Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9176 del 16/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 16/04/2010, (ud. 16/03/2010, dep. 16/04/2010), n.9176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. D’AGOSTINO Giancarlo – Consigliere –

Dott. MAMMONE Giovanni – Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

Dott. BALLETTI Bruno – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 32736/206 proposto da:

D.S.R., già elettivamente domiciliato in ROMA, VIA DI

SAN VALENTINO 34, presso lo studio dell’avvocato SCUDERI VINCENZO,

rappresentato e difeso dall’avvocato BALSAMO Giuseppe, giusta mandato

in calce al ricorso e da ultimo domiciliato d’ufficio presso la

CANCELLERIA DELLA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE, in persona

del legale rappresentante pro tempore, elettivamente domiciliato in

ROMA, VIA DELLA FREZZA 17, presso l’Avvocatura Centrale

dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli avvocati RICCIO

Alessandro, GIANNICO GIUSEPPINA, VALENTE NICOLA, giusta mandato in

calce al controricorso;

– controricorrente –

e contro

MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE;

– intimato –

avverso la sentenza n. 494/2006 della CORTE D’APPELLO di PALERMO,

depositata il 18/04/2006 R.G.N. 1251/05;

udita la relazione della causa svolta nella Pubblica udienza del

16/03/2010 dal Consigliere Dott. BRUNO BALLETTI;

udito l’Avvocato CLEMENTINA PULLI per delega RICCIO ALESSANDRO;

udito il P.M., in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

DESTRO Carlo, che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

Con ricorso in appello dinanzi alla Corte di Palermo D.S. R. impugnava la sentenza del Tribunale-Giudice del lavoro di Trapani in data 27 febbraio 2005 con cui, pur condannandosi il convenuto I.N.P.S. alla pensione di invalidità dal 1 giugno 2003, era stato rigettata la sua domanda intesa ad ottenere la corresponsione dell’indennità di accompagnamento.

Costituitisi nel relativo giudizio di appello l’I.N.P.S. e il MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE – che instavano per il rigetto dell’impugnativa -, la Corte di appello adita, con sentenza del 23 marzo 2006, confermava la sentenza di primo grado dichiarando, altresì, che la parte appellante non era tenuta al pagamento delle spese di giudizio ex art. 152 disp. att. cod. proc. civ.. Per la cassazione di questa sentenza D.S.R. propone ricorso (notificato in data 28/29 novembre 2006) assistito da due motivi.

L’intimato I.N.P.S. resiste con controricorso; mentre l’altro intimato MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE non ha spiegato attività difensiva, ancorchè ritualmente raggiunto dalla notificazione del ricorso.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Con il primo motivo di ricorso il ricorrente – denunciando “violazione della L. n. 18 del 1980, art. 1 e della L. n. 508 del 1988, art. 1”- “per avere, “per relationem dal giudizio medico-legale reso dal c.t.u., non riconosciuto l’indennità di accompagnamento a chi, come esso ricorrente, risultava affetto da gravi patologie psichiatriche, incidenti sulle capacità cognitive fino a comprometterne le relative capacità socio-relazionali e a ridurne notevolmente le capacità cognitive di accudire all’igiene e alla cura della persona, tale da necessitare dell’assistenza da parte dei familiari non essendo in grado di autodeterminarsi al compimento degli atti quotidiani della vita consequenziale (quali, in particolare nella fattispecie, lavarsi, vestirsi, ecc.)”.

Con il secondo motivo di ricorso il ricorrente – denunciando “insufficiente e contraddittoria motivazione sulla valutazione medico- legale di autosufficienza di esso ricorrente” – censura la sentenza impugnata “per avere la Corte di appello omesso ogni e qualunque valutazione circa la capacità di esso ricorrente di determinarsi in modo autonomo al compimento degli atti quotidiani della vita, nonchè per avere motivato in modo chiaramente contraddittorio nel riportare alle conclusioni del c.t.u. sul punto della insussistenza degli elementi per poter concedere l’indennità di accompagnamento”.

2 – I cennati motivi di ricorso – da valutarsi congiuntamente in quanto intrinsecamente connessi -non sono meritevoli di accoglimento.

Al riguardo occorre, prioritariamente, richiamare la costante giurisprudenza di questa Corte, secondo cui qualora il giudice aderisca al parere del consulente la motivazione della sentenza è sufficiente (ed è escluso, quindi, il vizio deducibile in cassazione di cui all’art. 360 cod. proc. civ., comma 1, n. 5), pur se tale adesione non sia specificamente giustificata, ove il parere-tecnico fornisca gli elementi che consentano, su un piano positivo, di delineare il percorso logico seguito e, sul piano negativo, di escludere la rilevanza di elementi di segno contrario, siano essi esposti in una prima difforme relazione, nella relazione di parte o aliunde deducibili (tra le molte, Cass. n. 19256/2003, n. 3747/2002).

Deve, altresì, essere ribadito l’orientamento secondo cui, nelle controversie in materia di prestazioni previdenziali derivanti da patologie dell’assicurato, le conclusioni del consulente tecnico di ufficio sulle quali si fonda la sentenza impugnata possono essere contestate in sede di legittimità se le relative censure contengano la denuncia di una documentata devianza dai canoni fondamentali della scienza medico-legale o dai protocolli praticati per particolari assicurazioni sociali che, in quanto tale, costituisce un vero e proprio vizio della logica medico-legale e rientra tra i vizi deducibili con il ricorso per cassazione ex art. 360 cod. proc. civ., n. 5; in mancanza di detti elementi le censure configurano un mero dissenso diagnostico e, quindi, sono inammissibili in sede di legittimità, (Cass. n. 8654/08 e n. 11467/02).

Nel quadro del suddetto enunciato si è, inoltre, precisato che le conclusioni della consulenza tecnica d’ufficio disposta dal giudice non possono utilmente essere contestate in sede di ricorso per cassazione mediante la pura e semplice contrapposizione ad esse di diverse valutazioni perchè tali contestazioni si rivelano dirette non già ad un riscontro della correttezza del giudizio formulato dal giudice di appello bensì ad una diversa valutazione delle risultanze processuali; ciò che non rappresenta un elemento riconducibile al procedimento logico seguito dal giudice bensì costituisce semplicemente una richiesta di riesame del merito della controversia, inammissibile in sede di legittimità (cfr. Cass. n. 7341/04 e n. 15796/04).

Parallelamente, deve essere richiamato il principio, consolidato nella giurisprudenza di questa Corte, per cui in sede di giudizio di legittimità non possono essere prospettati temi nuovi di dibattito non tempestivamente affrontati nelle precedenti fasi, principio che trova applicazione anche in riferimento alle contestazioni mosse alle conclusioni del consulente tecnico di ufficio – e per esse alla sentenza che le abbia recepite nella motivazione -, che in tanto sono ammissibili in sede di ricorso per cassazione, in quanto ne risulti la tempestiva proposizione davanti al giudice di merito e che la tempestività di tale proposizione risulti, a sua volta, dalla sentenza impugnata, o, in mancanza, da adeguata segnalazione contenuta nel ricorso, con specifica indicazione dell’atto del procedimento di merito in cui le contestazioni predette erano state formulate, onde consentire alla Corte di controllare ex actis la veridicità dell’asserzione prima di esaminare nel merito la questione sottopostale (tra le molte, da ultimo, Cass. n. 7696/2006).

Alla stregua dei richiamati principi le censure che il ricorrente muove alla sentenza impugnata in punto di erronea valutazione delle condizioni patologiche, si risolvono, pertanto, in un mero dissenso diagnostico e come tali non sono idonee a scalfire la motivazione dei giudici di secondo grado.

Del resto non è allegato, e non risulta, che in sede di merito vennero dedotte contestazioni alla consulenza, analoghe a quelle articolate in sede di ricorso per cassazione.

Questa Corte, del resto, ha ritenuto che “il certificato medico – nella specie, richiamato dal ricorrente – vale soltanto a manifestare un parere ed un apprezzamento tecnico particolarmente qualificato, suscettibile di valutazione in sede peritale, ma non rientra fra quelli cui la legge attribuisce una efficacia probatoria privilegiata ex art. 2700 c.c., e segg. (Cass. n. 14127/06 cit.). Quanto alla dedotta violazione della ratio delle leggi di cui alla rubrica, osserva la Corte che la censura, per come articolata, si risolve in una mera affermazione di principi di diritto che non sono affatto rapportati al caso concreto e che pertanto non sono apprezzabili in relazione alla fattispecie decisa dalla Corte di appello nella sentenza di cui si chiede l’annullamento.

D’altro canto va rilevato che questo Giudice di legittimità ha già precisato che la L. n. 18 del 1980, art. 1, prevede la concessione dell’indennità di accompagnamento ai mutilati ed invalidi civili totalmente inabili per affezioni fisiche e psichiche di cui alla L. n. 118 del 1971, artt. 2 e 12, del quali sia accertata la impossibilità di deambulazione senza l’ausilio permanente di un accompagnatore o la necessitò di assistenza continua in quanto non in grado di compiere gli atti quotidiani della vita. Ne consegue che l’accertamento sanitario volto a stabilire la sussistenza o meno dell’incapacità o compiere gli atti quotidiani della vita, sia in sede amministrativa che giudiziaria, riguarda esclusivamente le comuni attività del vivere quotidiano, che costituiscono anche il presupposto naturale per una vita di relazione e sociale; tale relazione però non è suscettibile di autonoma considerazione e non entra nella valutazione che il giudice deve compiere ai fini del riconoscimento di una prestazione, che ha natura assistenziale e viene concessa solo nei casi tassativamente indicati, senza alcuna possibilità di interpretazione estensiva (Cass. n. 1003/2003).

Nessun ampliamento dell’ambito di applicazione della legge è quindi consentito, neanche sotto il profilo di un ed. rischio generico, anche se accentuato in relazione all’età, perchè non determina di per sè impossibilità di deambulazione autonoma (Cass. n. 14127/06 cit.).

3 – In definitiva, alla stregua delle considerazioni svolte, il ricorso deve essere respinto.

Non sussistono le condizioni di cui all’art. 152 disp. att. cod. proc. civ. (come modificato dal D.L. n. 269 del 2003, art. 42, convertito con L. n. 326 del 2003) per una pronunzia, a favore del controricorrente I.N.P.S. delle spese del giudizio di legittimità;

parimenti non vi è da provvedere sulle spese nei confronti dell’altro intimato MINISTERO DELL’ECONOMIA E DELLE FINANZE che non ha svolto attività difensiva.

PQM

La Corte rigetta il ricorso; nulla sulle spese del giudizio di cassazione.

Così deciso in Roma, il 16 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2010

 

 

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