Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9186 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2011, (ud. 11/01/2011, dep. 21/04/2011), n.9186

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. BOGNANNI Salvatore – Consigliere –

Dott. DI IASI Camilla – Consigliere –

Dott. IACOBELLIS Marcello – Consigliere –

Dott. CARACCIOLO Giuseppe – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 11153-2006 proposto da:

AGENZIA DELLE ENTRATE, in persona del Direttore pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA VIA DEI PORTOGHESI 12 presso

l’AVVOCATURA GENERALE DELLO STATO, che lo rappresenta e difende ope

legis;

– ricorrente –

contro

S.D., S.O.;

– intimati –

avverso la sentenza n. 4/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 09/02/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

11/01/2011 dal Consigliere Dott. GIUSEPPE CARACCIOLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

APICE Umberto che ha concluso per l’inammissibilità nel merito

l’accoglimento.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

1. Gli atti del giudizio di legittimità.

Il 27.3.2006 è stato notificato a S.D. e S. O. un ricorso dell’Agenzia delle Entrate per la cassazione della sentenza descritta in epigrafe (depositata il 9.2.2005), che ha rigettato l’appello dell’Agenzia contro la sentenza della Commissione tributaria provinciale di Rieti n. 30/01/2002, che aveva accolto il ricorso della contribuente avverso cartella esattoriale di pagamento concernente INVIM, sanzioni ed interessi.

Non hanno svolto attività difensiva i contribuenti.

La controversia è stata discussa alla pubblica udienza del 11.1.2011, in cui il PG ha concluso per l’inammissibilità del ricorso.

2. I fatti di causa.

L’Agenzia delle Entrate di Rieti ha rideterminato i valori finali dei beni immobili oggetto dell’atto pubblico di permuta stipulato in data 8.7.1987 con avviso di accertamento, avverso il quale i contribuenti ebbero a proporre un ricorso che la CTP di Rieti respingeva con sentenza divenuta definitiva. Il conseguente avviso di liquidazione di data 2.8.1996 era stato pure assoggettato ad impugnazione, ulteriormente disattesa dall’adita CTP di Rieti. Iscritta a ruolo in data 8.1.2001 la somma di L. 41.985.000, la conseguente cartella esattoriale era stata pure impugnata dai contribuenti in punto di erroneo computo della “sanzione del 30%”, che in tesi avrebbe dovuto essere applicata sul solo tributo, ed in punto di erroneo calcolo degli interessi. La commissione di primo grado aveva accolto il ricorso della parte contribuente e l’appello poi promosso dall’Agenzia era stato disatteso dalla CTR di Roma.

3. La motivazione della sentenza impugnata.

La sentenza della CTR, oggetto del ricorso per cassazione, è motivata nel senso che correttamente il giudice di primo grado – accogliendo parzialmente il ricorso del contribuente – aveva dichiarato non applicabile la sanzione sugli interessi ed aveva rideterminato gli interessi moratori. Secondo la CTR (che ha richiamato a sostegno sia la Risoluzione Ministerile n. 98/E che la Circolare n. 57/24/11 del 30.8.1986 della Dir. Gen. delle tasse) le obiezioni dell’Agenzia in ordine alla non applicabilità dei principi richiamati nella citata “Risoluzione” non apparivano fondati ed inoltre la base di computo degli interessi moratori poteva essere costituita solo da imposta e sanzione, mentre l’Ufficio aveva duplicato “la componente sanzione, con il conseguente effetto della determinazione di un maggior importo di interessi”.

4. Il ricorso per cassazione Il ricorso per cassazione è sostenuto con due motivi d’impugnazione e, dichiarato il valore della causa nella misura di Euro 21.680,00, si conclude con la richiesta che sia cassata la sentenza impugnata, con ogni conseguente provvedimento in punto di spese.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

6. Il primo motivo d’impugnazione.

Il primo motivo d’impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione di legge per erronea e falsa applicazione D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 e D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 25″.

La parte ricorrente lamenta che il giudice di appello non abbia correttamente enucleato l’oggetto della doglianza, da identificarsi con la lamentata violazione dell’art. 13 sopra menzionato, non applicabile alla specie di causa proprio in forma del disposto del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 25 secondo il quale:”Le disposizioni del presente decreto si applicano alle violazioni non ancora contestate o per le quali la sanzione non sia stata irrogata alla data della sua entrata in vigore”.

Nella specie di causa la sanzione era stata contestata con l’avviso di liquidazione notificato nel 1996, e perciò in epoca antecedente “all’entrata in vigore della riforma sanzionatoria (1.4.1997)”.

La ricorrente Agenzia evidenziava poi che i conteggi di quanto ancora dovuto dal contribuente erano stati effettuati al netto delle cifre già versate in pendenza di giudizio.

Il motivo è inammissibile.

Per un verso la parte ricorrente deduce considerazioni di fatto (circa le corrette modalità di computo delle somme ancora dovute) che sono rivolte ad una diversa soluzione della questione di merito, in contrapposizione con quanto ha ritenuto il giudice della fase di merito, nell’esercizio dei poteri a lui riservati, considerazioni che perciò sono estranee all’oggetto della materia definibile in questa sede, nei limiti della critica tassativamente ammessa ai sensi dell’art. 360 c.p.c..

Per altro verso il ricorrente, nel prospettare “erronea e falsa applicazione di legge” in relazione alle norme valorizzate dal giudice di secondo grado, identifica poi in termini assolutamente non perspicui le ragioni di detta critica nonchè la disciplina di legge che dovrebbe attagliarsi al caso di specie siccome regola di definizione della lite, limitandosi ad evidenziare di avere già eccepito in primo grado la non applicabilità del D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 (secondo cui la sanzione si commisura sull’imposta) e a rappresentare che “la sanzione è stata contestata con avviso di liquidazione notificato nel 1996, cioè prima dell’entrata in vigore della riforma sanzionatoria (1.4.1997)”.

Vi è però da precisare che, come si legge nella sentenza qui impugnata, il giudice di prime cure aveva accolto parzialmente il ricorso limitandosi a dichiarare non applicabili “le sanzioni sugli interessi” e rideterminando gli “interessi moratori”, sicchè poi l’appello dell’Agenzia aveva avuto attinenza esclusiva all’anzidetto profilo di soccombenza.

Il giudice d’appello a sua volta, si è limitato a rilevare le obiezioni dell’Agenzia circa la non applicabilità dei principi richiamati dalla Risoluzione Ministeriale n. 98/E non apparivano fondate e che “il calcolo degli interessi postula la preliminare definizione della base di computo” la qual “si identifica esclusivamente nelle due componenti d’imposta e di sanzione”, regola che l’Ufficio non aveva rispettato, “duplicando la componente sanzione, con il conseguente effetto della determinazione di un maggior importo di interessi”.

Orbene, quale sia l’attinenza della censura di “erronea e falsa applicazione” dell’art. 13 anzi citato, rispetto a tali argomenti la parte ricorrente non ha chiarito in alcun modo, limitandosi ad affermazioni prive di qualsiasi attinenza alla concreta materia di controversia (anch’essa delineata in termini non perspicui), ciò che risalta maggiormente alla luce del fatto nella sentenza impugnata detto art. 13 non viene affatto menzionato.

Tutto ciò contrasta con i principi tante volte richiamati dalla giurisprudenza di questa Corte. Per tutte Cass. Sez. 50, Sentenza n. 5024 del 08/04/2002: “Il ricorso per cassazione che contenga mere enunciazioni di violazioni di legge o di vizi di motivazione, senza consentire, nemmeno attraverso una sua lettura globale, di individuare il collegamento di tali enunciazioni con la sentenza impugnata e le argomentazioni che la sostengono, nè quindi di cogliere le ragioni per le quali se ne chieda l’annullamento, non soddisfa i requisiti di contenuto fissati dall’art. 366 c.p.c., n. 4, e, pertanto, deve essere dichiarato inammissibile”.

Nella specie dei motivi di ricorso qui in esame, è peraltro manifesta anche la totale reciproca non corrispondenza delle norme enucleate, la seconda delle quali (del D.Lgs. n. 472 del 1997, art. 25) fa riferimento alle “disposizioni del presente decreto”, fuori dall’ambito delle quali si pone invece il D.Lgs. n. 471 del 1997, art. 13 che la parte ricorrente ha – senza alcuna specifica giustificazione – messo in correlazione con la predetta disposizione.

7. Il secondo motivo di impugnazione.

Il secondo motivo di impugnazione è collocato sotto la seguente rubrica: “Violazione di legge ex art. 360 c.p.c., n. 5 per omessa motivazione su di un punto decisivo della controversia”.

A parte l’imprecisione della formula utilizzata nella rubrica, il motivo di censura si appalesa non meno inammissibile di quello che si è esaminato in precedenza, non essendo stato affatto identificato dalla parte ricorrente il “punto decisivo” della controversia in ordine al quale il giudice dell’appello avrebbe omesso di motivare, risolvendosi così la censura in un generica critica in ordine alla intelligibilità degli argomenti utilizzati dal predetto giudicante.

Non resta che ritenere che il ricorso per cassazione proposto dall’Agenzia non può essere accolto, fondato com’è su motivi inammissibilmente formulati.

Nulla in punto di spese poichè la parte contribuente non ha svolto attività difensiva.

P.Q.M.

la Corte rigetta il ricorso dell’Agenzia. Nulla sulle spese.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio, il 11 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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