Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9181 del 10/04/2017


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Cassazione civile, sez. II, 10/04/2017, (ud. 25/01/2017, dep.10/04/2017),  n. 9181

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE SECONDA CIVILE

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MATERA Lina – Presidente –

Dott. PROTO Cesare Antonio – Consigliere –

Dott. LOMBARDO Luigi Giovanni – Consigliere –

Dott. D’ASCOLA Pasquale – Consigliere –

Dott. SCALISI Antonino – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 280/2013 proposto da:

D.G., (OMISSIS), elettivamente domiciliata in ROMA, VIA

SANNIO 65, presso lo studio dell’avvocato ANSELMO TORCHIA, che la

rappresenta e difende;

– ricorrente –

V.S., elettivamente domiciliato in ROMA, V.LE PAOLO

ORLANDO 58 – OSTIA, presso lo studio dell’avvocato MARCO PETRUCCI,

rappresentato e difeso dall’avvocato GIOMMARIA UGGIAS;

– controricorrente incidentale –

avverso la sentenza n. 72/2012 della CORTE D’APPELLO DI CAGLIARI

sezione distaccata di SASSARI, depositata il 29/02/2012;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

25/01/2017 dal Consigliere Dott. ANTONINO SCALISI;

udito l’Avvocato PAGLIONE Alfio, con delega depositata in udienza

dell’Avvocato TORCHIA Anselmo, difensore del ricorrente che ha

chiesto l’accoglimento del ricorso principale;

udito l’Avvocato BRUSCHETTI Leonardo, con delega depositata in

udienza dell’Avvocato UGGIAS Giommaria, difensore del resistente che

ha chiesto il rigetto del ricorso principale e l’accoglimento

dell’incidentale;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

CAPASSO Lucio, che ha concluso per l’accoglimento del 1^ motivo del

ricorso principale, rigetto del 2^ motivo; rigetto del ricorso

incidentale.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

D.G., con atto di citazione del 24 ottobre 2001, conveniva in giudizio, davanti al Tribunale di Tempio Pausania, V.S., chiedendo la pronuncia di sentenza ex art. 2932 c.c., relativamente al contratto preliminare del (OMISSIS), avente ad oggetto l’immobile sito nel Comune di (OMISSIS) della superficie di 115 mq circa coperti e giardino di 80 mq., immobile per il quale aveva corrisposto la somma di Lire 160.000.000, oltre successive Lire 15.000.000 in conseguenza di mutamento di destinazione edilizia, con esclusione di ulteriore richiesta economica per la costruzione della piscina.

Si costituiva V. il quale negava il proprio asserito inadempimento, atteso che aveva manifestato unitamente alla moglie comproprietaria la volontà di stipulare il contratto definitivo, chiedendo, al contempo, il pagamento delle somme dovute per l’aumento della superficie coperta per nuovi servizi e per nuovi beni condominiali nella misura corrispondente alla quota dell’attore.

Chiedeva in via riconvenzionale la risoluzione del contratto per inadempimento di D. e conseguente rilascio del bene, oltre la condanna di restituire al medesimo le somme versate defalcate di Euro 29.649,98, che dovevano essere corrisposte nel caso in cui fosse accolta la domanda dell’attore, oltre i frutti maturati dall’immissione in possesso al rilascio e le spese condominiali.

Con separata atto di citazione V.S. conveniva in giudizio sempre davanti al Tribunale di Tempio Pausania, chiedendo la risoluzione del contratto preliminare di cui si dice.

Le cause venivano riunite ed espletata la fase istruttoria, il Tribunale di Tempio Pausania con sentenza n. 196 del 2006 condannava D. alla restituzione dell’immobile al V.S. e condannava quest’ultimo alla restituzione della somma di Euro 90.379,95 con contestuale inammissibilità della domanda di D. di trasferimento della proprietà, perchè una parte del bene era di proprietà della moglie e la moglie non era parte del giudizio, nè V., nel frattempo, aveva acquistato la parte di proprietà che apparteneva alla moglie, nè ad ottenere procura a vendere da parte della moglie. Rigettava la domanda del V. di risoluzione del contratto per inadempimento dell’attore atteso che lo stesso aveva promesso la vendita di un bene parzialmente altrui e non aveva provato di avere, nei termini contrattualmente previsti acquisito la proprietà dell’immobile o la disponibilità a vendere. Quanto ai frutti, il D. era un possessore di buona fede in forza del contratto preliminare e, dunque, egli avrebbe potuto essere condannato solo ai frutti da lui percepiti successivamente alla domanda ma il V. non aveva provato che il D. avesse percepito dei frutti.

La Corte di Appello di Cagliari sez. staccata di Sassari, pronunciandosi su appello proposta da D.G., e su appello incidentale di V.S., con sentenza n. 72 del 2012 accoglieva parzialmente l’appello principale e l’appello incidentale e, per l’effetto, dichiarava la risoluzione del contratto per inadempimento del V. e confermava per il resto l’impugnata sentenza. Dichiarava inammissibile, ai sensi dell’art. 345 c.p.c., la domanda di risarcimento del danno e di restituzione della somma corrisposta dal D.. In accoglimento dell’appello incidentale condannava D. a corrispondere i frutti per l’occupazione dell’immobile dalla data di deposito della sentenza del Tribunale, compensava integralmente le spese.

Secondo la Corte di Appello di Cagliari sez. staccata di Sassari era escluso che potesse essere emessa sentenza ex art. 2932 c.c., posto che il V. non era proprietario dell’intero bene compravenduto, piuttosto il contratto andava dichiarato risolto per grave inadempimento del V.. Al V. andavano riconosciuto i frutti perchè, in caso di impossibilità di stipulare il contratto definitivo, avendo il promissario acquirente ottenuto la disponibilità del bene resta onerato oltre che alla restituzione del bene alla restituzione dei frutti se richiesti, come nel caso in esame.

La cassazione di questa sentenza è stata chiesta da D.G. con ricorso affidato a due motivi. V.S. ha resistito con controricorso, proponendo, a sua volta, ricorso incidentale affidato ad un motivo

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

A.- Ricorso principale.

1.- Con il primo motivo D. lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 1453 c.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Il ricorrente sostiene che sarebbe del tutto infondata la declaratoria di inammissibilità della domanda risarcitoria, perchè se l’art. 1453 c.c., consente di mutare la domanda di adempimento in quella di risoluzione in deroga al divieto di mutatio libelli non può non essere consentita di ricollegare la domanda di risarcimento del danno e di restituzione del prezzo alla nuova domanda di risoluzione. Erra, pertanto, chiarisce il ricorrente, la Corte distrettuale nel sostenere che “se invece la domanda risarcitoria è consequenziale all’accoglimento della domanda di risoluzione del contratto per grave inadempimento, essa risulta inammissibile ex art. 345 c.p.c., essendosi precisato che proposta inizialmente domanda di ottenere il trasferimento ai sensi dell’art. 2932 c.c., nonchè il risarcimento dei danni derivanti dal ritardo con cui avrebbero conseguito il bene, il proporre successivamente domanda di risoluzione del contratto preliminare, unitamente al risarcimento dei danni comporta l’inammissibilità di quest’ultima”.

1.1. – Il motivo è fondato. La questione proposta è stata definitivamente risolta dalle Sezioni Unite di questa Corte con la sentenza n. 8510 del 2014 che ha composto un contrasto giurisprudenziale in materia. Come è stato correttamente evidenziato dal ricorrente parte della giurisprudenza anche di questa Corte sosteneva l’estensione della deroga al divieto di mutatio libelli di cui dell’art. 1453 c.c., comma 2, anche al risarcimento del danno e alla restituzione del prezzo e come ha evidenziato la Corte distrettuale, altra parte della giurisprudenza anche di questa Corte, sosteneva che la deroga al divieto di mutatio libelli sancito dall’art. 1453 c.c., non si estendeva alle domande di risarcimento conseguenziali rispettivamente a quelle di adempimento e di risoluzione perchè le domande di risarcimento dei danni e di restituzione del bene. Tuttavia, come si è già detto, le Sezioni Unite di questa Corte di cassazione ha precisato che: La parte che, ai sensi dell’art. 1453 c.c., comma 2, chieda la risoluzione del contratto per inadempimento nel corso del giudizio dalla stessa promosso per ottenere l’adempimento, può domandare, contestualmente all’esercizio dello “ius variandi”, oltre alla restituzione della prestazione eseguita, anche il risarcimento dei danni derivanti dalla cessazione degli effetti del regolamento negoziale.

2. – Con il secondo motivo il ricorrente denuncia Violazione o falsa applicazione dell’art. 244 c.p.c. (art. 360 c.p.c., n. 3). Il ricorrente sostiene che la sentenza impugnata avrebbe erroneamente accolto l’appello incidentale del V. con il quale questi aveva chiesto il riconoscimento dei frutti civili che il bene avrebbe prodotto a suo favore se ne avesse avuto la disponibilità perchè il diritto del V. sarebbe stato ritenuto provato per testi (agenti immobiliari), senza considerare che i testimoni possono riferire su fatti specifici e determinati e non esprimere valutazioni nel caso specifico di merlato relative al canone di locazione di immobile delle stesse caratteristiche.

2.1. – Il motivo è inammissibile, non solo per mancata autosufficienza, considerato che si fonda sulla prova testimoniale, della quale non viene riportato il contenuto, ma, anche, perchè si risolve nella richiesta di una nuova e diversa valutazione della prova testimoniale che non può essere proposta nel giudizio di cassazione, se, come nel caso in esame, il ragionamento del Giudice del merito non presenta salti o vizi logici e/o giuridici. Senza dire che la prova testimoniale, nel caso concreto, non ha espresso valutazioni, ma ha esposti fatti o vicende notoriamente conosciuti dagli operatori del settore, relative al canone di locazioni di immobili delle stesse caratteristiche. Come ha correttamente evidenziato la Corte distrettuale “(…) nel caso in cui il promittente acquirente ha ottenuto la disponibilità dell’immobile prima della stipula del contratto definitivo, l’impossibilità di stipulare quest’ultimo onera il medesimo dell’obbligo di restituire l’immobile e, in caso di specifica domanda (come nel caso di specie) anche alla restituzione dei frutti che il bene avrebbe naturalmente prodotto a favore del promissario alienante ove lo stesso ne avesse tempestivamente ottenuto la restituzione.

B. Ricorso incidentale condizionato.

3. – Con l’unico motivo del ricorso incidentale V.S. lamenta la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 3, in riferimento all’art. 1538 c.c.. Violazione ed erronea applicazione dei criteri intrepretatavi del contratto in riferimento dal disposto degli artt. 1362, 1363 e 1369 c.c., nonchè la violazione dell’art. 360 c.p.c., n. 5, per insufficiente e contraddittoria motivazione. Il ricorrente incidentale sostiene che la Corte distrettuale nel rigettare l’appello incidentale con il quale veniva chiesta la risoluzione per grave inadempimento del sig. D., per non avere questi corrisposto il maggior prezzo asseritamente superiore del 1/20 rispetto al corrispettivo versato, non avrebbe tenuto conto delle indicazioni del CTU secondo cui la superfice coperta sarebbe di 144,17 mq. e la superfice del giardino di 94 mq, superiori, entrambi le superfici, di oltre un quinto rispetto alla superficie indicata nel contratto preliminare. Piuttosto, la Corte distrettuale avrebbe seguito, senza indicare le ragioni, le indicazioni del consulente di parte secondo il quale la superficie coperta sarebbe complessivamente di mq 118 (comprensiva delle verande) superiore rispetto a quella indicata nel contratto preliminare di solo mq 3, insufficiente a richiedere un supplemento prezzo.

3.1. – Il motivo è fondato essenzialmente perchè non sono chiare le ragioni e/o il ragionamento seguito (e) dalla Corte distrettuale per affermare che “(….) sia considerando il dato oggettivo della superficie che il dato economico, in nessun caso la fattispecie può essere ricompresa nell’art. 1538 c.c., con la conseguenza che l’appellato non ha alcun diritto di pretendere un aumento del corrispettivo pattuito; dato che non chiarisce quale fosse l’esatta superficie effettiva del bene. (….) e come andava esattamente determinata. La sentenza si limita ad affermare che “(…) secondo il Ctu l’immobile in questione ha una superficie coperta di circa 144.17, mentre, secondo il ctp, l’attuale superficie sarebbe di circa 118 mq. La differenza di circa 26 mq discende dal fatto che il CTU ha considerato la superficie complessivamente realizzata calcolando 1 mq di superficie abitativa coperta uguale ad 1 mq di superficie di veranda coperta, mentre il ct di parte appellante ha correttamente applicato i criteri previsti dal D.M. 10 maggio 1977, che ai fini di determinazione del costo di costruzione dell’immobile indica il costo unitario al metro quadrato. Pertanto, rispetto alla superficie coperta indicata, l’immobile realizzato presenterebbe una maggiorazione di 3 mq, cui aggiungere 14 mq di maggiore superficie del giardino (94 mq in luogo di 80 mq circa previsti nel preliminare) In realtà, applicando i correttivi indicati dallo stesso appellato (1 mq di giardino = a 1/5 di mq di superficie abitativa coperta), la maggior superficie complessiva sarebbe di mq. 6,40 circa rispetto ai 131 mq circa previsti in contratto. (…)”. E’ evidente che da queste affermazioni non si riesce a comprendere quale criterio sia stato accolto dalla Corte distrettuale nella determinazione della superficie effettiva del bene, e/o, comunque, perchè nel caso concreto bisognava dare prevalenza ai costi di costruzione e non invece alla misurazione. Ovviamente, tale valutazione rende anche poca chiara la determinazione della maggior somma che il promissario acquirente dovrebbe corrispondere al promittente venditore. La sentenza, al riguardo, si limita ad affermare che “(….) Tramutando tale maggiore superficie in termini economici ed utilizzando il criterio di calcolo indicato dall’appellato, risulta che l’appellante dovrebbe corrispondere la maggior somma di Euro 4.037,06 a fronte di Euro 82.633,10 indicata quale prezzo della compravendita (…)”.

3.2. – b) A sua volta, la sentenza impugnata laddove si limita ad affermare “nel contratto preliminare si fa riferimento ad un appartamento di circa 115 mq per cui non è possibile calcolare nè quanti mq misuri un ventesimo di circa 115 mq. nè quale sia il prezzo al mq. di una superficie di circa 115 mq. (…) l’indicazione solo approssimativa dell’immobile è un chiaro segno rivelatore del fatto che (…) le parti abbiano inteso derogare alla norma medesima (art. 1538 c.c.) escludendone l’applicabilità (…)”, non chiarisce – e lo avrebbe dovuto fare – le ragioni per le quali la semplice espressione “circa” che le parti avrebbero utilizzato fosse espressiva, nel caso concreto, di una volontà univoca ad escludere la rettifica del prezzo ai sensi dell’art. 1538 c.c., senza aver accertato se il contratto, nel suo complesso, contenesse delle precisazioni da rendere trascurabile quell’espressione “circa”.

In definitiva, va accolto il primo motivo del ricorso principale e rigettato il secondo, va accolto il ricorso incidentale. La sentenza impugnata va cassata in relazione ai motivi accolti e la causa va rinviata ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari, la quale provvederà al regolamento delle spese, anche per il presente giudizio di cassazione.

PQM

La Corte accoglie il primo motivo del ricorso principale e rigetta il secondo, accoglie il ricorso incidentale, cassa la sentenza impugnata in relazione ai motivi accolti, e rinvia la causa ad altra sezione della Corte di Appello di Cagliari, anche per il regolamento delle spese del presente giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, nella Camera di consiglio della Sezione Seconda Civile della Corte di Cassazione, il 25 gennaio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2017

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