Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9169 del 10/04/2017


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Cassazione civile, sez. lav., 10/04/2017, (ud. 01/02/2017, dep.10/04/2017),  n. 9169

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. MACIOCE Luigi – Presidente –

Dott. TORRICE Amelia – Consigliere –

Dott. BLASUTTO Daniela – Consigliere –

Dott. DI PAOLANTONIO Annalisa – rel. Consigliere –

Dott. BOGHETICH Elena – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

SENTENZA

sul ricorso 15974-2015 proposto da:

C.V. C.F. (OMISSIS), elettivamente domiciliato in ROMA,

PIAZZALE DELLE BELLE ARTI 8, presso lo studio dell’avvocato ANTONINO

PELLICANO’, che lo rappresenta e difende, giusta delega in atti;

– ricorrente –

contro

I.N.P.S. – ISTITUTO NAZIONALE DELLA PREVIDENZA SOCIALE C.F.

(OMISSIS), in persona del legale rappresentante pro tempore,

elettivamente domiciliato in ROMA, VIA CESARE BECCARIA 29, presso

l’Avvocatura Centrale dell’Istituto, rappresentato e difeso dagli

avvocati ANTONIETTA CORETTI, VINCENZO TRIOLO, VINCENZO STUMPO,

giusta delega in atti;

– controricorrente –

avverso la sentenza n. 12351/2014 della CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

di ROMA, depositata il 03/06/2014 R.G.N. 10285/12;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

01/02/2017 dal Consigliere Dott. DI PAOLANTONIO ANNALISA;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott.

GIACALONE GIOVANNI che ha concluso per la revocazione della sentenza

e compensazione delle spese;

udito l’Avvocato ANTONINO PELLICANO’;

udito l’Avvocato VINCENZO STUMPO.

Fatto

FATTI DI CAUSA

1. Con sentenza n. 12351 del 3 giugno 2014 questa Corte ha respinto il ricorso di C.V. avverso la pronuncia della Corte di Appello di Reggio Calabria che, giudicando in sede di rinvio, aveva dichiarato inammissibile l’appello proposto dallo stesso C. per censurare la sentenza del Tribunale di Crotone che aveva accolto parzialmente la domanda ed aveva condannato l’INPS al pagamento dei soli “interessi legali sulle somme liquidate in ritardo e di cui alla pronuncia della Consulta n. 288/94 decorrenti dal 121^ successivo alla presentazione della domanda principale di disoccupazione agricola sino al saldo di cui all’estratto informatico”.

2. Ha osservato, in sintesi, che la Corte territoriale si era attenuta al principio di diritto fissato dalla sentenza rescindente ed aveva accertato che la sentenza di primo grado era stata notificata all’INPS presso il procuratore costituito, il che equivaleva alla notifica indirizzata direttamente a quest’ultimo, idonea a far decorrere il termine breve anche per il notificante, termine che nella specie non era stato rispettato.

3. Ha, quindi, condannato il C., in quanto soccombente, al pagamento delle spese del giudizio di legittimità, liquidate in Euro 1.500,00 per competenze professionali e in Euro 100,00 per esborsi, oltre accessori di legge.

4. Il ricorso di C.V., con un unico motivo illustrato da memoria ex art. 378 c.p.c., domanda la revocazione del capo della sentenza relativo al regolamento delle spese processuali sulla base di un unico motivo. L’INPS resiste con controricorso.

Diritto

RAGIONI DELLA DECISIONE

1. Il ricorrente denuncia ” errore di fatto sui presupposti di applicazione della disposizione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., ante riforma ex D.L. n. 269 del 2003, nel regolamento delle spese processuali”. Rileva che la sentenza oggetto di revocazione, nel porre a carico della parte soccombente le spese del giudizio di legittimità, ha supposto un fatto erroneo, ossia che il giudizio di merito fosse stato introdotto dopo la entrata in vigore del D.L. art. 42, comma 1, richiamato il rubrica. Al contrario il ricorso introduttivo della lite era stato depositato l’11 dicembre 1997, sicchè la parte privata soccombente doveva essere esonerata dal pagamento delle spese processuali, dovendosi escludere il carattere temerario della lite.

2. Il ricorso è ammissibile e fondato.

L’errore rilevante ex art. 395 c.p.c., n. 4, consiste nella erronea percezione dei fatti di causa che abbia indotto la supposizione della esistenza o della inesistenza di un fatto la cui verità è incontestabilmente esclusa o accertata dagli atti di causa, a condizione che il fatto oggetto dell’asserito errore non abbia costituito materia del dibattito processuale su cui la pronuncia contestata abbia statuito. Muovendo da detta premessa questa Corte ha evidenziato che: l’errore non può riguardare la attività interpretativa e valutativa; deve avere i caratteri della assoluta evidenza e della semplice rilevabilità sulla base del solo raffronto tra la sentenza impugnata e gli atti di causa, senza necessità di argomentazioni induttive o di particolari indagini ermeneutiche; deve essere essenziale e decisivo nel senso che tra la percezione erronea e la decisione emessa deve esistere un nesso causale tale che senza l’errore la pronuncia sarebbe stata sicuramente diversa (Cass. 5.7.2004 n. 12283; Cass. 20.2.2006 n. 3652; Cass. 9.5.2007 n. 10637; Cass. 26.2.2008 n. 5075; Cass. 29.10.2010 n. 22171; Cass. 15.12.2011 n. 27094).

Detti requisiti ricorrono nella fattispecie perchè la sentenza impugnata per revocazione, quanto al regolamento delle spese di lite, è evidentemente fondata su un presupposto di fatto erroneo, ossia sull’avere ritenuto che il giudizio di primo grado fosse stato instaurato in data successiva all’entrata in vigore del D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, convertito con modificazioni dalla L. 24 novembre 2003, n. 326, art. 1.

Si tratta di un mero errore di percezione su una circostanza di fatto che emergeva con evidenza dagli atti, posto che la decisione oggetto di revocazione si è limitata ad applicare il principio della soccombenza, quale conseguenza della mancata formulazione della dichiarazione prevista dall’art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo modificato, senza argomentare sul punto. Si deve, quindi, escludere che nella fattispecie possa essere configurato un errore di diritto sulla applicabilità e sulla interpretazione della normativa succedutasi nel tempo.

Non vi è dubbio, poi, che l’errore sia stato decisivo in relazione al regolamento delle spese di lite, posto che la giurisprudenza di questa Corte è consolidata nel ritenere che “nei giudizi promossi per ottenere prestazioni previdenziali, la disposizione di cui all’art. 152 disp. att. c.p.c., introdotta dal D.L. 30 settembre 2003, n. 269, art. 42, comma 11, che limita ai cittadini aventi un reddito inferiore a un importo prestabilito il beneficio del divieto di condanna del soccombente al pagamento delle spese processuali, non si applica ai procedimenti incardinati prima dell’entrata in vigore del relativo provvedimento legislativo” (Cass. ord. 19.3.2014 n. 6282).

3. La sentenza impugnata, dunque, deve essere revocata quanto al regolamento delle spese di lite che, in sede rescissoria, devono essere dichiarate non dovute ex art. 152 disp. att. c.p.c., nel testo applicabile ratione temporis. Le spese del giudizio di revocazione, liquidate come da dispositivo, vanno poste a carico dell’INPS, giacchè l’istituto ha resistito all’accoglimento del ricorso, del quale ha eccepito infondatamente la inammissibilità.

PQM

La Corte accoglie il ricorso. Revoca limitatamente al regolamento delle spese processuali la sentenza n. 12351/2014 e, pronunciando in sede rescissoria, dichiara non dovute le spese del ricorso n. 10285/2012 R.G..

Condanna l’INPS al pagamento delle spese del giudizio di revocazione, liquidate in Euro 196,00 per esborsi ed Euro 1000,00 per competenze professionali, oltre spese forfettarie nella misura del 15% e accessori di legge.

Così deciso in Roma, nella Camera di Consiglio, il 1 febbraio 2017.

Depositato in Cancelleria il 10 aprile 2017

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