Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9179 del 16/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 16/04/2010, (ud. 24/03/2010, dep. 16/04/2010), n.9179

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. DE LUCA Michele – Presidente –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. BANDINI Gianfranco – Consigliere –

Dott. NAPOLETANO Giuseppe – Consigliere –

Dott. ZAPPIA Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 19734-2006 proposto da:

POSTE ITALIANE S.P.A., in persona del legale rappresentante pro

tempore elettivamente domiciliata in ROMA, VIA PO 25/B, presso lo

studio dell’avvocato PESSI ROBERTO, rappresentata e difesa

dall’avvocato TRIFIRO’ SALVATORE giusta delega a margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

M.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA ALBERICO

II N. 33, presso lo studio dell’avvocato GALLEANO SERGIO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

S.F., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

CAVOUR 221, presso lo studio dell’avvocato FABBRINI FABIO, che lo

rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

MO.GI.BA., elettivamente domiciliato in ROMA, VIA

GIOVANNI BETTOLO 4, presso lo studio dell’avvocato BROCHIERO MAGRONE

FABRIZIO, che lo rappresenta e difende unitamente all’avvocato

PAGLIARELLO ANGELO, giusta delega in calce al controricorso;

– controricorrenti –

e contro

I.D.;

– intimato –

avverso la sentenza n. 436/2005 della CORTE D’APPELLO di MILANO,

depositata il 24/06/2005 R.G.N. 467/04 + altre;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

24/03/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito l’Avvocato MICELI MARIO per delega TRIFIRO’ SALVATORE;

udito l’Avvocato GALLEANO SERGIO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

SEPE Ennio Attilio che ha concluso per: inammissibilità per

intervenuta conciliazione per MO. e I., rigetto in via

principale, in subordine accoglimento per quanto di ragione.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con separati ricorsi al Tribunale di Milano, quale giudice del lavoro, i nominativi in epigrafe indicati avevano chiesto l’accertamento della nullità del termine apposto ai seguenti contratti di lavoro intercorsi con Poste Italiane s.p.a.:

quanto a Gi.Ba.Mo., per il periodo dal 7 marzo al 30 giugno 2000 per “per esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso e in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi, di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”; ai sensi dell’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del C.C.N.L. del 26 novembre 1994;

quanto a M.F., con tre contratti a termine, rispettivamente, dal 4.11. 98 al 31.1.99, dal 5 al 31.5.99 e dal 5.11.99 al 31.1.00, tutti con una causale identica a quella del Mo.;

quanto a S.F., per il periodo dal 1 al 29.2,2000, ai sensi dell’accordo sindacale del 25 settembre 1997, integrativo dell’art. 8 del C.C.N.L. del 26 novembre 1994, con la consueta causale prevista dall’accordo del 1997;

quanto infine a I.D., con cinque contratti a termine, di cui i primi due, rispettivamente, dal 1.3 al 30.6.2000 e dal 20.10.00 al 31.1.2001, con la causale indicata, uno dal 23.5 al 30.9.2001, “per esigenze eccezionali conseguenti a processi di riorganizzazione ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti ali ‘introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi” ai sensi dell’art. 25 del C.C.N.L. del 2001, uno dal 6.12.2001 al 31.1.2002 “per esigenze tecniche, produttive ed organizzative della struttura operativa ove viene assegnata, connesse anche al maggior traffico postale, del prossimo periodo delle festività natalizie”, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1 e uno, dal 9 maggio al 30 giugno 2002, per “esigenze tecniche, organizzative e produttive anche di carattere straordinario conseguenti a processi di riorganizzazione, ivi ricomprendendo un più funzionale riposizionamento di risorse sul territorio, anche derivanti da innovazioni tecnologiche ovvero conseguenti ali introduzione e/o sperimentazione di nuove tecnologie, prodotti o servizi nonchè all’attuazione delle previsioni di cui agli accordi del 17, 18 e 23 ottobre, 11 dicembre 2001, 11 gennaio, 2002”, ai sensi del D.Lgs. n. 368 del 2001, art. 1;

con la conseguente conversione dei relativi rapporti a tempo indeterminato e quindi con la condanna della società a riammettere in servizio i lavoratori ricorrenti, pagando loro le retribuzioni perdute.

Dopo la riunione dei vari procedimenti, la Corte d’appello di Milano ha confermato, con sentenza depositata il 24 giugno 2005, la decisione del Tribunale, relativamente all’accoglimento delle domande di declaratoria della nullità del termine apposto ai contratti di lavoro, con conseguente qualificazione come a tempo indeterminato del rapporto, fin dalla data del primo contratto per ciascuno dei lavoratori, di condanna della società a riammettere questi ultimi in servizio e a risarcire loro i danni, riformandola solo in punto di decorrenza di tali danni, per tutti dall’atto di costituzione in mora della datrice di lavoro, anzichè dalla scadenza del termine inserito nel contratto.

Avverso tale sentenza, la s.p.a. Poste Italiane ha proposto ricorso per cassazione, affidato a tre motivi, relativi, rispettivamente, a) alla violazione della L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, e della L. n. 56 del 1987, art. 23 con riferimento all’art. 8 del C.C.N.L. del 1994 (come integrato dall’accordo del 25 settembre 1997), quanto alla ritenuta sussistenza di impliciti, necessari limiti temporali di efficacia della causale ivi prevista; b) alla violazione del citato art. 23 e al vizio di motivazione, per l’erronea interpretazione della contrattazione collettiva condizionata da un approccio indebitamente restrittivo nella “lettura” della disciplina del contratto a termine indicata nella legge citata; c) al vizio di motivazione e alla violazione degli artt. 2094, 2099, 1206, 1207 e 1217 c.c. laddove, nel determinare le conseguenze economiche della dichiarazione di illegittimità del termine, la Corte avrebbe fatto decorrere erroneamente il danno da risarcire dalla comunicazione della richiesta del tentativo di conciliazione.

Alle domande della società hanno resistito con distinti controricorsi Mo.Gi.Ba., M.F. e S.F. mentre I.D. non si è costituito in questa sede.

M.F. ha depositato una memoria ai sensi dell’art. 378 c.p.c..

Anche la società ha depositato una memoria, con la quale da altresì atto della cessazione della materia del contendere tra di essa e gli intimati Mo.Gi.Ba. e I.D., a seguito di conciliazione raggiunta in sede sindacale, di cui produce i verbali, chiedendo la conseguente pronuncia, con la compensazione delle relative spese. Quanto alle altre parti, Poste Italiane s.p.a.

insiste per l’accoglimento del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Preliminarmente va dichiarata la inammissibilità del ricorso nei confronti degli intimati Mo. e I., per il venir meno del relativo interesse ad agire, a seguito della conciliazione stragiudiziale raggiunta in sede sindacale tra le parti, con conseguente compensazione delle spese di questo giudizio di cassazione, in aderenza allo spirito di tale conciliazione.

Per quanto riguarda le altre parti, il ricorso, i cui motivi vanno esaminati congiuntamente, è infondato.

Nonostante infatti l’erronea affermazione della sentenza per cui la posizione di un termine di efficacia sarebbe connaturale alla causale individuata, sulla base dell’autorizzazione contenuta nella L. n. 56 del 1987, art. 23 dall’accordo sindacale del 1997 integrativo del C.C.N.L. per i dipendenti delle Poste Italiane del 1994 e utilizzata nei contratti di lavoro in esame, ciò non implica l’accoglimento del ricorso, in quanto la Corte territoriale ha poi comunque individuato negli accordi attuativi del 1997 e 1998 citati in sentenza, l’effettiva imposizione di un termine alla possibilità di utilizzazione della causale relativa alle esigenze legate alla ristrutturazione aziendale, accertando che tale termine è scaduto il 30 aprile 1998.

In proposito, va ricordato che, secondo l’ormai consolidata giurisprudenza di questa Corte (cfr. Cass. S.U. n. 4588/06 e le successive conformi della sezione lavoro, tra le quali, da ultimo, Cass. n. 6913/09), la L. 28 febbraio 1987, n. 56, art. 23 ha operato una sorta di “delega in bianco” alla contrattazione collettiva ivi considerata, quanto alla individuazione di ipotesi ulteriori di legittima apposizione di un termine al contratto di lavoro, sottratte pertanto a vincoli di conformazione derivanti dalla L. n. 230 del 1962 e soggette unicamente ai limiti e condizionamenti contrattualmente stabiliti.

Siffatta individuazione di ipotesi aggiuntive può essere operata anche direttamente, attraverso l’accertamento da parte dei contraenti collettivi di determinate situazioni di fatto e la valutazione delle stesse come idonea causale del contratto a termine (cfr., ad es., Cass. 20 aprile 2006 n. 9245 e 4 agosto 2008 n. 21063).

Quanto al tipo di contrattazione collettiva autorizzata a tale ampliamento, la L. n. 56, citato art. 23 si esprime in termini di “apposizione di un termine … consentita nelle ipotesi individuate nei contratti collettivi di lavoro stipulati con i sindacati nazionali o locali aderenti alle organizzazioni sindacali maggiormente rappresentative sul piano nazionale”.

Nel caso in esame, come ricordato anche dalla ricorrente, con l’accordo sindacale del 25 settembre 1997, sottoscritto dai tre maggiori sindacati nazionali, era stata introdotta nel testo dell’art. 8, comma 2 del C.C.N.L. del 1994, quale ulteriore ipotesi di legittima apposizione del termine al contratto di lavoro (oltre quelle originariamente previste ai sensi della L n. 56 del 1987, art. 23) il caso di “esigenze eccezionali conseguenti alla fase di ristrutturazione e rimodulazione degli assetti occupazionali in corso, quale condizione per la trasformazione della natura giuridica dell’ente ed in ragione della graduale introduzione di nuovi processi produttivi di sperimentazione di nuovi servizi e in attesa dell’attuazione del progressivo e completo equilibrio sul territorio delle risorse umane”.

Inoltre, in pari data, le medesime parti collettive avevano stipulato un accordo attuativo, col quale si davano atto che fino al 31 gennaio 1998 l’impresa versava nelle condizioni legittimanti la stipula dei contratto a termine per affrontare il processo di ristrutturazione e con successivi accordi attuativi avevano accertato che tali condizioni erano proseguite fino al 30 aprile 1998.

Orbene, con numerose sentenze questa Corte suprema (cfr., per tutte, Cass. 14 febbraio 2004 n. 2866, 28 novembre 2008 n. 28450 e 20 marzo 2009 n. 6913), decidendo in ordine a fattispecie analoghe alla presente, coinvolgenti l’interpretazione delle norme contrattuali collettive indicate, ha ripetutamente confermato, con orientamento ormai consolidato, le decisioni dei giudici di merito che hanno dichiarato illegittimo il termine apposto dopo il 30 aprile 1998 a contratti di lavoro stipulati in base alla previsione di cui all’accordo integrativo del 25 settembre 1997 e cassato le poche decisioni di segno opposto.

Pur negando, sulla base della considerazione dell’autonomia delle ipotesi aggiuntive la cui previsione è affidata ai contraenti collettivi indicati, la necessità che quella di cui all’accordo in questione debba essere istituzionalmente contenuta in limiti temporali predeterminati, questa Corte ha ritenuto corretta l’interpretazione dei giudici di merito secondo cui, con riferimento al distinto accordo attuativo sottoscritto in pari data e ai successivi accordi attuativi sottoscritti in data 16 gennaio 1998 e in data 27 aprile 1998, le parti avevano convenuto di limitare il riconoscimento della sussistenza della situazione descritta nell’accordo integrativo unicamente fino al 31 gennaio e poi fino al 30 aprile 1998, per cui, per far fronte alle esigenze in tale sede indicate, l’impresa poteva procedere ad assunzioni di personale con contratto a tempo determinato unicamente fino al 30 aprile 1998, con la conseguente illegittimità dei contratti stipulati successivamente a tale data.

Tale uniforme giurisprudenza di questa Corte ha infatti rilevato che siffatta interpretazione:

– non viola il canone ermeneutico che rimanda al significato letterale degli accordi, laddove questo è stato valutato dai giudici di merito come evidente ed univoco e quindi non necessitante di un più diffuso ragionamento al fine della ricostruzione della volontà delle parti;

– è comunque rispettosa del canone di cui all’art. 1367 c.c. a norma del quale, nel dubbio, il contratto o le singole clausole devono interpretarsi nel senso in cui possano avere qualche effetto, anzichè in quello secondo cui non ne avrebbero alcuno, in quanto ritenendo che gli accordi attuativi non avrebbero inteso introdurre limiti temporali alla deroga, essi risulterebbero privi di un qualunque utile effetto;

– appare altresì corretta laddove ha ritenuto irrilevante, nella ricostruzione della volontà delle parti, l’accordo del 18 gennaio 2001 in quanto stipulato dopo oltre due anni dalla scadenza dell’ultima proroga e quindi quando il diritto del lavoratore alla stabilità del rapporto si era già perfezionato.

Da tali conclusioni della giurisprudenza non vi è ora ragione di discostarsi, in quanto le opposte valutazioni sviluppate nelle difese della ricorrente sono sorrette da argomenti ripetutamente scrutinati nelle molteplici occasioni ricordate e non appaiono comunque talmente evidenti e gravi da esonerare la Corte dal dovere di fedeltà ai propri precedenti (ancorchè non intesi nel caso di specie in senso tecnico, trattandosi della interpretazione di contratti collettivi di diritto comune, il cui controllo in sede di legittimità non è diretto, come poi stabilito per le sentenze depositate successivamente al 1 marzo 2006 dal D.Lgs. 2 febbraio 2006, n. 40, art. 2 e art. 27, comma 2), sul quale si fonda per larga parte l’assolvimento della funzione ad essa affidata di assicurare l’esatta osservanza e l’uniforme interpretazione della legge.

La decisione impugnata, relativa all’accertata illegittimità della clausola appositiva del termine ai contratti di lavoro dei resistenti per la causale indicata in quanto stipulati successivamente alla data del 30 aprile 1998, si sottrae pertanto alle censure svolte dalla ricorrente, sopra riassunte.

Infine, quanto alle conseguenze economiche della dichiarazione di nullità della clausola appositiva del termine, i giudici di merito, con una valutazione di fatto incensurabile in questa sede di legittimità se non per vizi logico-motivazionali, qui dedotti unicamente in maniera generica dalla ricorrente, hanno accertato che l’atto di comunicazione della richiesta di tentativo di conciliazione fosse altresì interpretabile come intimazione di ricevere la prestazione, rivolta dai lavoratori al creditore-datore di lavoro.

In assenza di specifiche censure al riguardo, e quindi anche per violazione della regola della autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui, cfr .anche recentemente, Cass. sentt. nn. 5043/09, 4823/09 e 338/09), per non avere la società riprodotto il contenuto contestato dell’atto, il motivo in esame appare inammissibile.

Concludendo, il ricorso nei confronti di S. e di M. va respinto e la ricorrente va condannata a rimborsare ai resistenti le spese di questo giudizio di cassazione, liquidate in dispositivo.

P.Q.M.

La Corte dichiara inammissibile il ricorso nei confronti di Mo. e di I., compensando le relative spese inerenti il presente giudizio di cassazione; rigetta il ricorso nei confronti di S. e M., condannando Poste Italiane s.p.a. a rimborsare loro le spese di questo giudizio, liquidate per ciascuno di essi in Euro 16,00 per spese ed Euro 2.000,00, oltre accessori, per onorari.

Così deciso in Roma, il 24 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2010

 

 

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