Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9176 del 02/04/2021

Cassazione civile sez. trib., 02/04/2021, (ud. 21/01/2021, dep. 02/04/2021), n.9176

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE TRIBUTARIA

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MANZON Enrico – Presidente –

Dott. FUOCHI TINARELLI Giuseppe – Consigliere –

Dott. TRISCARI Giancarlo – Consigliere –

Dott. CASTORINA Rosaria Maria – Consigliere –

Dott. LEUZZI Salvatore – rel. Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

ORDINANZA

sul ricorso iscritto al n. 27982 del ruolo generale dell’anno 2017,

proposto da:

St. Malta Limited, in persona del legale rappresentante pro

tempore, rappresentata e difesa, giusta procura speciale in calce al

ricorso, dagli avvocati Roberto A. Jacchia, Antonella Terranova,

Fabio Ferraro e Daniela Agnello, elettivamente domiciliatosi presso

lo studio dei primi tre in Roma, alla via Vincenzo Bellini, n. 24;

– ricorrenti-

contro

Agenzia delle dogane, in persona del direttore pro tempore,

rappresentato e difeso dall’Avvocatura generale dello Stato, presso

gli uffici della quale in Roma, alla via dei Portoghesi, n. 12,

elettivamente si domicilia;

– controricorrente –

per la cassazione della sentenza della Commissione tributaria

regionale del Lazio, depositata in data 27 aprile 2017, n.

2334/18/2017;

sentita la relazione svolta dal consigliere Salvatore Leuzzi nella

camera di consiglio del 21 gennaio 2021.

 

Fatto

FATTI DI CAUSA

Emerge dalla sentenza impugnata che la ditta individuale A.V. ha svolto per conto della St. Malta Limited, priva di concessione, un’attività di raccolta di scommesse sportive a quota fissa; ad avviso dell’Agenzia delle dogane, che ha al riguardo fatto leva sulla documentazione rappresentata dalle risposte rese dalla predetta An. ad un questionario inviatole per appurare l’assolvimento degli obblighi tributari connessi al pagamento dell’imposta unica su concorsi pronostici e sulle scommesse. Dalla verifica fiscale, che teneva in conto anche il rigetto da parte del Questore di Frosinone della richiesta di licenza per la raccolta di scommesse presentata dalla A. per conto di St. e di visura camerale che denotava l’operatività della ditta individuale, emergeva che quest’ultima anzidetta non si era limitata a trasmettere i dati informatici al bookmaker estero, ma aveva sollecitato e raccolto le scommesse per poi, successivamente, pagare le vincite ai giocatori.

Ne è seguito un avviso di accertamento col quale l’Agenzia, per l’anno 2008 ha recuperato l’imposta unica prevista dal D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, nei confronti del bookmaker St. Malta Limited, quale obbligato in solido con il CTD.

L’impugnazione da St. Malta Limited non ha avuto successo nè in primo, nè in secondo grado.

Il giudice d’appello ha anzitutto rilevato che l’avviso di accertamento era adeguatamente motivato e che comunque un esemplare del processo verbale di constatazione era stato consegnato dai verificatori alla parte soggetta a verifica.

Ha poi ravvisato i presupposti di applicazione dell’imposta unica sulle scommesse, in base alla norma d’interpretazione autentica contenuta nella L. 13 dicembre 2010, n. 220, art. 1, comma 66, perchè ha ritenuto che la ditta individuale, titolare della ricevitoria, avesse gestito scommesse per conto del bookmaker estero erogando i premi ai vincitori e che i contratti tra ricevitore e scommettitori si fossero conclusi in Italia, a norma dell’art. 1336 c.c., come si evince dal rilascio ai giocatori delle ricevute di pagamento, che costituiscono titoli al portatore per la riscossione delle eventuali vincite.

La Commissione tributaria regionale ha anche specificato che il centro di trasmissione dati, ossia, appunto, nel caso in esame la ditta individuale A.V. svolge una funzione di ricevitoria da ritenere assimilabile alla gestione per conto terzi contemplata dalla L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, indipendentemente dalla mancanza di un potere d’ingerenza nella determinazione delle condizioni delle scommesse e che questa disciplina non si pone in contrasto col diritto unionale, anche sotto il profilo della lamentata doppia imposizione, della quale, peraltro, ha sottolineato, non v’è prova.

Il giudice d’appello ha quindi escluso qualunque frizione con i principi costituzionali e, infine, ha ritenuto inapplicabile, quanto alle sanzioni, l’esimente prevista dal D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, per mancanza d’incertezza in ordine all’applicazione della normativa di riferimento.

Contro questa sentenza la St. Malta Limited propone ricorso per ottenerne la cassazione, illustrato con memoria, che affida a nove motivi, cui l’Agenzia delle dogane e dei monopoli risponde con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

Preliminarmente deve essere disattesa l’istanza di trattazione della causa in pubblica udienza.

Il collegio giudicante ben può escludere, nell’esercizio di una valutazione discrezionale, la ricorrenza dei presupposti della trattazione in pubblica udienza, in ragione del carattere consolidato dei principi di diritto da applicare nel caso di specie (Cass., sez. un., 5 giugno 2018, n. 14437), e allorquando non si verta in ipotesi di decisioni aventi rilevanza nomofilattica (Cass., sez. un., 23 aprile 2020, n. 8093).

In particolare, la sede dell’adunanza camerale non è incompatibile, di per sè, anche con la statuizione su questioni nuove, soprattutto se già assistite da un consolidato orientamento, cui la Corte fornisce il proprio contributo.

Nel caso in questione, il tema oggetto del giudizio, sebbene sia nuovo nella giurisprudenza di questa Corte, è stato compiutamente affrontato in tutti i suoi risvolti da un lato dalla Corte costituzionale (con la sentenza 14 febbraio 2018, n. 27) e dall’altro da quella unionale (con la sentenza in causa C-788/18, relativa giustappunto alla St. Malta Limited); e i principi da quelle Corte stabiliti risultano ampiamente e diffusamente recepiti pure dalla giurisprudenza di merito.

Così ampie e convergenti affermazioni inducono quindi a ritenere preferibile la scelta del procedimento camerale, funzionale alla decisione di questioni di diritto di rapida trattazione non caratterizzate da peculiare complessità (sulla medesima falsariga, si veda Cass. 20 novembre 2020, n. 26480).

Nè la giurisprudenza penale di questa Corte richiamata nell’istanza di rimessione alla pubblica udienza è idonea a incrinare i principi in questione, per le ragioni di seguito esplicate.

Infine, quanto al profilo delle esigenze difensive va evidenziato che, in conformità alla giurisprudenza sovranazionale, il principio di pubblicità dell’udienza, pur previsto dall’art. 6 CEDU e avente rilievo costituzionale, non riveste carattere assoluto e vi si può derogare in presenza di “particolari ragioni giustificative”, ove “obiettive e razionali” (in particolare, Corte Cost. 11 marzo 2011, n. 80).

In ogni caso, queste esigenze sono comunque garantite perchè le parti hanno illustrato la propria rispettiva posizione interloquendo sulle pronunce della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, depositando osservazioni scritte.

1. – Con il primo motivo di ricorso, la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione della L. 27 luglio 2000, n. 212, art. 7, nonchè degli artt. 24 e 97 Cost. e del principio di necessità del contraddittorio endoprocedimentale a tutela de diritto di difesa secondo la giurisprudenza della Corte di Giustizia dell’Unione Europea in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3), per non avere la Commissione tributaria regionale reputato legittimo l’avviso di accertamento in ragione della mancata notifica del PVC al soggetto considerato responsabile in solido; in subordine rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE.

Con il secondo motivo di ricorso la ricorrente lamenta la violazione o falsa applicazione della L. n. 2012 del 2000, art. 7, avendo la Commissione tributaria ritenuto l’avviso di accertamento adeguatamente motivato.

Entrambi i motivi, suscettibili per connessione d’essere unitariamente trattati, si mostrano inammissibili per difetto di autosufficienza.

1.1. – A fronte delle affermazioni contenute in sentenza in ordine alla genericità delle doglianze, alla mancata allegazione del pregiudizio asseritamente subito, alla conoscenza degli atti disponibilità di atti e dati che “provenendo dal suo alter ego e dalla stessa struttura imprenditoriale erano già in suo possesso, non si allega il contenuto dell’avviso, al fine di evidenziare che con esso l’Agenzia si sia limitata a enunciare la pretesa impositiva, senza indicarne petitum e causa petendi e senza ricostruirne gli elementi costitutivi (secondo le precisazioni rese da questa Corte, per le quali si veda, tra varie, Cass. 21 novembre 2018, n. 30039).

2. – Il terzo, il quarto, il quinto, il sesto, l’ottavo, il nono e il decimo motivo vanno poi esaminati insieme, perchè concernono tutti, sotto diversi profili, i presupposti dell’imposta unica sulle scommesse:

col terzo motivo si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla legge di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. b), là dove il giudice d’appello ha ritenuto il centro di trasmissione dati soggetto passivo del tributo;

col quarto motivo si prospetta la violazione o falsa applicazione della L. n. 288 del 1998, art. 1, comma 2, lett. b), e degli artt. 1326, 1327 e 1336 c.c., perchè la Commissione tributaria regionale avrebbe errato nel configurare in capo al Centro di trasmissione dati il profilo territoriale del tributo;

col quinto motivo si deduce la violazione o falsa applicazione degli artt. 111 Cost., comma 6, dell’art. 132c.p.c., comma 2, n. 4, dell’art. 118 disp. att. c.p.c., del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 35, comma 3, art. 36, comma 2, nn. 2 e 4, nonchè dell’art. 112 c.p.c., in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non avere la CTR esaminato la doglianza relativa alla violazione e/o falsa applicazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 1, come interpretato dalla Legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. a), per insussistenza del profilo oggettivo del presupposto dell’Imposta Unica;

con il sesto motivo si contesta la violazione o falsa applicazione dell’art. 56 e ss. TFUE e dei principi del Diritto dell’Unione di parità di trattamento e non discriminazione, con riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, come interpretato dalla Legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3; in subordine proposta di rinvio pregiudiziale ex art. 267 TFUE, comma 4;

con l’ottavo motivo si lamenta la violazione o falsa applicazione dell’art. 53 Cost. in riferimento al D.Lgs. n. 504 del 1998, artt. 1 e 3, del D.P.R. 29 settembre 1973, n. 600, art. 64, comma 3 e della Legge di stabilità per il 2011, art. 1, comma 66, lett. b);

col nono motivo si fa valere la violazione o falsa applicazione dell’art. 112 c.p.c. e del D.Lgs. n. 546 del 1992, art. 36, comma 2, n. 4, in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, nn. 3 e 4, per non avere la CTR esaminato la denunciata violazione e/o falsa applicazione dei principi di uguaglianza e ragionevolezza delle leggi di cui al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 ed alla Legge di stabilità 2011, art. 1, comma 64 e comma 65, lett. b);

col decimo motivo si assume la violazione o falsa applicazione del principio dell’equo processo di cui all’art. 6 Convenzione Europea di salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle Libertà fondamentali del 1950 (CEDU) e dell’art. 117 Cost., comma 1, con riferimento alla Legge di stabilità 2011, art. 1, comma 66, lett. b), in relazione all’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 3.

2.1. – Sin dalle origini il tributo sui giochi e le scommesse, che è frutto del percorso evolutivo iniziato con la tassa di lotteria (D.Lgs. 14 aprile 1948, n. 496, art. 6), è stato pensato in relazione alle attività di gioco: già nella relazione ministeriale al disegno di legge istitutivo dell’imposta unica n. 2033 presentato il 15 giugno 1951, si leggeva, quanto ai giochi riservati al CONI e all’UNIRE, che questi “…debbono allo Stato, per l’esercizio delle attività di giuoco predette, la corresponsione di una tassa di lotteria…”.

Sicchè il presupposto dell’imposizione non è stato correlato alla giocata in sè, ma alla prestazione di un servizio, che è, appunto, il servizio di gioco. Il prelievo colpisce dunque il prodotto che è offerto al consumatore tramite l’organizzazione dell’attività, sotto forma di servizio.

3. – E queste ragioni di ordine storico e sistematico innervano il quadro normativo odierno, che è così articolato:

– conformemente al D.Lgs. 23 dicembre 1998, n. 504, art. 1, volto al riordino dell’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse, a norma della L. 3 agosto 1998, n. 288, art. 1, comma 2, l’imposta unica è dovuta per i concorsi pronostici e le scommesse di qualunque tipo, relativi a qualunque evento, anche se svolto all’estero; il suddetto D.Lgs. n. 504 del 1988, art. 3, intitolato ai soggetti passivi, stabilisce che “Soggetti passivi dell’imposta unica sono coloro i quali gestiscono, anche in concessione, i concorsi pronostici e le scommesse”;

– a norma della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, “(…)

a) (…) l’imposta unica (…) è comunque dovuta ancorchè la raccolta del gioco, compresa quella a distanza, avvenga in assenza ovvero in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato;

b) il D.Lgs. (n. 504 del 1998), art. 3, si interpreta nel senso che soggetto passivo d’imposta è chiunque, ancorchè in assenza o in caso di inefficacia della concessione rilasciata dal ministero dell’economia e delle finanze – amministrazione autonoma dei monopoli di Stato, gestisce con qualunque mezzo, anche telematico, per conto proprio o di terzi, anche ubicati all’estero, concorsi pronostici o scommesse di qualsiasi genere. Se l’attività è esercitata per conto di terzi, il soggetto per conto del quale l’attività è esercitata è obbligato solidalmente al pagamento dell’imposta e delle relative sanzioni”;

– il D.M. economia e finanze 1 marzo 2006, n. 111, art. 16, prevede che il concessionario effettui il pagamento delle somme dovute a titolo di imposta unica;

– ai sensi della L. 23 dicembre 2014, n. 190, art. 1, comma 644, lett. g), l’imposta unica si applica “su di un imponibile forfetario coincidente con il triplo della media della raccolta effettuata nella provincia ove è ubicato l’esercizio o il punto di raccolta, desunta dai dati registrati nel totalizzatore nazionale per il periodo d’imposta antecedente a quello di riferimento”.

3.1. – Questo quadro normativo è stato sottoposto all’esame e della Corte costituzionale e della Corte di giustizia, che ne hanno compiutamente esaminato le relazioni rispettivamente con la Costituzione e col diritto unionale prospettate nell’odierno ricorso; il che esclude la necessità della trattazione relativa in pubblica udienza, poichè non residuano profili di particolare rilevanza.

4. – Quanto all’ambito soggettivo dell’imposta, la Corte costituzionale ha dato atto dell’incertezza correlata all’interpretazione del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, per il periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010 (nel senso che era incerto se la pretesa impositiva si potesse rivolgere anche nei confronti dei soggetti che operavano al di fuori del sistema concessorio); ma ha riconosciuto che il legislatore con la L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, da un canto ha stabilito che l’imposta è dovuta anche nel caso di scommesse raccolte al di fuori del sistema concessorio e, d’altro canto, ha esplicitato l’obbligo delle ricevitorie operanti, come nel caso in esame, per conto di bookmakers privi di concessione al versamento del tributo e delle relative sanzioni.

A questo riguardo ha escluso che l’equiparazione, ai fini tributari, del “gestore per conto terzi” (ossia del titolare di ricevitoria) al “gestore per conto proprio” (ossia al bookmaker) sia irragionevole.

Entrambi i soggetti, difatti, ha sottolineato quella Corte, partecipano, sia pure su piani diversi e secondo diverse modalità operative, allo svolgimento dell’attività di “organizzazione ed esercizio” delle scommesse soggetta a imposizione. In particolare, ha rimarcato, il titolare della ricevitoria, benchè non partecipi direttamente al rischio connaturato al contratto di scommessa, svolge comunque un’attività di gestione, perchè assicura la disponibilità di locali idonei e la ricezione della proposta, si occupa della trasmissione al bookmaker dell’accettazione della scommessa, dell’incasso e del trasferimento delle somme giocate, nonchè del pagamento delle vincite secondo le procedure e le istruzioni fornite dal bookmaker. Sicchè, ha specificato, l’attività gestoria che costituisce il presupposto dell’imposizione va riferita alla raccolta delle scommesse, il volume delle quali determina anche la provvigione della ricevitoria e per conseguenza il suo stesso rischio imprenditoriale.

4.1. – Nè, ha aggiunto la Corte costituzionale, la scelta di assoggettare all’imposta i titolari delle ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione viola il principio di capacità contributiva, nei limiti in cui il rapporto tra il titolare della ricevitoria che agisce per conto di terzi e il bookmaker sia disciplinato da un contratto che regoli anche le commissioni dovute al titolare della ricevitoria per il servizio prestato. Ciò perchè attraverso la regolazione delle commissioni il titolare della ricevitoria ha la possibilità di trasferire il carico tributario sul bookmaker per conto del quale opera.

4.2. – La rivalsa svolge quindi funzione applicativa del principio di capacità contributiva, poichè redistribuisce tra i coobbligati, bookmaker e ricevitoria, che hanno comunque concorso, sia pure in vario modo, alla realizzazione del presupposto impositivo, il carico fiscale in relazione alla partecipazione di ognuno a tale realizzazione.

4.3. – Per conseguenza la Corte costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale del D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3 e della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), nella sola parte in cui prevedono che, nelle annualità d’imposta precedenti al 2011, siano assoggettate all’imposta unica sui concorsi pronostici e sulle scommesse le ricevitorie operanti per conto di soggetti privi di concessione. In quel periodo non si può difatti procedere alla traslazione dell’imposta, perchè l’entità delle commissioni già pattuite fra ricevitorie e bookmaker si era già cristallizzata sulla base del quadro precedente alla L. n. 220 del 2010 (Corte Cost. 23 gennaio 2018, n. 27).

4.4. – Quella Corte ha anche chiarito (punto 4.5) che, in mancanza di regolazione degli effetti transitori e in considerazione della natura interpretativa della L. n. 220 del 2010, art. 1, comma 66, lett. b), la disposizione va applicata anche ai rapporti negoziali perfezionatisi prima della sua entrata in vigore.

Ne consegue anzitutto che per le annualità d’imposta antecedenti al 2011 non rispondono le ricevitorie, ma rispondono i bookmaker, con o senza concessione; inoltre, che l’incostituzionalità è destinata a investire, quanto alle ricevitorie, anche i rapporti in essere nel 2011, se risalenti ad epoca precedente, nei limiti in cui non consentono la traslazione dell’imposta.

4.5. – Nel caso di specie l’annualità d’imposta controversa è il 2008.

4.6. – Pertanto, la censura è infondata.

In particolare:

– è infondato il terzo motivo di ricorso, col quale si assume che la funzione gestoria postuli l’assunzione del rischio d’impresa, l’esercizio della funzione decisionale e organizzatoria in ordine alla fissazione degli eventi oggetto di scommessa, delle quote e dei criteri di accettazione e la titolarità del rapporto giuridico di scommessa con lo scommettitore, in base alle considerazioni che precedono in ordine all’accezione di gestione del ricevitore, come illustrata da Corte Cost. n. 27/18;

– è infondato il quarto motivo, col quale si fa leva, in relazione al ricevitore, sulla conclusione del contratto di scommessa, perchè il fatto imponibile è la prestazione di servizi consistente nell’organizzazione del gioco da parte del ricevitore, che è svolta in Italia;

è infondato l’ottavo motivo, là dove si sostiene che sia compatibile col principio di capacità contributiva soltanto un meccanismo d’imposizione che consenta di far gravare sui soli scommettitori l’onere del tributo, giacchè è, invece, il meccanismo di traslazione dell’imposta tra bookmaker e ricevitore a garantire l’osservanza dei principio in questione;

– è infondato il quinto motivo, col quale si torna a sostenere sia pure rimodulando l’involucro normativo della contestazione l’irrilevanza dell’attività svolta dalla ricevitoria;

– è infondato il nono motivo, col quale si fa leva sui principi di uguaglianza e di ragionevolezza delle leggi, già esaminati da Corte Cost. n. 27/18;

– ne risulta assorbito il decimo motivo di ricorso, col quale si prospetta l’incompatibilità dell’interpretazione retroattiva della norma interpretativa contenuta nella legge di stabilità per il 2011 con i principi dell’equo processo stabiliti dall’art. 6 CEDU, ancora in base alla decisione di Corte Cost. n. 27/18 e alle considerazioni che la sorreggono.

5. – Quanto agli ulteriori profili della censura, che riguardano le prospettate frizioni col diritto unionale, l’infondatezza emerge dalla giurisprudenza unionale.

Al riguardo, giova premettere che le imposte sui giochi d’azzardo non hanno natura armonizzata; sicchè i giochi d’azzardo rilevano, ai fini del diritto unionale, in relazione alle norme concernenti la libera prestazione di servizi presidiata dall’art. 56 del TFUE (Corte giust. 26 febbraio 2020, causa C-788/18, punto 17).

5.1. – Inoltre, nel settore dei giochi d’azzardo con poste in danaro, secondo costante giurisprudenza unionale, gli obiettivi di tutela dei consumatori, di prevenzione dell’incitamento a una spesa eccessiva collegata al gioco, nonchè di prevenzione di turbative dell’ordine sociale in generale costituiscono motivi imperativi d’interesse generale atti a giustificare restrizioni alla libera prestazione di servizi: per conseguenza, in assenza di un’armonizzazione unionale della normativa sui giochi d’azzardo, ogni Stato membro ha il potere di valutare, alla luce della propria scala di valori, le esigenze che la tutela degli interessi in questione implica, a condizione che le restrizioni non minino i requisiti di proporzionalità (Corte giust. 24 ottobre 2013, causa C-440/12, punto 47; 8 settembre 2009, causa C-42/07).

Non solo: gli Stati membri non hanno l’obbligo di adeguare il proprio sistema fiscale ai vari sistemi di tassazione degli altri Stati membri, al fine di eliminare la doppia imposizione che risulta dal parallelo esercizio della rispettiva competenza fiscale (Corte giust. in causa C-788/18, cit., punto 23; per analogia, Corte giust. 1 dicembre 2011, causa C-253/09, punto 83).

6. – in questo contesto la normativa italiana, si anticipava, ha superato il vaglio della giurisprudenza unionale.

La Corte di giustizia ha escluso qualsivoglia discriminazione tra bookmakers nazionali e bookmakers esteri, perchè l’imposta unica si applica a tutti gli operatori che gestiscono scommesse raccolte sul territorio italiano, senza distinzione alcuna in funzione del luogo in cui essi sono stabiliti (punto 21 di Corte giust. in causa C788/18), di modo che la normativa italiana “non appare atta a vietare, ostacolare o rendere meno attraenti le attività di una società, quale la St. Malta, nello Stato membro interessato”.

6.1. – E ancora, ha sottolineato quella Corte, la situazione di un centro di trasmissione dati che raccoglie scommesse per conto di una società che ha sede in un altro Stato membro non è analoga a quella degli operatori nazionali: di qui l’esclusione di ogni restrizione discriminatoria della normativa che esclude che i centri di trasmissione dati che agiscono per conto degli operatori di scommesse nazionali siano soggetti al pagamento in solido dell’imposta.

6.2. – Risulta quindi infondato anche il sesto motivo di ricorso, col quale si prospettano le questioni di parità di trattamento e non discriminazione già risolte dalla Corte di giustizia.

7. – In questo quadro, la giurisprudenza penale di questa Corte citata in memoria è irrilevante (si allega alla memoria Cass. pen. 9 luglio 2020, n. 25439).

Essa si riferisce difatti alla diversa questione della rilevanza penale dell’attività d’intermediazione e di raccolta delle scommesse, che questa Corte ha escluso, in base alla giurisprudenza unionale, qualora l’attività di raccolta sia compiuta in Italia da soggetti appartenenti alla rete commerciale di un bookmaker operante nell’ambito dell’Unione Europea che sia stato illegittimamente escluso dai bandi di gara attributivi delle concessioni: e ciò perchè in tal caso rileva la non conformità agli artt. 49 e 56 TFUE del regime concessorio interno.

Ma il fatto che quel bookmaker non risponda del reato di esercizio abusivo di attività di giuoco o di scommessa, previsto e punito dalla L. 13 dicembre 1989, n. 401, art. 4, commi 1 e 4-bis, nessuna influenza produce sulla soggettività passiva della imposta unica sulle scommesse, che il D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 3, riferisce a chiunque, con o senza concessione, gestisce i concorsi pronostici o le scommesse.

7.1. – Anzi, ancora la Corte costituzionale con la sentenza dinanzi indicata, nell’escludere l’irragionevolezza dell’assoggettamento a imposta del ricevitore operante per bookmaker sfornito di concessione per il periodo successivo al 2011, ha evidenziato che questa scelta legislativa “risponde ad un’esigenza di effettività del principio di lealtà fiscale nel settore del gioco, allo scopo di evitare l’irragionevole esenzione per gli operatori posti al di fuori del sistema concessorio, i quali finirebbero per essere favoriti per il solo fatto di non aver ottenuto la necessaria concessione… “.

8. – Fondato è, invece, il settimo motivo di ricorso, col quale si denuncia la violazione o falsa applicazione del D.Lgs. 18 dicembre 1997, n. 472, art. 6, comma 2, in relazione al D.Lgs. n. 504 del 1998, art. 5, comma 1, perchè il giudice d’appello non ha applicato l’esimente data dalle obiettive condizioni di incertezza sulla portata e sull’ambito di applicazione delle disposizioni alle quali si si riferiscono, limitatamente al periodo antecedente alla disposizione interpretativa del 2010; in relazione a questo periodo, la stessa Corte costituzionale ha ravvisato l’incertezza, aggiungendo che essa è stata espressamente riconosciuta dall'(allora) Agenzia autonoma dei monopoli di Stato.

9. – Il ricorso va quindi accolto nei limiti indicati e, non occorrendo ulteriori accertamenti di fatto, accoglie l’originario ricorso limitatamente alle sanzioni irrogate, rigettandolo per il resto.

10. – L’intervento risolutore delle questioni, in epoca successiva alla proposizione del ricorso, ad opera della Corte costituzionale e della Corte di Giustizia giustifica la compensazione delle spese di giudizio.

PQM

accoglie il ricorso nei limiti di cui in motivazione, cassa la sentenza nei corrispondenti profili e, per l’effetto, accoglie l’originario ricorso limitatamente alle sanzioni, rigettandolo per il resto; compensa le spese del giudizio.

Così deciso in Roma, il 21 gennaio 2021.

Depositato in Cancelleria il 2 aprile 2021

 

 

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