Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9187 del 02/04/2021

Cassazione civile sez. I, 02/04/2021, (ud. 10/07/2020, dep. 02/04/2021), n.9187

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE PRIMA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE CHIARA Carlo – Presidente –

Dott. FERRO Massimo – Consigliere –

Dott. MARULLI Marco – rel. Consigliere –

Dott. MERCOLINO Guido – Consigliere –

Dott. AMATORE Roberto – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso 6233/2016 proposto da:

M.G., e C.B., elettivamente domiciliati in Roma

presso lo studio dell’avvocato Angelo Colucci, che li rappresenta e

difende con l’avvocato Giovanni Franchi, giusta procura in margine

al ricorso;

– ricorrenti –

contro

CASSA DI RISPARMIO DI PARMA E PIACENZA S.P.A., domiciliata in Roma

presso la cancelleria della Corte di Cassazione, rappresentata e

difesa dall’avvocato Massimo Bianchini, giusta procura a margine del

controricorso;

– controricorrente –

avverso la sentenza 116/2015 della CORTE D’APPELLO di BOLOGNA

depositata il 23/01/2015;

udita la relazione della causa svolta nella Camera di consiglio del

10/07/2020 dal Cons. Dott. MARULLI MARCO.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. I coniugi M.G. e C.B. ricorrono a questa Corte al fine di sentir cassare l’epigrafata sentenza con la quale la Corte d’Appello di Bologna, attinta dai medesimi per la riforma della decisione di primo grado che li aveva visti soccombere nel giudizio da essi promosso nei confronti della Cassa di Risparmio di Parma e Piacenza a fronte del danno patito in conseguenza del default che aveva travolto il gruppo Parmalat, di cui avevano sottoscritto i titoli obbligazionari, ha respinto l’appello per difetto di specificità dei relativi motivi.

La Corte felsinea, per quanto ancora rileva, ha ritenuto, quanto alla domanda di nullità del contratto quadro stipulato l’8.1.1996 per non essere stato adeguato alle disposizione del TUF e del Reg. Consob 11 luglio 1998, n. 11522, giudicata inammissibile dal Tribunale perchè proposta tardivamente, che la ratio decidendi a tal fine enunciata dal decidente del grado “non è stata censurata, nè presa in considerazione dagli appellanti”, e ciò non senza pure osservare che la domanda in questione “è del tutto generica e dunque inammissibile anche sotto tale profilo”; e, quanto al difetto del nesso di causalità tra inadempimento degli obblighi informativi, dichiarato ancora dal Tribunale, che gli appellanti non hanno “censurato la sentenza, con la dovuta specificità, nella parte in cui il primo Giudice ha chiaramente escluso la fattispecie prevista dalla citata norma ritenendo i bonds in oggetto assolutamente coerenti, anche per dimensione, al profilo di rischio del cliente”.

Il mezzo ora azionato dai soccombenti si vale di quattro motivi di ricorso, ai quali resiste l’intimata con controricorso.

Memorie di entrambe le parti ex art. 380-bisl c.p.c..

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

2.1. Il ricorso – alla cui ammissibilità non osta l’argomento opposto pregiudizialmente dalla controricorrente, che eccepisce il difetto di idonea procura mancando, in quella apposta a margine del ricorso, ogni indicazione delle parti e della sentenza impugnata, per le ragioni già esaustivamente spiegate da questa Corte (Cass., Sez. III, 17/12/2009, n. 26504 e Cass., Sez. II, 9/08/2018, n. 20692) censura con la prima allegazione la determinazione adottata dalla Corte territoriale in ordine al motivo inteso a far valere la nullità del contratto quadro per mancato adeguamento di esso alle disposizioni di legge e di regolamento vigenti al tempo della negoziazione, vero che in dissenso dal Tribunale, che aveva divisato la novità della domanda e per questo l’aveva dichiarata inammissibile, si era sostenuto che “la stessa non poteva, infatti, considerarsi nuova, se si tiene presente che fin dalla citazione è stata chiesta la nullità per difetto di forma”.

2.2. Il motivo è affetto da plurime ragioni di inammissibilità.

La sua prospettazione è, intanto, carte alla mano, oggettivamente ondivaga. Nell’introdurre il giudizio in primo grado il preteso “difetto di forma” era stato eccepito per mancanza di forma scritta dell’ordine di investimento afferente all’operazione Parmalat; viceversa nella comparsa conclusionale del giudizio di primo grado la nullità era stata eccepita con riferimento al contratto quadro cui si imputava il mancato adeguamento alle richiamate disposizioni di legge e regolamentari; nell’atto di appello, impugnandosi la vista statuizione di inammissibilità pronunciata dal Tribunale su questa domanda, si rinnovava la denuncia di un vizio di forma senza altra precisazione. L’odierna doglianza coniuga ora, del tutto impropriamente, il preteso difetto di forma dell’ordine di investimento alla pretesa nullità del contratto quadro per mancato adeguamento alle richiamate disposizioni, operando una mescolanza di concetti ed una sovrapposizione di piani di ragionamento che nuoce alla comprensibilità del motivo e lo priva della necessaria specificità ai sensi dell’art. 366 c.p.c., comma 1, n. 4, sotto il profilo di una critica puntuale e coerente delle ragioni della decisione impugnata (Cass., Sez. III, 5/06/2007, n. 13066).

E’ poi appena il caso di osservare, in replica al rilievo ricorrente, dell’avviso che alla specie in esame si applicherebbe l’art. 342 c.p.c., nel testo antevigente alle modifiche di cui al D.L. 22 giugno 2012, n. 83, art. 54, comma 1, lett. 0a), convertito dalla L. 7 agosto 2012, n. 134, che l’impugnata decisione, allorchè ha inteso rimarcare il difetto di specificità del gravame sul punto, ha inteso esattamente uniformare il proprio preclusivo giudizio sull’assunto, esplicitato proprio in relazione al citato testo dell’art. 342 c.p.c., secondo cui “affinchè un capo di sentenza possa ritenersi validamente impugnato non è sufficiente che nell’atto d’appello sia manifestata una volontà in tal senso, ma è necessario che sia contenuta una parte argomentativa che, contrapponendosi alla motivazione della sentenza impugnata, con espressa e motivata censura, miri ad incrinarne il fondamento logico-giuridico” (Cass., Sez. U., 9/11/2011, n. 23299).

Il giudizio esternato dal decidente del grado mette dunque capo ad un apprezzamento delle risultanze processuali che, nel mentre si sottrae allo scrutinio di questa Corte per il rilevato difetto di specificità, si allinea nel resto puntualmente al contenuto precettivo dell’art. 342 c.p.c., applicabile alla specie, laddove evidenzia l’inidoneità del dedotto motivo di gravame ad inficiare il fondamento logico-giuridico dell’impugnato pronunciamento.

3. Il secondo motivo di impugnazione svolto dai ricorrenti – mercè il quale si contesta ancora la determinazione sul punto nella parte in cui la Corte d’Appello ha “comunque” ritenuto la proposta domanda “del tutto generica”, quantunque si fossero rappresentate dagli appellanti le lacune affliggenti il master agreement alla luce delle disposizioni regolanti al tempo l’attività degli intermediari – è anch’esso affetto da pregiudiziale inammissibilità evidenziabile sotto un duplice profilo.

Da un lato l’allegazione, pur non potendosi considerare estranea all’iter motivazionale della sentenza impugnata, non ne intercetta tuttavia una ratio decidendi, dal momento che l’affermazione censurata, svolta, all’evidenza, dal decidente ad abundantiam, nell’economia complessiva della decisione impugnata risulta pleonastica ed è, conseguentemente, priva di valenza decisionale, essendosi la Corte d’Appello spogliata di ogni ulteriore potestà decisionale sul punto una volta dichiarata l’inammissibilità del motivo per difetto di specificità, con l’effetto di privare il ricorrente dell’interesse all’impugnazione (Cass., Sez. U., 20/02/2007, n. 3840); dall’altro, si impone di rilevare il difetto di interesse all’impugnazione in capo ai ricorrenti alla luce della considerazione che, ove il punto in questione fosse rappresentativo di un’autonoma ratio decidendi, la sua censura si rivelerebbe inidonea ai fini della richiesta cassazione, dal momento che per mezzo della dichiarata inammissibilità dell’appello per difetto di specificità la decisione impugnata verrebbe a disporre di una ratio decidendi in grado autonomamente di prestarvi sostegno (Cass., Sez. I, 18/09/2006, n. 20118).

4. Il terzo motivo di ricorso lamenta che “il contratto quadro sottoscritto dai signori M. e C. è privo della sottoscrizione del legale rappresentante dell’istituto” e che la sentenza impugnata è affetta perciò da un vizio di omessa pronuncia “per non essersi il giudice del gravame pronunciato su una questione rilevabile d’ufficio e, di conseguenza degli artt. 18 o 23, per non essere stata accertata la nullità del contratto quadro e, di conseguenza, dell’ordine”.

La doglianza, in disparte dalla rilevabilità d’ufficio o meno della relativa questione da parte del giudice d’appello, non ha in ogni caso alcuna fondatezza.

Le SS.UU. mettendo fine alla vexata quaestio dell’osservanza dei requisiti di forma cui obbedisce il contratto disciplinato dall’art. 23 TUF, ha affermato che “in tema d’intermediazione finanziaria, il requisito della forma scritta del contratto-quadro, posto a pena di nullità (azionabile dal solo cliente) dal D.Lgs. n. 58 del 1998, art. 23, va inteso non in senso strutturale, ma funzionale, avuto riguardo alla finalità di protezione dell’investitore assunta dalla norma, sicchè tale requisito deve ritenersi rispettato ove il contratto sia redatto per iscritto e ne sia consegnata una copia al cliente, ed è sufficiente che vi sia la sottoscrizione di quest’ultimo, e non anche quella dell’intermediario, il cui consenso ben può desumersi alla stregua di comportamenti concludenti dallo stesso tenuti” (Cass., Sez. U., 16/01/2018, n. 898).

5. Il quarto motivo di ricorso – inteso a confutare la statuizione di inammissibilità adottata dal giudice d’appello in punto di nesso causale tra inosservanza degli obblighi informativi e i danni patiti dagli appellanti poichè “con la citazione è stato contestato il rigetto della domanda risarcitoria e ciò è sufficiente per ritenere specificato il motivo” – è inammissibile dal momento che esso, come già il primo sotto questa angolazione, manca di specificità astenendosi dallo sviluppare un qualsiasi confronto critico con le ragioni della decisione e risolvendosi in una vana tautologia.

6. Il ricorso va dunque respinto.

7. Spese alla soccombenza e doppio contributo ove dovuto.

PQM

Respinge il ricorso e condanna parte ricorrente al pagamento delle spese del presente giudizio che liquida in Euro 2700,00, di cui Euro 200,00 per esborsi, oltre al 15% per spese generali ed accessori di legge.

Ai sensi del D.P.R. 30 maggio 2002, n. 115, art. 13, comma 1-quater, dichiara la sussistenza dei presupposti per il versamento da parte del ricorrente, ove dovuto, dell’ulteriore importo a titolo di contributo unificato pari a quello dovuto per il ricorso.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Prima Civile, il 10 luglio 2020.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2021

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