Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9179 del 07/05/2015


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Civile Ord. Sez. 6 Num. 9179 Anno 2015
Presidente: CICALA MARIO
Relatore: CARACCIOLO GIUSEPPE

ORDINANZA
sul ricorso 5130-2013 proposto da:
REGIONE CAMPANIA 80011990639 in persona del Presidente della
Giunta e legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliata
in ROMA, VIA POLI 29, presso l’UFFICIO DI
RAPPRESENTANZA DELLA REGIONE, rappresentata e difesa
dall’avvocato MARIA LAURA CONSOLAZIO (dell’Avvocatura
Regionale), giusta mandato a margine del ricorso;

– ricorrente contro
SIDIGAS – SOCIETA’ IRPINA DISTRIBUZIONE GAS SPA in
persona dell’amministratore delegato e legale rappresentante pro
tempore, elettivamente domiciliata in ROMA, VIALE GIUSEPPE
MAZZINI 11, presso lo studio dell’avvocato LIVIA SALVINI, che la
rappresenta e difende, giusta delega a margine del controricorso;

Data pubblicazione: 07/05/2015

- con troricorrente –

avverso la sentenza n. 231/3/2012 della Commissione Tributaria
Regionale di NAPOLI del 20.6.2012, depositata il 03/07/2012;
udita la relazione della causa svolta nella camera di consiglio del

CARACCIOLO.

Ric. 2013 n. 05130 sez. MT – ud. 16-04-2015
-2-

16/04/2015 dal Consigliere Relatore Dott. GIUSEPPE

La Corte,
ritenuto che, ai sensi dell’art. 380 bis cod. proc. civ., è stata depositata in cancelleria
la seguente relazione:
Il relatore cons. Giuseppe Caracciolo,

osserva:
La CTR di Napoli ha respinto l’appello della Regione Campania appello proposto
contro la sentenza n.562/01/2011 della CTP di Napoli che aveva già respinto il
ricorso della “SIDIGAS spa”– ed ha così annullato il provvedimento di irrogazione
delle sanzioni adottato dalla Regione Campania, provvedimento a mezzo del quale è
stata irrogata la sanzione ex art.13 del D.Lgs.471/1997 come conseguenza del
ritardato pagamento dell’addizionale regionale all’imposta sul gas metano per l’anno
2004 relativamente ad una utenza sita in Villanova (AV).
La predetta CTR —dopo avere dato atto che alcune pronunce della Suprema Corte
dell’anno 2008 avevano dichiarato cumulabile la menzionata sanzione con le
conseguenze già previste dall’art.3 comma 4 del D.Lgs.504/I995, e cioè l’indennità
di mora al 6% e gli interessi di mora al tasso stabilito per il pagamento differito dei
diritti doganali- ha motivato il proprio avviso contrario a quello della Corte di
legittimità evidenziando che, attesa la natura di lex specialis attribuibile al
menzionato decreto legislativo disciplinante le imposte sulla produzione ed i
consumi, già dagli atti parlamentari concernenti l’approvazione del D.Lgs.471/1997
poteva desumersi che il legislatore aveva tenuto presenti le autonome disposizioni
sanzionatorie esistenti in materia di tributi sugli affari. D’altronde lo stesso titolo del
D.Lgs.504/1995 faceva riferimento alla natura sanzionatoria delle disposizioni in esso
contenute e l’assunto che l’indennità di mora avesse natura risarcitoria (e non
sanzionatoria) contrastava con la previsione aggiuntiva degli interessi di mora, essi si
aventi natura risarcitoria: la contemporanea irrogazione, per l’ipotesi di ritardo nel
pagamento, delle tre distinte conseguenze avrebbe perciò l’effetto di creare un
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letti gli atti depositati,

ingiustificata disparità di trattamento tra la fattispecie del ritardo in materia di accise
e quella del ritardo nel pagamento di altri tributi come le imposte dirette o PIVA.
La Regione Campania ha interposto ricorso per cassazione affidato a unico motivo.
La parte contribuente si è difesa con controricorso.
., Il ricorso — ai sensi dell’art.380 bis cpc assegnato allo scrivente relatore – può essere

Infatti, con il motivo di impugnazione (improntato alla violazione dell’art. 3 comma 4
del D.Lgs n.504/1995 e dell’art.13 del D.Lgs.471/1997) la Amministrazione
ricorrente si duole del fatto che il giudice di appello abbia ritenuto non cumulabile
alla indennità di mora prevista dal menzionato art.4 del D.Lgs.504/1995, per il caso
di ritardato pagamento dell’accisa, la sanzione generalmente prevista dal ridetto
art.13 per ogni ipotesi di ritardo nel pagamento dei tributi, per quanto la disciplina del
1997 in materia di sanzioni si configuri come disciplina generale in materia di
violazioni amministrative tributarie e la norma del ridetto art.13 sia appunto rivolta a
punire ogni fattispecie di ritardo ed abbia perciò una natura (di sanzione
amministrativa) del tutto differente da quella dell’indennità di mora (propriamente
risarcitoria), nel mentre gli interessi di mora deve essere assegnata funzione
ripristinatoria del valore intrinseco della moneta.
Il motivo in rassegna appare fondato e da accogliersi.
A tal proposito, basta qui evidenziare che l’orientamento in subjecta materia di
codesta Corte è ormai ribadito e costante, e che le argomentazioni addotte dal giudice
di appello a sostegno della differente soluzione propugnata sono già state esaminate e
contraddette nelle pronunce di legittimità.
Più di recente:”In tema di sanzioni amministrative tributarie, il d.lgs. 18 dicembre
1997, n. 471 detta una disciplina destinata a valere, in generale, per tutti i tributi,
integrata dalle disposizioni normative speciali di imposta (con riferimento alle accise,
il d.lgs. 26 ottobre 1995, n. 504), con la conseguenza che, nel caso di omesso
pagamento dell’imposta di consumo sul gas trovano applicazione sia l’art. 13 del
d.lgs. n. 471 cit., che prevede il pagamento di una somma a titolo di sanzione
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definito ai sensi dell’art.375 cpc.

amministrativa, sia l’art. 3, n. 4, del d.lgs. n. 504 cit., nel testo vigente “ratione
temporis”, che prevede un’indennità di mora dovuta per il ritardato pagamento,
trattandosi di norme pienamente compatibili, che non realizzano un cumulo di
sanzioni, in ragione della loro diversità funzionale, affiittiva (con riferimento alla
sanzione amministrativa) e reintegrativa del patrimonio leso (con riguardo
all’indennità di mora)”. (Cass. Sez. 6 – 5, Ordinanza n. 8553 del 14/04/2011;
conformi, in precedenza, Cass. Sez. 5, Sentenza n. 23517 del 12/09/2008 e Cass. Sez.
5, Sentenza n. 14303 del 19/06/2009).
Né può avere rilevanza alcuno l’argomento del giudice di appello centrato
sull’asserita disparità di trattamento che si verrebbe a creare tra le ipotesi di ritardato
pagamento di sanzioni di genere differente, non solo perché i tributi sui redditi e
l’1VA non esauriscono il multiforme panorama delle imposte (ciascuna dotata della
propria specifica disciplina, anche in tema di conseguenze non sanzionatorie del
ritardato pagamento), ma anche perché già il solo fatto della differente funzione di
ciascun tributo e della differente destinazione dei proventi da ciascuno di essi
ricavabili giustificano una differenziata disciplina in ordine alle anzidette
conseguenze, in relazione alla efficacia dissuasiva che il legislatore intenda
riconnettere ad esse.
Se poi, siffatto argomento sottende un implicito giudizio di valore in ordine alla
abnormità del complessivo fardello afflittivo collegato alla violazione di cui qui si
tratta, di una simile preoccupazione il giudice del merito avrebbe dovuto farsi carico
espressamente, anche alla luce degli argomenti che recentemente sono stati
evidenziati nella pronuncia della Corte di Giustizia con la sentenza del 17 luglio 2014
nella causa C-272/13, e perciò nell’ottica del principio della proporzionalità.
Occuparsi delle conseguenze di detto principio nel caso specifico non è, peraltro,
compito della Corte, in difetto di una specifica devoluzione della questione ad
iniziativa delle parti, tanto più che —vertendosi in materia di tributo “non
armonizzato”- non se ne potrebbe investire in nessun modo la Corte di giustizia,
neanche ove si potesse porre il dubbio che il complesso delle conseguenze affiittive

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di cui si tratta consentano di supporre esistente una violazione del ridetto principio di
proporzionalità.
Non resta che concludere che la decisione impugnata è meritevole di cassazione,
sicché la Corte potrà anche provvedere nel merito della lite, non apparendo necessaria
l’acquisizione di ulteriori dati di fatto.

manifesta fondatezza.
Roma, 20 dicembre 2014

ritenuto inoltre:
che la relazione è stata notificata agli avvocati delle parti;
che non sono state depositate conclusioni scritte, né memorie;
che il Collegio, a seguito della discussione in camera di consiglio, condivide i
motivi in fatto e in diritto esposti nella relazione e, pertanto, il ricorso va accolto;
che le spese di lite vanno regolate secondo la soccombenza.

P.Q.M.
La Corte accoglie il ricorso. Cassa la sentenza impugnata e, decidendo nel merito,
rigetta il ricorso del contribuente avverso il provvedimento impositivo. Condanna la
parte contribuente a rifondere le spese di lite di questo giudizio, liquidate in € 800,00
oltre spese prenotate a debito e compensa tra le parti le spese dei gradi di merito.
Così deciso in Roma il 16 aprile 2015

DEPOSITATO IN CANCELLERIA

Pertanto, si ritiene che il ricorso possa essere deciso in camera di consiglio per

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