Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9188 del 19/05/2020

Cassazione civile sez. I, 19/05/2020, (ud. 04/03/2020, dep. 19/05/2020), n.9188

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. GENOVESE Francesco Antonio – Presidente –

Dott. DI MARZIO Mauro – Consigliere –

Dott. CAMPESE Eduardo – rel. Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

Dott. SOLAINI Luca – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso n. 10918/2019 r.g. proposto da:

N.E., alias N.I., (cod. fisc. GD.),

rappresentato e difeso, giusta procura speciale allegata in calce al

ricorso, dall’Avvocato Michele Carotta, presso il cui studio

elettivamente domicilia in Vicenza, alla Contrà Santo Stefano n.

15;

– ricorrente –

contro

MINISTERO DELL’INTERNO, (cod. fisc. (OMISSIS)), in persona del

Ministro pro tempore, rappresentato e difeso, ope legis,

dall’Avvocatura Generale dello Stato, presso la cui sede domicilia

in Roma, alla Via dei Portoghesi n. 12;

– controricorrente –

avverso il decreto del TRIBUNALE DI VENEZIA depositato il 21/02/2019;

udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

04/03/2020 dal Consigliere Dott. Eduardo Campese.

Fatto

RAGIONI DI FATTO E DI DIRITTO DELLA DECISIONE

1. E.S.N. (alias E.I.), nativo della (OMISSIS) ((OMISSIS)), ricorre per cassazione, affidandosi a quattro motivi, contro il “decreto” del Tribunale di Venezia del 21 febbraio 2019, reiettivo della sua domanda volta ad ottenere il riconoscimento dello status di rifugiato, o della protezione sussidiaria o di un permesso di soggiorno per motivi umanitari. Resiste, con controricorso, il Ministero dell’Interno.

1.1. In particolare, quel tribunale: i) ha considerato non credibile il racconto del richiedente protezione; ha ritenuto insussistenti i presupposti per il riconoscimento della protezione sussidiaria D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 14, lett. a) e b), in ragione della stessa prospettazione dello straniero; iii) ha escluso la sussistenza dell’ipotesi di cui al predetto art. 14, lett. c) citato D.Lgs., indicando le fonti del proprio convincimento; iv) ha denegato l’invocata protezione umanitaria sia per la ritenuta inattendibilità del Nussa, sia perchè non erano stati allegati profili di vulnerabilità e, comunque, di avvenuta integrazione sociale e lavorativa in Italia.

2. Le formulate doglianze prospettano, rispettivamente:

I) “Nullità ed erroneità del decreto impugnato in riferimento all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per violazione e falsa applicazione dei principi che regolano l’onere della prova in tema di riconoscimento dello status di rifugiato”, ascrivendosi al tribunale lagunare di essersi limitato “a ritenere insufficienti e contraddittorie le dichiarazioni e le prove portate dal ricorrente a sostegno delle proprie richieste, senza aver contribuito in alcun modo all’attività di indagine e di informazione circa la vicenda narrata, pur avendone tutti i poteri”;

II) “Nullità del decreto impugnato, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3, per utilizzo di criteri erronei e/o illegittimi e/o insufficienti per valutare l’attendibilità delle dichiarazioni del richiedente”, imputandosi al tribunale suddetto di essersi avvalso di elementi erronei e/o criteri illegittimi per la valutazione di non credibilità del racconto del richiedente protezione;

III) “Nullità della sentenza impugnata, ex art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, per utilizzo di criteri erronei e/o illegittimi nella valutazione dei fatti rappresentati nella documentazione e nelle dichiarazioni rese dal richiedente”, censurandosi le conclusioni cui era giunto il giudice a quo in ordine alla effettiva situazione socio politica del Paese di provenienza del ricorrente;

IV) “Difetto di motivazione sostanziale della sentenza impugnata”, tacciandosi di sostanziale mera apparenza la motivazione del decreto impugnato.

3. I riportati motivi, suscettibili di esame congiunto in ragione della loro evidente connessione, sono complessivamente inammissibili.

3.1. Giova, invero, premettere che questa Corte, ancora di recente (cfr. Cass. n. 18431 del 2019), ha ribadito quale sia il riparto degli oneri di allegazione e prova, ed in qual senso debba essere intesa la nozione di “cooperazione istruttoria” di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, comma 5.

3.1.1. In primo luogo, l’attenuazione del principio dispositivo in cui la “cooperazione istruttoria” consiste si colloca non sul versante dell’allegazione, ma, esclusivamente, su quello della prova, in quanto l’allegazione deve essere adeguatamente circostanziata, dovendo il richiedente presentare “tutti gli elementi e la documentazione necessari a motivare la… domanda”, ivi compresi “i motivi della sua domanda di protezione internazionale” (D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3, commi 1 e 2), con la precisazione che l’osservanza degli oneri di allegazione si ripercuote sulla verifica della fondatezza della domanda medesima, sul piano probatorio, giacchè, in mancanza di altro sostegno, le dichiarazioni del richiedente sono considerate veritiere soltanto, tra l’altro, “se l’autorità competente a decidere sulla domanda ritiene che: a) il richiedente ha compiuto ogni ragionevole sforzo per circostanziare la domanda; b) tutti gli elementi pertinenti in suo possesso sono stati prodotti ed è stata fornita una idonea motivazione dell’eventuale mancanza di altri elementi significativi” (art. 3, comma 5 medesimo D.Lgs. n.). Ne consegue che solo quando colui che richieda il riconoscimento della protezione internazionale abbia adempiuto all’onere di allegare i fatti costitutivi del suo diritto sorge il potere-dovere del giudice di accertare anche d’ufficio se, ed in quali limiti, nel Paese straniero di origine dell’istante, si registrino i fenomeni tali da giustificare l’accoglimento della domanda (cfr. Cass. n. 17069 del 2018). Al contrario, se l’allegazione manca, l’esito della domanda è segnato, in quanto la richiesta di protezione internazionale non si sottrae all’applicazione del principio dispositivo, sicchè il ricorrente ha l’onere di indicare i fatti costitutivi del diritto azionato, pena l’impossibilità per il giudice di introdurli d’ufficio nel giudizio (cfr. Cass. n. 19197 del 2015).

3.1.2. Infatti, il D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, nel prevedere che “Ciascuna domanda è esaminata alla luce di informazioni precise e aggiornate circa la situazione generale esistente nel Paese di origine dei richiedenti asilo e, ove occorra, dei Paesi in cui questi sono transitati” è stato condivisibilmente interpretato da questa Corte nel senso che l’obbligo di acquisizione delle informazioni da parte delle Commissioni territoriali e del giudice deve essere osservato in diretto riferimento ai fatti esposti ed ai motivi svolti nella richiesta di protezione internazionale, non potendo per contro il cittadino straniero lamentarsi della mancata attivazione dei poteri istruttori officiosi riferita a circostanze non dedotte, ai fini del riconoscimento della protezione (cfr. Cass. n. 30105 del 2018, in motivazione, ribadita dalla più recente Cass. n. 9842 del 2019).

3.1.3. Una volta assolto l’onere di allegazione, il dovere dell’Autorità Giudiziaria di cooperazione istruttoria, e, quindi, di acquisizione officiosa degli elementi istruttori necessari, è circoscritto alla verifica della situazione oggettiva del Paese di origine e non alle individuali condizioni del soggetto richiedente, poichè è evidente che, mentre il giudice è anche d’ufficio tenuto a verificare se nel Paese di provenienza sia obiettivamente sussistente una situazione talmente grave da costituire ostacolo al rimpatrio del richiedente, egli non può essere chiamato – nè, d’altronde, avrebbe gli strumenti per farlo – a supplire a deficienze probatorie concernenti la situazione personale del richiedente medesimo, dovendo a tal riguardo soltanto effettuare la verifica di credibilità prevista nel suo complesso dal comma 5 del già citato D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3.

3.2. Nella specie, il Tribunale di Venezia (cfr. amplius, pag. 7-8 del decreto impugnato) ha innanzitutto dato atto che il ricorrente ha dichiarato: i) di aver lasciato il proprio Paese dopo l’uccisione dei propri genitori ed a causa della situazione di insicurezza presente nella zona da cui egli proviene.

3.2.1. Il medesimo tribunale ha poi ritenuto di poter condividere “le perplessità espresse dalla Commissione sulla credibilità dei fatti narrati dal ricorrente e delle ragioni che l’avrebbero indotto a lasciare il suo Paese, apparendo inverosimile il racconto fatto dal ricorrente, come viene ben spiegato nel provvedimento di rigetto, avendo il ricorrente rilasciato delle dichiarazioni generiche, sommarie e per nulla circostanziate. Dalle dichiarazioni rilasciate dal ricorrente nelle due sedi di audizione non si comprende infatti da chi i suoi genitori sarebbero stati uccisi e per quale ragione. In sede di audizione davanti alla Commissione, il ricorrente in merito a tale aspetto ha solo dichiarato che c’era una disputa tra il proprietario del terreno e il padre e che quindi il padrone temeva che un giorno potesse impossessarsi della terra. (…) ha fatto un generico riferimento alla guerra che ci sarebbe stata tra il villaggio in cui viveva ed un altro villaggio, dichiarando che, per tale ragione, i suoi genitori sarebbero morti. (…) Inoltre, si è contraddetto numerose volte… Il medesimo, inoltre, pure interrogato sul punto, ha affermato di aver visto la moglie, l’ultima volta, nel 2013, ma di essere il padre del bambino partorito dalla stessa nel (OMISSIS)…”. Infine, il timore del ricorrente, in caso di rimpatrio, è stato ritenuto infondato da quel tribunale, non avendo il primo “saputo fornire alcun elemento in ordine al pericolo concreto che subirebbe nel Paese di origine”.

3.2.2. Trattasi, pertanto, di accertamenti le cui evidenziate incongruenze hanno indotto il tribunale alla logica conclusione di ritenere non credibile il Nussa, con valutazione in fatto qui evidentemente non sindacabile (cfr. Cass. n. 3340 del 2019, secondo cui “la valutazione in ordine alla credibilità del racconto del cittadino straniero costituisce un apprezzamento di fatto rimesso al giudice del merito, il quale deve valutare se le dichiarazioni del ricorrente siano coerenti e plausibili, D.Lgs. n. 251 del 2007, ex art. 3, comma 5, lett. c). Tale apprezzamento di fatto è censurabile in cassazione solo ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5 come omesso esame circa un fatto decisivo per il giudizio che è stato oggetto di discussione tra le parti, come mancanza assoluta della motivazione, come motivazione apparente, come motivazione perplessa ed obiettivamente incomprensibile, dovendosi escludere la rilevanza della mera insufficienza di motivazione e l’ammissibilità della prospettazione di una diversa lettura ed interpretazione delle dichiarazioni rilasciate dal richiedente, trattandosi di censura attinente al merito”), se non nei ristretti limiti e con le peculiari modalità sancite da Cass., SU. n. 8053 del 2014, qui rimaste assolutamente inosservate, con cui è ancora oggi prospettabile un vizio motivazionale, giusta l’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, come novellato dal D.L. n. 83 del 2012, convertito, con modificazioni, dalla L. n. 134 del 2012, qui applicabile ratione temporis, risultando impugnato un decreto decisorio reso il 18 febbraio 2019. Il vizio di violazione di legge consiste, invece, nella deduzione di un’erronea ricognizione, da parte del provvedimento impugnato, della fattispecie astratta recata da una norma di legge ed implica necessariamente un problema interpretativo della stessa, e, come tale, è inammissibile in subiecta materia (cfr. Cass. n. 27072 del 2019; Cass. 3340/2019).

3.2.3. Deve, dunque, ritenersi che il ricorrente abbia posto a fondamento della propria domanda di protezione internazionale una vicenda scarsamente credibile, riguardo alla quale, evidentemente, non vi era alcun dovere di cooperazione istruttoria e che doveva e poteva essere scrutinata soltanto sulla base della sua intrinseca credibilità: credibilità che il giudice merito ha escluso, con giudizio qui non ulteriormente sindacabile per le ragioni già precedentemente evidenziate.

3.3. Ove, peraltro, le dichiarazioni del richiedente siano giudicate inattendibili alla stregua dei criteri di genuinità soggettiva di cui al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 3 nemmeno occorre procedere ad approfondimento istruttorio officioso circa la prospettata situazione persecutoria nel Paese di origine – con riferimento al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. a) e b), – salvo che (ipotesi qui neppure allegata) la mancanza di veridicità derivi esclusivamente dall’impossibilità di fornire riscontri probatori (cfr. Cass. n. 27072 del 2019; Cass. n. 16925 del 2018).

3.3.1. Quanto, poi, alla protezione sussidiaria invocata ai sensi al D.Lgs. n. 251 del 2007, art. 14, lett. c), è qui sufficiente rimarcare che: i) è dovere del giudice verificare, avvalendosi dei poteri officiosi di indagine e di informazione di cui al D.Lgs. n. 25 del 2008, art. 8, comma 3, se la situazione di esposizione a pericolo per l’incolumità fisica indicata dal ricorrente, astrattamente riconducibile ad una situazione tipizzata di rischio, sia effettivamente sussistente nel Paese nel quale dovrebbe essere disposto il rimpatrio, sulla base ad un accertamento che deve essere aggiornato al momento della decisione (cfr. Cass. n. 27072 del 2019; Cass. n. 28990 del 2018; Cass. n. 17075 del 2018); al fine di ritenere adempiuto tale onere, inoltre, il giudice è tenuto ad indicare specificatamente le fonti in base alle quali abbia svolto l’accertamento richiesto (cfr. Cass. n. 11312 del 2019); iii) nel caso di specie, il tribunale veneziano ha negato, mediante il ricorso a fonti internazionali attendibili ed aggiornate, citate in motivazione (EASO, (OMISSIS) 2017) come richiesto dal recente indirizzo di questa Corte (cfr. Cass. n. 11312 del 2019), che la specifica zona di provenienza dell’immigrato ((OMISSIS), (OMISSIS)) sia caratterizzata dalla presenza di un conflitto armato generatore di una situazione di violenza tanto diffusa ed indiscriminata da interessare qualsiasi persona ivi abitualmente dimorante.

3.4. Posto, allora che, in nessun modo si può ritenere che la motivazione del decreto oggi impugnato si collochi al di sotto del minimo costituzionale, per l’articolato e costante collegamento del filo motivazionale agli elementi di prova raccolti nel processo, in particolare alle condizioni politico-sociale dell’ambito di provenienza ed alle dichiarazioni del richiedente, ritenute inattendibili per le ragioni sopra evidenziate, le odierne censure si risolvono nella esposizione astratta di principi giuridici ed orientamenti giurisprudenziali in materia, nonchè in una sostanziale richiesta di rivisitazione del merito, inammissibili in questa sede (cfr. Cass. n. 27072 del 2019; Cass. n. 29404 del 2017; Cass. n. 19547 del 2017; Cass. n. 16056 del 2016).

4. Il ricorso va, dunque, dichiarato inammissibile, restando le spese di questo giudizio di legittimità, liquidate come in dispositivo, regolate dal principio di soccombenza, altresì dandosi atto, – in assenza di ogni discrezionalità al riguardo (cfr. Cass. n. 5955 del 2014; Cass., S.U., n. 24245 del 2015; Cass., S.U., n. 15279 del 2017) e giusta quanto recentemente precisato da Cass., SU, n. 4315 del 2020 che, stante il tenore della pronuncia adottata, “sussistono, ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1 quater, i presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, di un ulteriore importo a titolo di contributo unificato, pari a quello previsto per il ricorso a norma dello stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto”, mentre “spetterà all’amministrazione giudiziaria verificare la debenza in concreto del contributo, per la inesistenza di cause originarie o sopravvenute di esenzione dal suo pagamento”.

PQM

La Corte dichiara inammissibile il ricorso, e condanna il ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio di legittimità, che liquida in Euro 2.100,00 per compensi, oltre spese prenotate a debito.

Ai sensi del D.P.R. n. 115 del 2002, art. 13, comma 1 quater, inserito dalla L. 24 dicembre 2012, n. 228, art. 1, comma 17, dà atto della sussistenza dei presupposti processuali per il versamento, da parte del ricorrente, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello previsto per il ricorso, giusta lo stesso art. 13, comma 1 bis se dovuto.

Così deciso in Roma, nella camera di consiglio della sezione prima civile della Corte Suprema di cassazione, il 4 marzo 2020.

Depositato in Cancelleria il 19 maggio 2020

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