Sentenza Sentenza Cassazione Civile n. 9168 del 16/04/2010

Cassazione civile sez. lav., 16/04/2010, (ud. 03/03/2010, dep. 16/04/2010), n.9168

LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE

SEZIONE LAVORO

Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati:

Dott. SCIARELLI Guglielmo – Presidente –

Dott. DE RENZIS Alessandro – Consigliere –

Dott. PICONE Pasquale – Consigliere –

Dott. IANNIELLO Antonio – rel. Consigliere –

Dott. CURZIO Pietro – Consigliere –

ha pronunciato la seguente:

sentenza

sul ricorso 14112-2007 proposto da:

P.B., elettivamente domiciliata in ROMA, VIA BAZZONI 13,

presso lo studio dell’avvocato LIPPI ANDREA, rappresentata e difesa

dagli avvocati MELONI ALESSANDRO, PETTINAU ANDREA, giusta delega a

margine del ricorso;

– ricorrente –

contro

MERIDIANA S.P.A.;

– intimata –

avverso la sentenza n. 147/2006 della SEZ. DIST. CORTE D’APPELLO di

SASSARI, depositata il 08/05/2006 R.G.N. 171/05;

udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del

03/03/2010 dal Consigliere Dott. ANTONIO IANNIELLO;

udito il P.M. in persona del Sostituto Procuratore – Generale Dott.

FUCCI Costantino che ha concluso per il rigetto del ricorso.

 

Fatto

SVOLGIMENTO DEL PROCESSO

A seguito di una complessa vicenda giudiziaria, P.B., avendo stipulato, come assistente di volo, tra il 1991 e il 1998, otto contratti di lavoro a tempo determinato con Meridiana s.p.a., la quale infine l’aveva assunta a tempo indeterminato il (OMISSIS), ha ottenuto, con una prima sentenza in data 11 maggio 2005 della Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, passata in giudicato – di riforma della decisione parziale del Tribunale di Tempio Pausania, pronunciata, in corso dell’unitario giudizio, su richiesta della ricorrente, con riguardo ai primi due contratti a tempo determinato – la dichiarazione della natura a tempo indeterminato del rapporto tra le parti fin dal primo contratto di lavoro, con conseguente diritto della lavoratrice ad essere riammessa in servizio e a veder riconosciuta retroattivamente l’anzianità e i relativi scatti per i soli periodi di lavoro effettivamente prestati e con esclusivo riferimento ai suddetti primi due contratti.

Con una ulteriore sentenza, depositata il 8 maggio 2006, la medesima Corte d’appello, riformando parzialmente la decisione definitiva del Tribunale di Tempio, ha preso atto del passaggio in giudicato della propria precedente sentenza parziale e condannato la società Meridiana s.p.a. a risarcire alla P. il danno conseguente alla riconosciuta illegittimità del termine – in misura pari alle retribuzioni perdute dall’atto di messa in mora del 14 giugno 1998 al 28 gennaio 2002, con rivalutazione e interessi – nonchè a corrispondere alla P. alcune indennità e a risarcire alcuni dei danni da lei chiesti in relazione a specifici inadempimenti denunciati come commessi dalla società nel corso del rapporto di lavoro.

P.B. propone ora ricorso per cassazione avverso tale sentenza, affidandolo sette motivi, illustrati poi con memoria ex art. 378 c.p.c..

A seguito della regolare notifica del ricorso presso la cancelleria della Corte d’appello di Cagliari, sezione distaccata di Sassari, l’intimata non si è costituita nel presente giudizio.

Diritto

MOTIVI DELLA DECISIONE

1 – Col primo motivo di ricorso, viene denunciata la violazione degli artt. 115, 116, 117, 228, 229, 230, 244, 245, 253, 356, 420 e 421 c.p.c., artt. 1217, 1227, 1344, 1206, 1418, 1424 e 2099 c.c., L. n. 230 del 1962, artt. 1 e 2, e L. 10 gennaio 1935, n. 112, artt. 5 e 6 e il difetto di istruttoria nonchè il vizio di motivazione della sentenza impugnata.

Il motivo, corredato da ben tre (pretesi) quesiti di diritto, investe la valutazione di infondatezza della domanda di pagamento delle retribuzioni negli intervalli tra un contratto a termine e l’altro, con conseguente rigetto delle istanze istruttorie a tale proposito richieste dalla P., in quanto ritenute non pertinenti rispetto al fine perseguito.

Il corposo, articolato motivo, che si risolve in realtà in una censura di difetto di motivazione della sentenza impugnata, laddove questa non ha ritenuto di ravvisare nei molteplici elementi indiziari sottoposti alla attenzione dei giudici dalla lavoratrice e ritualmente dedotti anche a prova testimoniale, secondo la ricorrente erroneamente non ammessa, la dimostrazione della esistenza di una intimazione nei confronti della società a riprendere il rapporto negli intervalli tra un contratto a tempo determinato e l’altro, è infondato.

In proposito, va preliminarmente ribadito che il controllo, in sede di legittimità, della motivazione della sentenza riguarda unicamente (attraverso il filtro delle censure mosse con il ricorso) il profilo della coerenza logico-formale e della correttezza giuridica delle argomentazioni svolte, in base all’individuazione, che compete esclusivamente al giudice di merito, delle fonti del proprio convincimento, raggiunto attraverso la valutazione delle prove, il controllo della loro attendibilità e concludenza, scegliendo tra di esse quelle ritenute idonee a sostenerlo all’interno di un quadro valutativo complessivo privo di errori, di contraddizioni e di evidenti fratture sul piano logico, nel suo interno tessuto ricostruttivo della vicenda (cfr., per tutte, Cass. S.U. 11 giugno 1998 n. 5802 e, più recentemente, Cass., sez. lav. 6 marzo 2006 n. 4770 e Cass. sez. lav, 11 luglio 2007 n. 15489).

Nè appare sufficiente, sul piano considerato, a contrastare le valutazioni del giudice di merito il fatto che alcuni elementi emergenti nel processo e invocati dal ricorrente siano in contrasto con alcuni accertamenti e valutazioni del giudice o con la sua ricostruzione complessiva e finale dei fatti.

Ogni giudizio implica infatti l’analisi di una più o meno ampia mole di elementi di segno non univoco e l’individuazione, nel loro ambito, di quei dati che – per essere obiettivamente più significativi, coerenti tra di loro e convergenti verso un’unica spiegazione – sono in grado di superare obiezioni e dati di segno contrario, di fondare il convincimento del giudice e di consentirne la rappresentazione, in termini chiari e comprensibili, compete al giudice nei due gradi di merito in cui si articola la giurisdizione.

Occorre quindi, in sede di controllo di legittimità sulla motivazione della sentenza, ai sensi dell’art. 360 c.p.c., comma 1, n. 5, che il ricorso evidenzi, nel ragionamento del giudice di merito, il mancato, insufficiente o contraddittorio esame di fatti inerenti la controversia, dedotti per invalidarne la motivazione, autonomamente dotati di una forza esplicativa o dimostrativa tale che la loro rappresentazione disarticoli l’intero ragionamento svolto dal giudicante o determini al suo interno radicali incompatibilità così da vanificare o da rendere manifestamente incongrua o contraddittoria la motivazione (in proposito, cfr., ex ceteris, Cass. sez. 3, 21 novembre 2006 n. 24744).

Ciò ribadito in via di principio, si rileva che nel caso in esame, la ricorrente si limita a riproporre in questa sede considerazioni già svolte in grado di appello (e riprodotte in altra parte del ricorso), dirette a sostenere una determinata interpretazione e valutazione degli elementi indiziari indicati e della significatività delle prove dedotte, che i giudici di merito hanno già adeguatamente valutato ritenendole infondate, in quanto in buona parte considerate funzionali piuttosto alla dimostrazione della illegittimità del termine apposto ai singoli contratti di lavoro intercorsi e semmai della disponibilità manifestata dalla lavoratrice alla ripresa della collaborazione lavorativa, da non confondere con l’intimazione vera e propria, sia pure informale, alla società creditrice a riceverne la prestazione.

E poichè, come rilevato, il vizio di motivazione della sentenza non può consistere in un apprezzamento dei fatti e delle prove difforme da quello preteso dalla parte ricorrente, il motivo si rivela infondato.

2 – Col secondo motivo, la ricorrente censura la sentenza per violazione dell’art. 5 del C.C.N.L. del 1989 e del 1993 applicato al rapporto, degli artt. 1206, 1217, 1218, 1223, 1226, 2043, 2056, 2099, 2114, 2115 e 2245 c.c. e art. 18, S.L. nonchè per vizio di motivazione.

Il motivo, corredato da quesiti di diritto – ma in realtà anch’esso relativo al solo vizio di motivazione, anche in ragione del fatto che non argomenta in che cosa consista la violazione del lungo elenco di norme citate, salvo che per ciò che riguarda la violazione dell’art. 18, S.L., sbrigativamente ritenuto applicabile alla fattispecie in esame, contro la giurisprudenza costante di questa Corte (cfr., ad es., recentemente Cass. 10 novembre 2009 n. 23756) e quindi perciò manifestamente infondato – censura il mancato riconoscimento dell’anzianità, degli scatti di anzianità e dei contributi nel periodo successivo all’atto di mora crederteli, indicato nella sentenza come posto in essere nel giugno 1998.

Il motivo non appare rispettoso del principio della autosufficienza del ricorso per cassazione (su cui, cfr., anche recentemente Cass. nn. 5043/09, 4823/09 e 338/09), avendo anzitutto omesso di indicare specificatamente l’esistenza ed il contenuto di norme contrattuali eventualmente vigenti all’epoca su cui si fonderebbe il diritto agli scatti di anzianità o ad altri istituti connessi alla anzianità di servizio.

Inoltre, quanto alla domanda relativa al versamento dei contributi previdenziali e assistenziali, il diritto al relativo versamento (di cui è comunque titolare l’ente previdenziale) presuppone la piena funzionalità del sinalagma contrattuale, qui impedito dal comportamento della società nel periodo successivo al giugno 1998.

Ne consegue che correttamente la sentenza di appello ha rilevato che semmai la ricorrente avrebbe potuto richiedere i darmi conseguenti al mancato versamento dei contributi, cosa che peraltro la P. non avrebbe fatto.

A fronte di una tale rilevo della Corte, la P. afferma in una parte del ricorso (ma non in altre dedicate all’argomento) di avere chiesto, in via subordinata, tali danni, ma non specifica in quale sede rituale ciò sarebbe avvenuto e con quali precisi termini.

Per il difetto del requisito di autosufficienza, espressione della necessaria specificità dei motivi di ricorso per cassazione, oggi rafforzata dalla esplicita previsione dell’art. 366, c.p.c., comma 1, n. 6), e per la manifesta infondatezza della censura legata alla pretesa applicabilità dell’art. 18, S.L., il motivo in esame va disatteso.

3 – Col terzo motivo di ricorso, la P. deduce la violazione degli artt. 132 e 279 c.p.c. e art. 1223 c.c. nonchè il vizio di motivazione della sentenza, per non essersi la Corte territoriale pronunciata sulle seguenti domande, divenute motivi di appello incidentale:

a) di risarcimento del maggior danno da mancato guadagno per tardività della prestazione retributiva-risarcitoria;

b) di attribuzione a titolo gratuito dello stesso numero di azioni Meridiana assegnate agli assistenti di volo a tempo indeterminato.

I due profili di censura sono manifestamente infondati: il primo – che sembra dimenticare che la sentenza ha riconosciuto alla ricorrente la somma di rivalutazione e interessi sugli importi di cui alla condanna – in quanto si muove esclusivamente su di un piano astratto, senza mai indicare quali danni aggiuntivi, oltre alla svalutazione del denaro, la P. abbia subito per effetto del comportamento inadempiente della società; il secondo, in quanto non tiene neppure conto, eventualmente per censurarla, della valutazione di indeterminatezza della richiesta effettuata al riguardo dai giudici di merito.

4 – La P. denuncia inoltre col quarto motivo:

a) il vizio di motivazione della sentenza per il mancato riconoscimento, a titolo di danno successivo all’atto di messa in mora del giugno 1998, delle retribuzioni relative al periodo dal 28 gennaio 2002 al 1 ottobre 2002.

In proposito, la Corte aveva motivato che la P. non avrebbe ingiustificatamente aderito all’invito a partecipare ad un corso di aggiornamento preliminare alla ripresa del rapporto di lavoro, formulatole dalla società con lettera inviata due giorni prima dell’inizio del corso medesimo.

Obietta al riguardo la ricorrente che il termine assegnatole sarebbe stato incongruo, anche perchè il corso iniziava di lunedì e inoltre l’accertamento della sentenza relativo alla data di invio della comunicazione non equivale a quello della data di ricezione.

b) Denuncia altresì la violazione dell’art. 1217 c.c. e art. 80 disp. att. c.c., per non aver rilevato il mancato rispetto, da parte di Meridiana, del termine di tre giorni tra l’invito e l’inizio del corso.

c) Ancora, sotto un terzo profilo, denuncia la violazione degli artt. 214 e 216 c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 156 e 161 c.p.c. e il vizio di motivazione: la ricorrente avrebbe infatti contestato la firma di ricevuta della convocazione, dicendo che non era sua, di familiari conviventi o di altri che avessero ricevuto la corrispondenza nella sua residenza; ma la Corte non avrebbe preso in considerazione tali deduzioni.

d) Ancora, sotto un quarto profilo, la ricorrente denuncia la violazione dell’art. 1217 c.c. e art. 80 disp. att. c.p.c., art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 156 e 161 c.p.c. e vizio di motivazione, in quanto la lettera non avrebbe potuto essere considerata un atto di messa in mora, dato che la dequalificazione della lavoratrice che aveva reso indispensabile un corso di riqualificazione era da attribuire a colpa della società.

e) Sotto un quinto profilo, la ricorrente deduce la violazione dell’art. 1217 c.c. dell’art. 132 c.p.c., n. 4, artt. 156 e 161 c.p.c. e il vizio di motivazione, in quanto la Corte non avrebbe considerato che lei aveva nuovamente messo in mora la società offrendo le proprie prestazioni con lettere raccomandate del (OMISSIS).

Ancora una volta, con le considerazioni riassunte, la ricorrente sovrappone proprie diverse valutazioni a quelle operate, esplicitamente o implicitamente, dalla Corte territoriale nel ritenere ingiustificata della mancata adesione della lavoratrice ad una convocazione da parte di Meridiana finalizzata a farle seguire un corso di aggiornamento professionale necessario per la ripresa del rapporto di lavoro (dopo l’intimazione di ricevere la prestazione effettuato dalla lavoratrice un anno e mezzo prima, nel giugno del 1998) e nel valutare anche le lettere del (OMISSIS) come non contenenti una vera e propria intimazione a ricevere la prestazione.

Fanno da contorno a tale reale consistenza delle censure indicate alcuni riferimenti normativi che in realtà coprono l’illustrazione di pretesi vizi di motivazione oppure non sono comunque pertinenti rispetto alla materia trattata, come il richiamo all’art. 1217 c.c. e art. 80 disp. att. che non riguardano l’argomento esaminato dell’invito del creditore all’adempimento della prestazione da parte del debitore della stessa, ma quello opposto delle formalità della messa in mora del creditore della prestazione o ancora altri richiami che confondono piani di indagine che sono e devono restare distinti, così come doverosamente ritenuto dalla Corte d’appello.

Ne consegue che anche il motivo in esame finisce unicamente per sollecitare questa Corte ad operare un diverso apprezzamento delle circostanze di fatto e delle risultanze istruttorie acquisite in giudizio, come non è consentito dall’attuale ordinamento processuale in questa sede di legittimità.

5 – Col quinto motivo, viene dedotta la violazione dell’art. 112 c.p.c., in quanto la Corte, pur dichiarando fondato l’appello della Meridiana nel senso che per non violare la regola del ne bis in idem, il Tribunale non avrebbe dovuto prendere atto della sentenza della corte d’appello mentre viceversa avrebbe dovuto ignorarla e valutare gli altri contratti a termine, aveva tuttavia preso atto del passaggio in giudicato della prima sentenza di appello, accogliendo l’appello subordinato della Meridiana relativamente al periodo dal 28 gennaio 2002.

Il motivo è manifestamente infondato, avendo la Corte il pieno potere-dovere, indipendentemente dall’operato del primo giudice, di rilevare direttamente ed eventualmente anche d’ufficio la esistenza di un giudicato interno o esterno (sicuramente esistente al momento della sentenza qui impugnata per effetto della mancata impugnazione nei termini della precedente sentenza parziale della medesima Corte) avente incidenza sulla decisione finale (cfr., Cass. 22 aprile 2009 n. 9512).

6 – La violazione degli artt. 75, 77, 81, 83, 125 e 182 c.p.c., in relazione all’art. 161 c.p.c. costituisce oggetto del sesto motivo di ricorso.

In proposito, la ricorrente deduce che il soggetto che nei gradi di merito era delegato a rappresentare processualmente Meridiana e che aveva in tali sedi conferito i poteri ai difensori era carente del potere di rappresentanza sostanziale della compagnia in relazione ai rapporti dedotti in giudizio. I giudici avrebbero dovuto rilevarlo e non l’avevano fatto.

La censura appare del tutto nuova e quindi inammissibile, non essendo stato dedotto dalla ricorrente che un analogo rilievo era stato formulato nei gradi di merito.

7 – Infine, la ricorrente deduce la violazione dell’artt. 112 e 346 c.p.c., in quanto la Corte aveva rigettato una eccezione di prescrizione sollevata da Meridiana nonostante avesse rilevato che questa era tardiva.

Non essendo stato spiegato e non essendo altrimenti comprensibile l’interesse (giuridicamente rilevante) che la ricorrente porta a tale censura, essa va ritenuta inammissibile.

8 – Concludendo, in base alle considerazioni svolte, il ricorso va respinto. Nulla per le spese dell’intimata, che non ha svolto difese in questo giudizio.

P.Q.M.

La Corte rigetta il ricorso; nulla per le spese.

Così deciso in Roma, il 3 marzo 2010.

Depositato in Cancelleria il 16 aprile 2010

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