Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9178 del 21/04/2011

Cassazione civile sez. trib., 21/04/2011, (ud. 10/01/2011, dep. 21/04/2011), n.9178

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. PIVETTI Marco – Presidente –

Dott. POLICHETTI Renato – Consigliere –

Dott. VIRGILIO Biagio – Consigliere –

Dott. GRECO Antonio – Consigliere –

Dott. CIRILLO Ettore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 15748-2006 proposto da:

OFF ARC SRL in persona dell’Amministratore unico, elettivamente

domiciliato in ROMA VIA ANTONIO GRAMSCI 54, presso lo studio

dell’avvocato TASCO GIAMPIERO, che lo rappresenta e difende, giusta

delega in calce;

– ricorrente –

contro

AGENZIA DELLE ENTRATE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 72/2005 della COMM. TRIB. REG. di ROMA,

depositata il 09/12/2005;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

10/01/2011 dal Consigliere Dott. ETTORE CIRILLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

FEDELI Massimo che ha concluso per il rigetto del ricorso.

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso del 26 novembre 1999 la soc. OFF-ARC impugnava l’avviso di liquidazione n. 97/2487 esponendo: a) che con contratto registrato il 10 gennaio 1997 aveva comprato dalla Piccola Opera della Divina Provvidenza di Don Orione un immobile privo rendita catastale, avvalendosi del D.L. 70 del 1988, art. 12; b) che l’UTE aveva proceduto ad accatastare l’immobile e ad attribuirgli la relativa rendita, notificata però solo all’Ufficio del registro; c) che quest’ultimo, visto che il valore dichiarato era inferiore a quello catastale, aveva notificato avviso di liquidazione con richiesta d’imposta complementare sulla differenza. La soc. acquirente si opponeva, dolendosi di vizi formali e della mancata l’applicazione del valore venale. Prima, in data 25 ottobre 2002, la commissione tributaria provinciale di Roma rigettava il ricorso e poi, sull’appello della contribuente in data 7 febbraio 2005, la commissione regionale dichiarava inammissibile il gravame essendo spirato il termine “lungo” ed essendo irrilevante il diniego della definizione della “lite pendente” richiesta separatamente dall’ente venditore. Ricorre per la cassazione di tale decisione la soccombente, adducendo un solo motivo; l’Agenzia delle entrate non si è costituita.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

Il ricorso non è fondato.

A. Con l’unico articolato motivo, la ricorrente denuncia, in relazione all’art. 360 c.p.c., n. 3, la violazione e falsa applicazione: 1^) della L. n. 289 del 2002, art. 16, commi 3 e 6,;

2^) degli artt. 324, 325, 326 e 327 c.p.c.; 3^) del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 38, comma 3. La soc. contribuente sostiene che, avendo messo in discussione l’operato dell’Ufficio del Registro, si era instaurata una vera e propria lite fiscale pendente ai fini dell’art. 16 della legge sul condono, con l’effetto di sospendere il termine per impugnare la decisione di prime cure dal 1 gennaio 2003 sino al 1 giugno 2004, di talchè alla data del 7 febbraio 2005 il termine di cui all’art. 327 c.p.c. non era affatto spirato, atteso che la decisione appellata era del 25 ottobre 2002. Il motivo è non fondato.

B. La soc. contribuente, nel ricorso introduttivo, ha chiesto l’annullamento dell’avviso di liquidazione in questione, eccependo (a) che l’ufficio avrebbe dovuto emettere avviso di accertamento motivato; (b) che la rettifica del valore dell’immobile compravenduto avrebbe dovuto essere effettuata sulla base del valore venale del bene e non sulla base del valore catastale; (c) che l’omessa notifica della rendita catastale, da parte dell’UTE, aveva violato il proprio diritto di difesa (cfr. sent. CTP). Analoghe questioni sono state sollevate nel ricorso in appello (cfr. sent. CTR).

C. Alla vertenza in atto non si può attribuire il duplice e coessenziale oggetto derivante dalla contestazione del valore catastale e dalla connessa impugnazione del consequenziale atto di liquidazione, in relazione alla quale ultima si verifica quella situazione di lite fiscale pendente di cui parlano le Sezioni Unite nella decisione n. 5289 del 5 marzo 2010.

D. Nella specie, è pacifico che la soc. contribuente non abbia effettuato “l’impugnazione dell’atto di accatastamento dell’UTE sia autonomamente sia congiuntamente all’avviso di liquidazione” (cfr.

ric. Cass. pag. 5). Evidente è la contraddizione e il difetto di autosufficienza in cui cade la ricorrente allorquando genericamente da un lato afferma, nel ricorso in esame, di aver “chiaramente censurato la erroneità della rendita catastale assegnata dall’UTE” (pag. 5), dall’altro, nei giudizi di merito, afferma che “la rettifica di valore dell’immobile compravenduto doveva essere effettuata sulla base del valore venale e non sulla base del valore catastale” (cfr. sent. CTP e CTR), nonostante abbia ribadito che “nell’atto di compravendita veniva richiesta dalla parti l’applicazione del D.L. 14 marzo 1988, n. 70, art. 12 convertito nella L. 13 maggio 1988, n. 154 essendo l’immobile privo di rendita catastale” (riv. Cass. pag. 1, 2).

E. Dinanzi alla volontà manifestata dal contribuente di avvalersi del disposto dell’art. 12 del citato D.L., l’Ufficio non ha altro potere che quello di procedere alla liquidazione dell’imposta sul valore che risulta dall’applicazione automatica del moltiplicatore previsto alla rendita catastale accertata dall’UTE. Residuale possibilità di opposizione, per il contribuente, è il ricorso contro l’Ufficio stimatore, per conseguire una riduzione della rendita.

F. Vertendosi, quindi, in materia di attività vincolata di natura liquidatoria, non può ipotizzarsi una “lite pendente” tra contribuente e fisco, giacchè l’amministrazione si limita a recuperare l’imposta dovuta in base alla richiesta del privato. In altre parole, se i contraenti dichiarano di volersi avvalere della determinazione automatica del valore sulla base della rendita, l’attribuzione di essa da parte dell’UTE avvia un procedimento di valutazione automatica, per cui il valore dichiarato viene sostituito dalla risultante della rendita moltiplicata per il coefficiente stabilito in base alla natura dell’immobile. L’Ufficio del registro, trattandosi di semplice recupero d’imposta nella misura “implicitamente” dichiarata dal contribuente, procede con avviso di liquidazione, atteso che, in tal caso, la tassazione avviene in base al valore dichiarato dall’interessato, il quale cioè dichiara, ora per allora, il valore che risulterà attribuito dall’UTE moltiplicato per il coefficiente.

G. Sono, invece, ammesse a condono le sole controversie pendenti che coinvolgano pretese creditorie, diverse e ulteriori rispetto a quelle desumibili dagli elementi offerti dal contribuente stesso ovvero dalla dichiarazione che egli rende nel senso che si uniformerà al valore desumibile dalla rendita catastale moltiplicata per il coefficiente stabilito.

H. La sospensione dei termini, prevista dalla L. n. 289 del 2002, art. 16, comma 6, suppone la definibilità della lite fiscale pendente. Nella specie le parti, nell’atto di compravendita immobiliare, hanno chiesto l’applicazione dell’art. 12 cit. e tale richiesta ha avviato una procedura, all’esito della quale, intervenuto il classamento con attribuzione di rendita da parte dell’UTE, all’Ufficio del Registro non è restato che determinare, con i criteri automatici, il valore degli immobili e liquidare le relative maggiori imposte, oltre interessi (peraltro, nella specie, senza la irrogazione di sanzioni).

I. Nè può affermarsi, come fa la soc. contribuente, che nel ricorso introduttivo si “neghi che l’amministrazione finanziaria abbia osservato i limiti entro i quali la propria attività doveva svolgersi”. Infatti, non è affatto in discussione che fosse o meno sottoponibile a imposta l’atto in questione e le parti, chiedendo l’applicazione dell’art. 12, hanno individuato esse stesse la procedura legale che la P.A. doveva automaticamente e obbligatoriamente seguire.

J. Manca una controversia sul potere impositivo e sulla pretesa tributaria, espressamente ammessi proprio con la richiesta di applicazione dell’art. 12. La contestazione riguarda la concreta quantificazione dell’imposta attraverso un provvedimento, al quale non può essere negata la natura di mero atto di liquidazione. Nè vale inserire strumentalmente in sede contenziosa l’elemento comparativo spurio del “valore venale” per uscire dal percorso di valutazione automatica.

K. Infine, sotto altro profilo, con la semplice allegazione di meri vizi formali dell’atto si prospetta di certo quel macroscopico travalicamento di funzioni, insito nel ripetuto concetto d’inosservanza dei limiti in cui l’ufficio avrebbe dovuto svolgere la propria attività di liquidatoria.

L. Perciò, in adesione a principi ampiamente consolidati (es. cfr., in motivazione, es. Cass. n. 12669 del 13/06/2005 e n. 7410 del 30/05/2001; v. anche n. 3046 del 2000), letti alla luce dei più recenti orientamenti (Cass. n. 18526 del 10/08/2010), trova conferma che: nel sistema automatico di valutazione di cui al citato art. 12 non sono ravvisabili i requisiti della lite fiscale pendente ai fini sospensivi dell’art. 16 della Legge sul condono, salvo il caso, non ravvisabile nella specie, in cui il contribuente contesti la rendita catastale assegnata dall’UTE ovvero denunci che l’amministrazione abbia travalicato i limiti entro i quali la propria attività vincolata doveva svolgersi ovvero contesti la rendita catastale assegnata dall’UTE (cfr. Cass. n. 13856 del 23/07/2004).

M. Il ricorso va dunque respinto senza alcuna pronunzia sulle spese del giudizio di legittimità svoltosi in essenza di attività difensiva dalla controparte.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso. Nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 10 gennaio 2011.

Depositato in Cancelleria il 21 aprile 2011

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