova idonea a vincere la presunzione di colpa a suo carico quando trattasi di prestazione di facile esecuzione, e addossare viceversa al creditore l’onere di provare “in modo preciso e specifico” le “modalità ritenute non idonee” quando l’opera è di particolare o speciale difficoltà (in tal senso v. invece, con riferimento al settore medico, Cass., 4/2/1998, n. 1127; Cass., 11/4/1995, n. 4152).

Proprio allorquando la prestazione implica cioè la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, richiede notevole abilità, e la soluzione di problemi tecnici nuovi o di speciale complessità, con largo margine di rischio in presenza di ipotesi non ancora adeguatamente studiate o sperimentate (v. Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 10/5/2000, n. 5945; Cass., 19/5/1999, n. 4852; Cass., 16/11/1988, n. 6220; Cass., 18/6/1975, n. 2439).

Tale soluzione si palesa infatti ingiustificatamente gravosa per il creditore, in contrasto invero con il principio di generale favor per il creditore danneggiato cui l’ordinamento è informato (cfr. Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 20/2/2006, n. 3651).

In tali circostanze è infatti indubitabilmente il professionista/specialista a conoscere le regole dell’arte e la situazione specifica – anche in considerazione come nella specie delle condizioni degli immobili e del terreno – del caso concreto, avendo pertanto la possibilità di assolvere all’onere di provare l’osservanza delle prime e di motivare in ordine alle scelte operate in ipotesi in cui maggiore è la discrezionalità rispetto a procedure standardizzate.

Va quindi conseguentemente affermato che incombe al professionista dare la prova della particolare difficoltà della prestazione (v. Cass., Sez. Un., 11/1/2008, n. 577; Cass., 13/4/2007, n. 8826; Cass., 28/5/2004, n. 10297; Cass., 21/6/2004, n. 11488), e, in caso di mancata o inesatta realizzazione dell’opera commissionata, l’appaltatore, la cui obbligazione è – come detto – senz’altro di risultato, è tenuto a dare la prova che il risultato “anomalo” o anormale rispetto al convenuto esito della propria prestazione professionale, e quindi dello scostamento da una legge di regolarità causale fondata sull’esperienza, dipende da fatto a sè non imputabile, in quanto non ascrivibile alla condotta mantenuta in conformità alla diligenza qualificata dovuta, in relazione alle specifiche circostanze del caso concreto. E laddove tale prova non riesca a dare, secondo la regola generale ex artt. 1218 e 2697 c.c., il medesimo rimane soccombente.

Orbene, i suindicati principi, applicabili anche con riferimento al caso in esame ed al tipo di attività posta in essere, risultano essere stati invero correttamente applicati dalla corte di merito.

Nel confermare il rigetto della pretesa risarcitoria avanzata dall’allora appellante ed odierna ricorrente incidentale adesiva società Reco Edilizia s.r.l. nei confronti della sua dante causa G., tale giudice ha dato atto che nella specie “tutta la complessa fase preliminare della stipulazione… dimostra come l’ideazione, la realizzazione e l’approvazione del progetto edilizio non provengano dalla venditrice bensì dalla stessa acquirente”, sicchè “la G. non vendette l’opportunità di costruire nove appartamenti, vendette .. soltanto un vecchio opificio, che Reco Edilizia supponeva (col fuorviante conforto dei propri professionisti) di poter trasformare in nove appartamenti”.

Ha posto altresì in rilievo come “tutti i progetti ed il piano di ristrutturazione, con la prefigurazione della nuova fisionomia costruttiva, furono invero presentati al Comune di (OMISSIS) a firma della proprietaria G., ma su istruzioni e nell’interesse del promissario acquirente, che conferì tutti gli incarichi professionali per lo sfruttamento e la valorizzazione dell’immobile”, tant’è che “nel primo preliminare stipulato il 17 novembre 2003 Reco Edilizia dichiarava l’intenzione di demolire il vecchio opificio allo scopo di costruire appartamenti per civile abitazione, impegnandosi a presentare entro novanta giorni a propria cura e spese il piano di recupero per la trasformazione, il frazionamento ed il cambio di destinazione, in vista della realizzazione di nove unità abitative e relative pertinenze, di cui due venivano riservate alla G. in pagamento parziale del prezzo”, e “tutta la preparazione tecnica dell’operazione venne affidata da Reco Edilizia allo studio dell’ing. R. e del geom. A. di (OMISSIS), che ne curarono la redazione e lo sviluppo, spendendo solo formalmente il nome della proprietaria – in attesa del trasferimento della titolarità con il rogito”.

Ha ulteriormente osservato come l’allora appellante ed odierna ricorrente incidentale adesiva società Reco Edilizia s.r.l. abbia “demolito un vecchio opificio artigianale di un solo piano (alto circa m. 4,30) ubicato nel centro storico di (OMISSIS)” e lo abbia sostituito con “un edificio di tre piani (alto circa m. 9,50) a destinazione residenziale”, traendone conseguentemente, quale corollario, che il relativo “esuberante carattere di nuova costruzione appare incontrovertibile”, come invero confermato dalla circostanza che “nella relazione tecnica datata 9 febbraio 2004 a firma dell’ing. R. si legge che il progetto tendeva alla realizzazione di un “nuovo fabbricato”, tant’è che venne assentito con un permesso di costruire (n. (OMISSIS)) e non con una SCIA (Segnalazione Certificata d’Inizio Attività), come sarebbe accaduto nel caso di una mera ristrutturazione edilizia”, al riguardo ulteriormente sottolineando che il “beneplacito dell’autorità comunale… sta a significare che l’intervento non lede interessi pubblici, ma la circostanza non assume alcuna valenza esimente in prospettiva civilistica, non potendo l’ente locale disporre dei diritti dei terzi privati proprietari finitimi”.

E’ pervenuta quindi a concludere che, presentando “il fabbricato di Be.- V. tra l’altro una facciata con finestre”, le “costruzioni antistanti non possono avvicinarsi a men di m. 10, come stabilisce il D.M. n. 1444 del 1968”, in quanto “è ben vero che distanze inferiori sono ammesse nei centri storici, dove è vietato in generale erigere nuove costruzioni, ma ciò avviene sul presupposto che si tratti appunto di vecchie costruzioni preesistenti e già tra loro ravvicinate, mentre per ogni eventuale ampliamento tornerebbe d’attualità l’ordinaria distanza minimale… Detto altrimenti, dove “vige il generale divieto di costruzioni ex novo” è superfluo prescrivere distanze per nuove costruzioni impossibili, ma, se il nuovo viene ammesso, allora non può ledere i diritti dei vicini”.

Ha altresì precisato che “in ordine alla distanza dal confine… l’art. 5 delle NTA (Norme Tecniche d’Attuazione) del regolamento urbanistico (integrative della disciplina codicistica) fissano in m. 5 la distanza inderogabile delle nuove fabbriche dal confine del lotto di inesistenza. Le varianti ammesse nei centri storici, ancora una volta, si riferiscono al patrimonio edilizio esistente e non autorizzano deroghe per le nuove costruzioni, come deve ritenersi quella in esame per quanto dianzi osservato”.

Ha ulteriormente confermato l’avviso del giudice di prime cure nel ritenere che (anche) la “trasformazione in luci (con tamponamento parziale in sanatoria) delle finestre aperte nel muro perimetrale sopraelevato”, se vale ad escludere “una violazione aggiuntiva (concernente le vedute)” tuttavia “non rimuove… quella basilare già segnalata (concernente le distanze)”.

A tale stregua, la corte di merito ha ritenuto tale violazione ascrivibile alla condotta, non improntata alla diligenza professionale qualificata dovuta, posta in essere (anche) dal progettista A., in assenza di allegazione e prova da parte del medesimo di avere agito quale mero nudus minister ovvero della speciale difficoltà della prestazione ovvero che l’accertata violazione delle distanze in argomento sia dipesa da fatto a sè non imputabile in quanto non ascrivibile alla sua condotta, mantenuta in conformità della diligenza qualificata necessaria in relazione alle specifiche circostanze concrete del caso.

Emerge pertanto evidente come, lungi dal denunziare vizi della sentenza gravata rilevanti sotto i ricordati profili, le deduzioni dei ricorrenti – in via principale e incidentale adesiva – oltre a risultare formulate secondo un modello difforme da quello delineato all’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 6, in realtà si risolvono nella mera doglianza circa l’erronea attribuzione da parte del giudice del merito agli elementi valutati di un valore ed un significato difformi dalle loro rispettive aspettative (v. Cass., 20/10/2005, n. 20322), e nell’inammissibile pretesa di una lettura dell’asserto probatorio diversa da quella nel caso operata dai giudici di merito (cfr. Cass., 18/4/2006, n. 8932).

Per tale via essi in realtà sollecitano, cercando di superare i limiti istituzionali del giudizio di legittimità, un nuovo giudizio di merito, in contrasto con il fermo principio di questa Corte secondo cui il giudizio di legittimità non è un giudizio di merito di terzo grado nel quale possano sottoporsi alla attenzione dei giudici della Corte Suprema di Cassazione elementi di fatto già considerati dai giudici del merito, al fine di pervenire ad un diverso apprezzamento dei medesimi (cfr. Cass., 14/3/2006, n. 5443), solamente al giudice di merito spettando di individuare le fonti del proprio convincimento e a tal fine valutare le prove, controllarne la attendibilità e la concludenza, scegliere tra le risultanze istruttorie quelle ritenute idonee a dimostrare i fatti in discussione, dare prevalenza all’uno o all’altro mezzo di prova.

All’inammissibilità e infondatezza dei motivi, assorbita ogni altra e diversa questione, consegue il rigetto dei ricorsi.

Stante la reciproca soccombenza va disposta la compensazione tra i ricorrenti, in via principale ed incidentale adesiva, delle spese del giudizio di cassazione.

Le spese del giudizio di cassazione, liquidate come in dispositivo a carico dei ricorrenti in via principale sigg. A.C.A. e A.D. e la sig. C.A.A. (eredi dello A.S., deceduto nelle more) nonchè della ricorrente in via incidentale adesiva sig. N.F. – quale erede del sig. A.S. – in favore dei rispettivi controricorrenti sigg. Be. e V., B. e Z., seguono la soccombenza.

Non è viceversa a farsi luogo a pronunzia in ordine alle spese del giudizio di cassazione in favore degli altri intimati, non avendo i medesimi svolto attività difensiva.

P.Q.M.

La Corte rigetta i ricorsi, principale e incidentali. Compensa le spese del giudizio di cassazione tra i ricorrenti in via principale e incidentali. Condanna i ricorrenti in via principale sigg. A.C.A. e A.D. e la sig. C.A.A. (eredi dello A.S., deceduto nelle more) al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge in favore dei controricorrenti Be. e V.; al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di – cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge in favore del controricorrente B.; al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge in favore del controricorrente Z.; condanna la ricorrente in via incidentale adesiva sig. N.F. – quale erede del sig. A.S. – al pagamento delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge in favore dei controricorrenti Be. e V.; al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge in favore del controricorrente B.; al pagamento, in solido, delle spese del giudizio di cassazione, che liquida in complessivi Euro 7.200,00, di cui Euro 7.000,00 per onorari, oltre a spese generali ed accessori come per legge in favore del controricorrente Z..

Dà atto della sussistenza dei presupposti per il versamento, da parte dei ricorrenti – in via principale e incidentale, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello dovuto per il rispettivo ricorso, a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis.

Così deciso in Roma, il 15 ottobre 2019.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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