Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 918 del 17/01/2011

Cassazione civile sez. lav., 17/01/2011, (ud. 17/11/2010, dep. 17/01/2011), n.918

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. FOGLIA Raffaele – Presidente –

Dott. CURCURUTO Filippo – Consigliere –

Dott. TOFFOLI Saverio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 9020-2007 proposto da:

G.P., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA AMITERNO 3,

presso lo studio dell’avvocato NOTARMUZI STEFANO, rappresentato e

difeso dall’avvocato CINQUE LUIGI, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

COMUNE DI (OMISSIS);

– intimato –

avverso la sentenza n. 299/2006 della CORTE D’APPELLO di L’AQUILA,

depositata il 13/04/2006, R.G.N. 520/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

17/11/2010 dal Consigliere Dott. SAVERIO TOFFOLI;

udito l’Avvocato NOTARMUZI STEFANO per delega CINQUE LUIGI;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

MATERA Marcello che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Secondo quanto viene riferito nella impugnata sentenza della Corte d’appello de L’Aquila, G.P., che era stato licenziato dal Comune di (OMISSIS), conseguita nel giudizio di primo grado la dichiarazione di illegittimità del licenziamento con le pronunce conseguenti, proponeva appello al fine di conseguire una maggiore liquidazione del risarcimento del danno ulteriore rispetto a quello insito nella perdita delle retribuzioni. La Corte considerava quale danno ulteriore da licenziamento la somma di Euro 17.600 liquidata dal giudice di primo grado a titolo di risarcimento del danno biologico da demansionamento, facendo applicazione dei parametri comunemente applicati in caso di danno biologico, e osservava che tale calcolo non era contestato, visto che l’appellante lamentava la mancata considerazione del pregiudizio psicologico da lui subito.

Tale pretesa, secondo la Corte era fondata, alla stregua dei fatti accertati in primo grado e pacifici in grado di appello, che avevano caratterizzato il licenziamento non solo come illegittimo ma anche come profondamente ingiusto, in quanto ispirato da motivi di ritorsione, così come ingiusto era risultato anche il comportamento successivo del Comune, che, invece di provvedere alla doverosa reintegrazione del lavoratore, lo aveva mantenuto inattivo per quasi due mesi, per di più con una collocazione umiliante anche esteriormente, e indubbiamente produttiva di pregiudizio sotto un profilo psichico rilevante. Perciò si doveva tener conto anche di questo aspetto, benchè esso costituisse parte integrante di un unico danno, comprensivo degli aspetto bio-fisici e bio-psicologici.

Riteneva quindi equo operare una maggiorazione del danno di circa un terzo, portando la liquidazione a Euro 23.000.

G.P. ricorre per cassazione con un motivo. Il Comune intimato non si è costituito.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso denuncia violazione e falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c..

Premesso che l’atto di appello constava dei seguenti tre motivi: a) richiesta di riconoscimento del danno non patrimoniale da demansionamento, escluso dal primo giudice per ragioni giuridiche superate dal diritto vivente; b) riproposizione della domanda di risarcimento da licenziamento ingiurioso; c) riproposizione della domanda di risarcimento del danno esistenziale, ritenuta tardiva al giudice di primo grado; si osserva che il risarcimento riconosciuto dal giudice di appello si riferisce ad un pregiudizio bio-psicologico per un recesso ingiusto e ispirato da motivi di ritorsione e si lamenta che è mancata qualsiasi statuizione sulle richieste risarcitorie relative al demansionamento, al carattere ingiurioso del licenziamento e al danno esistenziale.

Il ricorso non merita accoglimento. Infatti una valutazione complessiva della sentenza impugnata rende sufficientemente chiaro che il giudice di appello, nonostante alcune discontinuità espositive, abbia inteso procedere ad una nuova liquidazione del danno con riferimento complessivo alle potenzialità lesive della personalità del lavoratore degli atti adottati dal soggetto datore di lavoro ora intimato, inerenti sia alla fase del licenziamento che alla fase della sua reintegrazione nel posto di lavoro. Del resto la tematica sulla cd. ingiuriosità del licenziamento si intersecava con quella sulle motivazioni del medesimo ed era anche logica una considerazione globale, nell’ambito di una liquidazione equitativa, delle conseguenze dei comportamenti illeciti nella fase del recesso e della reintegrazione, stante la connessione e contiguità temporale degli atti lesivi e il sommarsi e il confondersi anche delle relative conseguenze sul fisico e sul morale del lavoratore.

Deve escludersi, quindi, che non siano stati presi in considerazione i motivi di appello, tenuto anche presente che il giudice di secondo grado, nel non determinare una voce autonoma a titolo di risarcimento del danno esistenziale ha seguito un indirizzo interpretativo che ha trovato conferma nella più recente elaborazione in materia delle Sezioni unite di questa Corte (sentenza n. 26972/2008).

Il ricorso deve quindi essere rigettato.

Nulla per le spese, stante la mancata costituzione in giudizio del Comune intimato.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 17 novembre 2010.

Depositato in Cancelleria il 17 gennaio 2011

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